L’occupazione di una caffetteria unisce studenti e lavoratori a New York

L’occupazione di una caffetteria unisce studenti e lavoratori a New York.

Una tra le migliori celebrazioni del ’68 è andata in scena presso la New School di New York City, prestigiosa università privata la cui sede di Manhattan è stata teatro di un’occupazione che ha visto lottare uniti studenti e lavoratori.

Nella mecca della finanza, in una città dominata da Wall Street e icona del turbocapitalismo mondiale, un gruppo di studenti ha scelto di lottare in prima persona a fianco dei lavoratori della caffetteria dell’istituto su cui pendeva la minaccia del mancato rinnovo del contratto. La peculiarità del luogo non è solamente geografica ma anche sociologica, in quanto la New School è un’università privata estremamente elitaria e costosa, seppur apprezzata nel campo degli studi sociali. In Italia, dove peraltro ha una sede, si potrebbe paragonare alla Luiss o alla Bocconi.

L’istanza da cui è scaturita questa inedita mobilitazione è stato il mancato rinnovo del contratto dei lavoratori della caffetteria dell’istituto, in vista di una internalizzazione del servizio prima gestito da un’azienda esterna. La situazione ricorda molte vertenze italiane, come quella degli aeroporti di Pisa e Firenze, in cui il passaggio dei lavoratori tra ditta appaltante e cooperative esterne ha sempre come unico obiettivo la diminuzione del numero dei dipendenti, l’abbassamento delle retribuzioni e la precarizzazione dei posti di lavoro. Il tutto in nome del profitto, cioè per arricchire ulteriormente padroni e amministratori delegati in una rincorsa del guadagno senza fine.

In questo caso, a complicare ulteriormente la vicenda, ha contribuito il sindacato dei lavoratori della caffetteria, sin dall’inizio estremamente accondiscendente rispetto alle richieste della direzione.  La strategia sindacale era quella di co-gestire l’intero processo, lasciando quindi “scadere” il contratto dei lavoratori per aiutarli singolarmente ad essere riassunti.  Il massimo risultato ottenibile, secondo costoro, era un’incerta possibilità di riassunzione in cambio della perdita dei livelli retributivi raggiunti, della copertura sanitaria e dell’anzianità contributiva. Si trattava nei fatti di una resa quasi incondizionata, senza mettere in campo alcuna forma di mobilitazione o di lotta, considerate rischiose e improduttive.

In questa fase di stallo, sono entrati in scena gli studenti della scuola, che in un’assemblea con i lavoratori hanno deciso di occupare la caffetteria fino al rinnovo di contratto per tutti gli interessati. Questo gesto di solidarietà, promosso dal gruppo dei Communist Student Group di estrazione maoista, ha riscosso da subito un ampio successo, con la partecipazione di studenti, lavoratori e gruppi politici organizzati dell’intera area.

In breve si è creata una commissione studenti lavoratori, la quale ha iniziato a trattare con la direzione della scuola scavalcando il sindacato, ancora fermo sulle proprie posizioni e del tutto contrario ed ostile alla mobilitazione in corso.

Ebbene, dopo 17 giorni di occupazione, nonostante l’atteggiamento intimidatorio della direzione e del sindacato, i lavoratori e gli studenti hanno vinto, ottenendo il rinnovo del contratto di tutti i dipendenti e la fine del progetto di internalizzazione.

Che insegnamenti trarre da questa vicenda, avvenuta peraltro a un oceano di distanza da noi? Che cosa può rappresentare la battaglia di una caffetteria rispetto all’attacco che il capitale porta alla vita di milioni di lavoratori?

Per prima cosa, occorre sottolineare lo straordinario potere della solidarietà. Gli studenti di una costosa scuola privata si sono mobilitati, hanno rischiato sanzioni in prima persona, hanno “perso” ore di studio e di lezione per combattere a fianco di lavoratori con cui condividevano poche ore al giorno. Questi ragazzi e ragazze sono riusciti a attuare una ricomposizione di classe nella lotta, il cui successo è stato ottenuto grazie all’estensione dello scontro oltre il perimetro delineato da direzione e sindacato.

Oltre a ciò, gli occupanti hanno compreso da subito che solo la lotta avrebbe potuto ottenere dei risultati. Lasciar raffreddare le vertenze, aspettare i tempi lunghi delle trattative a porte chiuse tra padroni e sindacati, avrebbe comportato la sconfitta. Il capitale e la conservazione hanno da sempre il tempo dalla loro parte, mentre i lavoratori e i rivoluzionari devono sfruttare il momento, cavalcare le mobilitazioni nelle fasi in cui sono più forti per superare di slancio gli ostacoli che sempre si trovano nei percorsi di lotta. Gli inviti alla pazienza nei momenti di lotta e mobilitazione sono esche avvelenate da cui fuggire.

Gli studenti sono poi stati in grado di attrarre i vari gruppi politici organizzati dell’area di New York City, ospitando assemblee e incontri di realtà che spaziavano dai Black Lives Matter ai gruppi anarchici senza porre steccati che non attenessero la lotta in corso. Banalmente, a livello tattico, il numero degli occupanti era un valore aggiunto e dava maggiore forza al movimento.

Infine, oltre ai numerosi cortei e flash mob, gli occupanti hanno gestito la comunicazione in modo perfetto, agendo sia attraverso li social network che con i classici volantinaggi. Ogni mezzo di comunicazione ha influito sulle modalità di espressione adottate, senza che il messaggio di fondo venisse snaturato ma adattandosi alle peculiarità dei mezzi di comunicazione. Ancora una volta le scelte tattiche sono state orientate dal fine strategico di vincere la vertenza attraverso l’estensione della lotta verso l’esterno.

Grazie a ciò, nel paese di Trump e di Wall Street, una battaglia per la difesa dei posti di lavoro ha unito studenti e lavoratori, richiamando alla memoria gli eventi che 50 anni fa davano il via ad un decennio di lotte e rivendicazioni tuttora ineguagliato.

Lorenzo da New York

Redazione Pisana Lotta Continua