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venerdì, 18 Ottobre 2024

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

William Gambetta, Democrazia proletaria, La Nuova sinistra tra piazze e palazzi, 1968–1980

Non è da esclu­de­re, anco­ra oggi, che in cor­teo o in qual­si­vo­glia mani­fe­sta­zio­ne di piaz­za spun­ti da qual­che par­te una ban­die­ra di Demo­cra­zia pro­le­ta­ria (Dp). Uno dei sim­bo­li for­se più pos­sen­ti nel­la sto­ria del movi­men­to ope­ra­io in Ita­lia: pugno chiu­so su fal­ce e mar­tel­lo e glo­bo. Un con­tras­se­gno che sin­te­tiz­za una sto­ria che quel par­ti­to, esi­sti­to dal 1978 al 1991, ave­va inte­so rac­co­glie­re e, comun­que, ten­ta­to di testi­mo­nia­re e rap­pre­sen­ta­re in seno alle isti­tu­zio­ni.

Una sto­ria qui det­ta­glia­ta­men­te rico­strui­ta e, per quan­to arti­co­la­ta e non di imme­dia­ta com­pren­sio­ne fuo­ri dall’ambiente dei suoi pro­ta­go­ni­sti, testi­mo­ni e stu­dio­si, posta in modo divul­ga­ti­vo ed acces­si­bi­le a chiun­que voglia appro­fon­di­re sul­la mate­ria. L’Autore è Wil­liam Gam­bet­ta, che pro­prio con Dp ave­va approc­cia­to alla mili­tan­za par­ti­ti­ca, oggi atti­vi­sta poli­ti­co – cul­tu­ra­le, cat­te­dra­ti­co pres­so le uni­ver­si­tà di Par­ma, Mode­na e Reg­gio Emi­lia, tra i prin­ci­pa­li ricer­ca­to­ri del Cen­tro stu­di movi­men­ti di Par­ma e redat­to­re del­la rivi­sta “Zapru­der”. Real­tà ed isti­tu­ti tra i più atti­vi e deter­mi­nan­ti nel­la ricer­ca, spe­cial­men­te per il ver­san­te con­tem­po­ra­nei­sta, sul­la piaz­za ades­so in Ita­lia.

Il testo è usci­to per la pri­ma vol­ta nel 2010, cioè poli­ti­ca­men­te par­lan­do in un altro mon­do, susci­tan­do già ai tem­pi inte­res­se e dibat­ti­ti. Que­sta ne è, sostan­zial­men­te, una ristam­pa, anche se, pro­prio in vir­tù dei muta­men­ti gene­ra­li del pre­sen­te, che ine­vi­ta­bil­men­te com­por­ta­no le ride­fi­ni­zio­ni del pas­sa­to, ogni ristam­pa è intrin­se­ca­men­te una rie­di­zio­ne.

A gran­di linee, la fac­cen­da qui riper­cor­sa è que­sta: dopo il Ses­san­tot­to si avver­ti­va da più par­ti del mon­do poli­ti­co in agi­ta­zio­ne e del­le per­so­na­li­tà intel­let­tua­li che vi face­va­no rife­ri­men­to la neces­si­tà di dotar­si di un sog­get­to poli­ti­co che fos­se il più uni­ta­rio pos­si­bi­le, in gra­do di coglie­re i fer­men­ti pre­sen­ti nel­la socie­tà, riser­van­do­gli uno spa­zio elet­to­ra­le in indi­pen­den­za, auto­no­mia o, ad ogni modo, in con­cor­ren­za, più o meno dia­lo­gan­te e costrut­ti­va, con la Sini­stra sto­ri­ca, in buo­na sostan­za cioè con il Pci.

Il pri­mo momen­to cru­cia­le è dato dal­le Ele­zio­ni poli­ti­che del 1972, le pri­me anti­ci­pa­te dell’Italia repub­bli­ca­na, in cui quel­la che veni­va ormai defi­ni­ta Nuo­va sini­stra si era pre­sen­ta­ta in ordi­ne spar­so, sen­za otte­ne­re rap­pre­sen­tan­ze. Par­ti­co­lar­men­te cocen­te a riguar­do il flop de Il Mani­fe­sto. Nes­sun rap­pre­sen­tan­te anche per il Par­ti­to socia­li­sta ita­lia­no di uni­tà pro­le­ta­ria (Psiup), Fal­ce e mar­tel­lo su glo­bo, che, ad otto anni dal­la sua fon­da­zio­ne, implo­de­va e si scio­glie­va, indub­bia­men­te a segui­to di que­sta cir­co­stan­za. Sareb­be sta­to pro­prio l’incontro tra figu­re sto­ri­che del Psiup con­tra­rie alla con­fluen­za nel Pci e nel Psi, ed il grup­po de Il Mani­fe­sto, assie­me ad altri figu­re emer­se dal­la Con­te­sta­zio­ne, a dar vita in quel­lo stes­so anno al Par­ti­to d’unità pro­le­ta­ria (Pdup), ripren­den­do il sim­bo­lo Psiup, poi, nel 1974, Pdup per il comu­ni­smo (Pdup-pc).

Alle ammi­ni­stra­ti­ve del 1975, seb­be­ne con una divi­sio­ne in base ai col­le­gi, c’è un pri­mo ten­ta­ti­vo uni­ta­rio. Debut­ta il nome, oltre che di Demo­cra­zia ope­ra­ia, quel­lo di Demo­cra­zia pro­le­ta­ria, ter­mi­ne in ipo­te­si sin dall’inizio di que­sta sto­ria ma fin lì scar­ta­to per­ché nel sen­ti­re comu­ne il sog­get­to demo­cra­zia era asso­cia­to all’aggettivazione cri­stia­na. Il sim­bo­lo è pugno chiu­so su fal­ce e tena­glie. La tor­na­ta rap­pre­sen­ta di fat­to il mas­si­mo sto­ri­co in ter­mi­ni di per­cen­tua­li per la Nuo­va sini­stra. Si può riten­ta­re.

L’appuntamento è per­ciò le Poli­ti­che dell’anno suc­ces­si­vo, quan­do Demo­cra­zia pro­le­ta­ria si pre­sen­ta come car­tel­lo elet­to­ra­le pro­mos­so prin­ci­pal­men­te da Avan­guar­dia ope­ra­ia (Ao) e Lot­ta con­ti­nua (Lc). Quest’ultima dive­nu­ta par­ti­to, supe­ran­do l’astensionismo di fon­do che l’aveva in pre­ce­den­za carat­te­riz­za­ta. Le aspet­ta­ti­ve sono alte: la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria in gene­ra­le sem­bra al suo api­ce, si trat­ta, soprat­tut­to per Lc, di sog­get­ti pre­sen­ti in vari set­to­ri del­la socie­tà, dal­le fab­bri­che, ai quar­tie­ri, dal­le caser­me alle scuo­le, con ele­va­te capa­ci­tà di mobi­li­ta­zio­ne, in un Pae­se che sem­bra­va ormai vira­re for­te­men­te a sini­stra. Si azzar­da il pro­no­sti­co di un 10%. Del resto non si dove­va­no impu­gna­re armi e rischia­re la pel­le ma fare una cro­ce con la mati­ta. Fini­ta la con­ta del­le sche­de, al car­tel­lo Dp spet­ta­va inve­ce un 1,52 % alla Came­ra (6 depu­ta­ti, meglio di nien­te) e 0,25 al Sena­to, sen­za elet­ti. Seb­be­ne la sini­stra nel suo insie­me, unen­do, del tut­to teo­ri­ca­men­te, la sto­ri­ca e la nuo­va, fos­se al suo mas­si­mo, al 3% da otte­ne­re la mag­gio­ran­za asso­lu­ta dell’elettorato, l’opzione rivo­lu­zio­na­ria si dimo­stra­va di fat­to inin­fluen­te alle urne. For­se in quei fran­gen­ti c’era più gen­te, soprat­tut­to gio­va­ne e gio­va­nis­si­ma, dispo­sta a spa­ra­re che a dar­ti il voto.

L’ennesima delu­sio­ne elet­to­ra­le sareb­be anda­ta gio­co­for­za a gra­va­re sul­le vicen­de dei mesi suc­ces­si­vi. Su tut­te, lo scio­gli­men­to di Lc nel novem­bre. Tem­po qual­che set­ti­ma­na e sia­mo nel 1977, con l’esplodere del Movi­men­to del Set­tan­ta­set­te. Un’esplosione irruen­ta, crea­ti­va, dis­sa­cran­te, iro­ni­ca e malin­co­ni­ca assie­me, come una catar­si a chiu­su­ra del lun­go Set­tan­tot­to, il cui atto fina­le è con­si­de­ra­to il Con­ve­gno con­tro la repres­sio­ne a Bolo­gna, nel set­tem­bre.

Il movi­men­to, che anco­ra c’è, ora si tro­va tra le tena­glie del­la deri­va lot­tar­ma­ti­sta e, appun­to, la repres­sio­ne degli appa­ra­ti sta­ta­li. C’è l’esigenza di indi­vi­dua­re un ter­re­no comu­ne per fron­teg­gia­re ambe­due i feno­me­ni, poi sin­te­tiz­za­ta, maga­ri bana­liz­za­ta, nel­la for­mu­la del­la dop­pia nega­zio­ne “Né con lo Sta­to né con le Br”. Un com­pi­to, anche in vir­tù pro­prio del respon­so elet­to­ra­le dell’anno pri­ma, di non sem­pli­ce ese­cu­zio­ne.

Tut­ta­via, dopo una serie di con­ve­gni pre­pa­ra­to­ri, il 13–16 apri­le 1978, nel pie­no del seque­stro Moro, si tie­ne al Jol­ly di Roma il Con­gres­so costi­tu­ti­vo del par­ti­to poli­ti­co di Demo­cra­zia pro­le­ta­ria, che adot­ta il sim­bo­lo del car­tel­lo elet­to­ra­le del 1976. A die­ci anni dal 1968 nasce quin­di il par­ti­to del Ses­san­tot­to. Sì per­ché Dp, posto che la com­po­nen­te più nutri­ta fos­se quel­la di pro­ve­nien­za Ao, rac­co­glie nel pro­prio ambi­to tut­ti i filo­ni del pen­sie­ro che ave­va­no fat­to da apri­pi­sta ed ani­ma­to la Con­te­sta­zio­ne: sini­stra comu­ni­sta, maoi­smo, trotz­ki­smo, cat­to­li­ce­si­mo di base, socia­li­smo liber­ta­rio, auto­no­mi­smo ed indi­pen­den­ti­smo inter­no al Pae­se etc., fino ad inclu­de­re l’azionismo, rap­pre­sen­ta­to indub­bia­men­te dal­la sto­ri­ca figu­ra di Vit­to­rio Foa, cui sul­le pri­me sem­bra spet­ta­re la lea­der­ship di fat­to del nuo­vo par­ti­to. Lo stes­so dica­si per le real­tà orga­niz­za­te: mili­ta­ri, sacer­do­ti, magi­stra­ti, medi­ci, inqui­li­ni e via anda­re. Una gran­de e rischio­sa respon­sa­bi­li­tà.

La pri­ma pro­va del­le urne data 1979, con due appun­ta­men­ti elet­to­ra­li fis­sa­ti, in modo assur­do, ad una set­ti­ma­na l’uno dall’altro. Le Poli­ti­che del 3 e 4 giu­gno e le Euro­pee del 10. Tra l’altro Dp si pre­sen­ta ai due appun­ta­men­ti con due diver­si con­tras­se­gni. Alle Poli­ti­che, nel qua­dro di un ulte­rio­re ten­ta­ti­vo uni­ta­rio, è pre­sen­te come Nuo­va sini­stra uni­ta (Nsu), con il solo pugno chiu­so, ed è un disa­stro: 0,80 alla Came­ra e 0,14% al Sena­to. Alle Euro­pee, inve­ce, seb­be­ne il risul­ta­to non miglio­ri in ter­mi­ni per­cen­tua­li, Dp rie­sce ad eleg­ge­re euro­de­pu­ta­to Mario Capan­na, il più cele­bre ses­san­tot­ti­no in Ita­lia. Dota­to di una buo­na dia­let­ti­ca, capa­ce di far­si com­pren­de­re anche dai non addet­ti ai lavo­ri, in un momen­to in cui si ini­zia a far sen­ti­re la media­tiz­za­zio­ne del­la poli­ti­ca, Capan­na, dile­gua­to­si Foa dopo la débâ­cle del­le Poli­ti­che, sem­bra ave­re tut­te le car­te in rego­la per diven­ta­re il lea­der fat­tua­le di Dp, quel­lo in cui l’elettore, seb­be­ne estra­neo alla vita del par­ti­to, pos­sa dar fidu­cia e voto. E così è sta­to, per qual­che anno, pres­so l’opinione pub­bli­ca ma, prin­ci­pal­men­te per fat­to­ri endo­ge­ni al par­ti­to, que­sta, per così dire, con­sa­cra­zio­ne non è avve­nu­ta. Capan­na avreb­be abban­do­na­to il par­ti­to per gui­da­re l’esperienza Ver­di arco­ba­le­no e, in fine, riti­rar­si dal­la poli­ti­ca tra­di­zio­na­le per dedi­car­si alla sag­gi­sti­ca e a for­me di atti­vi­tà pub­bli­ca di altro tipo.

Per­ché Dp, sin dal­le sue pri­me bat­tu­te, rifiu­ta il lea­de­ri­smo e sostie­ne la col­le­gia­li­tà dei grup­pi diri­gen­ti; un prin­ci­pio eti­ca­men­te nobi­le ma che può sot­ten­de­re nei fat­ti l’impossibilità di con­ver­ge­re su una figu­ra rap­pre­sen­ta­ti­va, maga­ri per­ché, visto in que­sto caso il carat­te­re plu­ra­li­sti­co, le per­so­na­li­tà di spic­co sono in insa­na­bi­le con­flit­to tra loro. Si pro­spet­ta così il par­ti­to leg­ge­ro, che può esse­re però schiac­cia­to dal peso, inve­ce, inso­ste­ni­bi­le del­le cor­ren­ti inter­ne.

Sia­mo quin­di agli anni Ottan­ta, e qui la mono­gra­fia si fer­ma. Il decen­nio del riflus­so nel pri­va­to. Rispet­tan­do il pro­prio nome, Dp ha anco­ra in cima ai pen­sie­ri la figu­ra dell’operaio – mas­sa, che resta il prin­ci­pa­le rife­ri­men­to socia­le. Accan­to a ciò, si assi­ste ad un avvi­ci­na­men­to a quel­lo che poi, negli anni Novan­ta, si sareb­be tra­sfor­ma­to nel­la pun­ta di dia­man­te dell’atlantismo bel­li­ci­sta, cioè il Par­ti­to radi­ca­le. Si fan­no lar­go nel dibat­ti­to i dirit­ti civi­li che, in gior­ni a noi vici­ni, sareb­be­ro sta­ti con­trap­po­sti a quel­li socia­li, ed è que­sto anco­ra tema di dibat­ti­to.

Non si trae pro­fit­to dal­la deri­va del Pci, con il Com­pro­mes­so sto­ri­co e la Soli­da­rie­tà nazio­na­le, né dal suo pro­gres­si­vo arre­tra­men­to elet­to­ra­le. Nono­stan­te Dp vi aves­se mes­so qual­che pun­tel­lo, il Pci ha sal­da­men­te in mano le strut­tu­re real­men­te indi­spen­sa­bi­li per il con­sen­so: quel­le eco­no­mi­che, socia­li e coo­pe­ra­ti­vi­sti­che. Le per­cen­tua­li elet­to­ra­li riman­go­no per cui le stes­se che, tut­ta­via, nell’Era demo­cra­ti­ca, iden­ti­fi­ca­bi­le con quel­la di ado­zio­ne del siste­ma elet­to­ra­le pro­por­zio­na­le, con­sen­to­no una rap­pre­sen­tan­za in Par­la­men­to e cen­ti­na­ia di ammi­ni­stra­to­ri negli enti loca­li. Sono que­sti che garan­ti­sco­no e giu­sti­fi­ca­no la soprav­vi­ven­za del par­ti­to. E qui venia­mo alla con­trad­di­zio­ne più bru­cian­te di que­sta sto­ria, ripor­ta­ta dal libro a p. 223 con il para­gra­fo I Pro­ble­mi finan­zia­ri. Già al bilan­cio del 1978 risul­ta come l’87,52% del­le entra­te di Dp fos­se rap­pre­sen­ta­to, in varie for­me, dai finan­zia­men­ti pub­bli­ci. Il par­ti­to che si pone­va come anti­si­ste­ma a sini­stra, anti­ca­pi­ta­li­sta, in una pro­spet­ti­va quin­di rivo­lu­zio­na­ria, dipen­de­va dai sol­di pub­bli­ci e non pote­va con­ta­re sul volon­ta­ria­to dei pro­pri mili­tan­ti. Cri­ti­ci­tà che il con­su­mi­smo indi­vi­dua­li­sta degli Ottan­ta non avreb­be cer­to atte­nua­to.

Ad ogni buon con­to, negli Ottan­ta, Dp resta­va un bene rifu­gio, soprat­tut­to a segui­to del­la scom­par­sa del Pdup – pc che, in via uffi­cia­le nel 1985, com­pi­va il sospi­ra­to rien­tro nel Pci. Era pre­sen­te gros­so­mo­do su tut­to il ter­ri­to­rio nazio­na­le, per quan­to ani­ma­ta da pic­co­li nuclei di atti­vi­sti. Rac­co­glie­va il con­sen­so di diver­si intel­let­tua­li ed arti­sti che fir­ma­va­no gli appel­li al voto o si can­di­da­va­no diret­ta­men­te, rima­nen­do comun­que più sim­pa­tiz­zan­ti che orga­ni­ci nel­la con­ce­zio­ne tra­di­zio­na­le del­la defi­ni­zio­ne. Poli­ti­ca­men­te, Dp si pone­va a sini­stra del Pci, pur non minac­cian­do­ne il con­sen­so, con­tra­stan­do le deri­ve auto­ri­ta­rie che ini­zia­va­no a far­si pres­san­ti negli assen­ti isti­tu­zio­na­li e poli­ti­ci ita­lia­ni. Si bat­te­va su tema­ti­che paci­fi­ste ed anti­nu­clea­ri­ste e, in poli­ti­ca este­ra, ere­di­ta­va un vago anti­so­vie­ti­smo di matri­ce maoi­sta, con la con­dan­na al social – impe­ria­li­smo in meri­to all’Afghanistan, e l’appoggio al dis­si­den­ti­smo nei pae­si dell’Est. Lo spi­ri­to, in sostan­za, era più uma­ni­ta­rio che di valu­ta­zio­ne stret­ta­men­te poli­ti­ca.

Dp con­ta altre­sì due cadu­ti: Pep­pi­no Impa­sta­to, assas­si­na­to dal­la Mafia in pie­na cam­pa­gna elet­to­ra­le per le Comu­na­li a Cini­si, che lo vede­va­no impe­gna­to con una lista vici­na a Dp, e Luca Ros­si, ven­ten­ne mili­tan­te del par­ti­to, ultrà mila­ni­sta, ucci­so a Mila­no nel 1986, in un omi­ci­dio pie­na­men­te adde­bi­ta­bi­le alle leg­gi anti­ter­ro­ri­smo.

Dp, in fine, al con­tra­rio di quan­to era acca­du­to all’esperienza para­dig­ma­ti­ca del Psiup, non implo­de. Si scio­glie nel 1991 ma per con­flui­re nel Movi­men­to per la rifon­da­zio­ne comu­ni­sta. Per il vero, una sua pic­co­la par­te, pro­prio quel­la di pro­ve­nien­za Psiup, for­se seguen­do l’esempio del­lo stes­so Foa, con un tri­plo car­pia­to ade­ri­va inve­ce all’allora Pds.

Rifon­da­zio­ne, nell’ultimo decen­nio del Seco­lo bre­ve, avreb­be rac­col­to il testi­mo­ne pro­prio del ruo­lo di Dp, ora però con una con­si­sten­te com­po­nen­te fisi­ca ex Pci, con­ser­van­do il mede­si­mo corol­la­rio di dif­fi­col­tà e con­trad­di­zio­ni.

Sul­la scor­ta del­la disfat­ta del­la coa­li­zio­ne La Sini­stra l’arcobaleno alle Poli­ti­che del 2008, gli ex Dp gua­da­gna­va­no la Segre­te­ria, con Pao­lo Fer­re­ro, e, sostan­zial­men­te, la clas­se diri­gen­te di Rifon­da­zio­ne, par­ti­to sem­pre più stri­min­zi­to, in peren­ne cri­si d’identità e man mano espul­so dal­la poli­ti­ca isti­tu­zio­na­le, seb­be­ne con un’organizzazione tut­to­ra in pie­di, per cui va dato atto alla sua mili­tan­za.

E tal­vol­ta, anche oggi, capi­ta che rie­mer­ga l’ipotesi di costrui­re una sini­stra alter­na­ti­va alla sini­stra che un tem­po lon­ta­nis­si­mo era il Pci e che oggi, muta­tis mutan­dis, è il suo ere­de mate­ria­le, cioè il Pd. L’excur­sus resti­tui­to da que­sto sag­gio ci infor­ma, in base ai pre­ce­den­ti, del­la fati­ca e del­le dif­fi­col­tà nel pro­var­ci.

Sil­vio Anto­ni­ni

Wil­liam Gam­bet­ta, Demo­cra­zia pro­le­ta­ria, La Nuo­va sini­stra tra piaz­ze e palaz­zi, 1968–1980
Roma, Deri­ve appro­di, 2024, I ed. 2010, pp. 287, € 20,00.

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