Perché la campagna di Lotta Continua per l'accertamento della verità sull'assassinio di Pinelli fu giusta

Perché la campagna di Lotta Continua per l’accertamento delle responsabilità del commissario Calabresi nella morte del compagno Pinelli fu giusta

 

Da qualche tempo hanno ricominciato a piovere – grazie anche al film fantasy di Marco Tullio Giordana – ingiurie e menzogne contro la campagna di stampa che Lotta Continua portò avanti per l’accertamento della verità sulla morte del compagno Pino Pinelli e sulle responsabilità del commissario Luigi Calabresi. Oggi come ieri siamo convinti che quella campagna fu giusta e riteniamo che parlarne ora separandola dal contesto in cui avveniva significhi deformare la storia. Pensiamo quindi che sia necessario ricordare, sia pur brevemente, i fatti.

La notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969 il corpo del compagno Giuseppe Pinelli precipita dal quarto piano della Questura di Milano dalla stanza del commissario della squadra politica Luigi Calabresi. Sono presenti i poliziotti Vito Panessa, Giuseppe Caracuta, Carlo Mainardi, Pietro Mucilli e il tenente dei carabinieri Savino Lograno.

Nelle prime ore del 16 dicembre, nell’ufficio del questore Guida (quello che durante il fascismo aveva diretto il carcere-confino di Ventotene) si tiene una conferenza stampa. Sono presenti, oltre allo stesso Guida, Allegra, Calabresi e Lograno. E’ il questore ad aprire la danza delle menzogne – puntualmente riferite dalla giornalista Camilla Cederna – dichiarando che Pinelli “era fortemente indiziato di concorso in strage…era un anarchico individualista…il suo alibi era crollato… non posso dire altro…si è visto perduto..è stato un gesto disperato…una specie di autoaccusa, insomma. ….il suo era un fermo prorogato dall’autorità”.

Un’altra giornalista, Renata Bottarelli, annota le parole di Allegra che dice che negli ultimi tempi il suo giudizio su Pinelli era cambiato, perché certe notizie avevano messo l’anarchico in una luce diversa, poteva essere implicato in una storia come quella di piazza Fontana.

Parla poi Calabresi, secondo quanto riferisce ancora Renata Bottarelli: “Innanzi tutto ci disse che al momento della caduta lui era da un’altra parte; era appena uscito per andare nell’ufficio di Allegra per informarlo del decisivo passo avanti fatto, a suo parere, durante le contestazioni. Gli aveva, infatti, contestato i suoi rapporti con una terza persona, che non poteva ovviamente nominare, lasciandogli credere di sapere molto di più di quanto non sapesse; aveva visto Pinelli trasalire, turbarsi. Aveva sospeso l’interrogatorio, che però non era un vero e proprio interrogatorio, per riferire ad Allegra questo trasalimento”.

Poche ore più tardi è Guida a rincarare la dose con una sconcertante dichiarazione “Vi giuro che non l’abbiamo ucciso noi! Quel poveretto ha agito coerentemente con le proprie idee. Quando si è accorto che lo Stato, che lui combatte, lo stava per incastrare ha agito come avrei agito io stesso se fossi un anarchico”.

Sono queste le parole false, vigliacche e infamanti con cui dirigenti e funzionari della questura di Milano si inventarono il “mostro” Pinelli in un maldestro tentativo di coprire le proprie responsabilità per quella morte. Ma sarà proprio l’uccisione del compagno Pinelli a diventare “la sabbia” che bloccherà l’ingranaggio della provocazione messa in atto contro gli anarchici e che aprirà gli occhi ad ampi settori democratici del Paese su quella, che sarà purtroppo solo la prima, delle stragi di Stato.

Gli apparati giudiziari – dimostrando la loro totale sudditanza alla ragion di stato – cercheranno di chiudere il più rapidamente possibile il capitolo della morte di Pinelli per togliere dai carboni ardenti i solerti dirigenti milanesi.

Il 21 maggio 1970 il sostituto procuratore Giuseppe Caizzi chiude l’inchiesta sulla morte di Pinelli, trasmettendo il fascicolo con la richiesta di archiviazione al giudice Amati, sostenendo che non vi era stata nessuna “responsabilità penale” e che Pinelli era morto per “un fatto del tutto accidentale”.

Il 3 luglio Antonio Amati deposita il decreto di archiviazione sulla morte di Pino.

Il 17 luglio Caizzi deposita un’altra richiesta di archiviazione, quella relativa alla denuncia della moglie e della madre di Pinelli contro il questore Marcello Guida per le sue dichiarazioni dopo la morte di Pino.

E’ in questo contesto, contro questo vergognoso tentativo di salvare coloro che si trovavano nella stanza con Pinelli, coloro che lo detenevano illegalmente oltre i limiti consentiti dalla loro stesse leggi, coloro che lo stavano torturando fisicamente e mentalmente (minacce, tenuto senza dormire, senza quasi mangiare, tentativi di incastrarlo nella strage, ecc.)  che nasce e si sviluppa la campagna di stampa di Lotta Continua.

 Come ci racconta un testimone dell’epoca, un compagno di Crocenera anarchica, la “persecuzione” del giornale Lotta Continua contro Calabresi non fu una campagna di odio cieco, come si vuol oggi far credere, ma fu una strategia ben mirata e calcolata con gli avvocati (compreso Gentili, un cattolico convinto) e condivisa con noi anarchici, quando il giudice Caizzi stava per archiviare il caso Pinelli. L’obiettivo era ottenere la querela da parte di un pubblico ufficiale (cosa che implicava facoltà di prova) per riaprire un’istruttoria sulla morte di Pino. Cosa che avvenne. Senza gli articoli di Lotta Continua non avremmo mai avuto il processo Calabresi-Lotta Continua (cioè contro Pio Baldelli che ne era il direttore responsabile), e non sapremmo niente sulla morte di Pinelli.

Calabresi tardò molto a querelare perché voleva giustamente che lo facesse il Ministero, il quale invece non ne volle sapere. Fu così che gli articoli e le vignette divennero sempre più aspri.

Il commissario Calabresi – al di fuori che possa essere provata o meno la sua presenza nella stanza – era il più alto in grado a dirigere l’interrogatorio, sapeva cosa avveniva in quella stanza anche quando non era presente, sapeva che il fermo prolungato di Pinelli era illegale, e quindi il commissario era e rimane il principale responsabile di quella morte.

Coloro che oggi cercano di riabilitare la figura di Calabresi sono soltanto dei falsi e degli ipocriti. Falsi perché negano le sue responsabilità oggettive.  Ipocriti perché se anche si potesse provare, e non è ancora stato fatto, che non era presente in quella stanza nulla cambierebbe rispetto alla sua “complicità morale” con quella morte. Ricordiamo che con la formula “complicità morale” in questo presunto stato di diritto sono stati comminati ai militanti dei gruppi armati decine e decine di ergastoli senza che nessun  paladino dei diritti battesse ciglio.

Per questo motivo noi non rinneghiamo nulla di quella campagna di stampa e non ci vergogniamo di averla sostenuta. Era giusta ieri come lo sarebbe oggi. A distanza di 43 anni dai fatti noi ci battiamo ancora per la verità sulla morte di Pino Pinelli.

Tratto da: https// strage distato.wordpress.com