Intervento di un compagno della redazione di Lotta Continua all’incontro/confronto del 18 febbraio 1923 su “Guerra imperialista, crisi. Governo Meloni, governo dei padroni. Promosso da: FGC Fronte della gioventù comunista, LUME Laboratorio Universitario Metropolitano, csa Vittoria.
Una premessa: non siamo un’organizzazione politica strutturata, ma una redazione di giornale (che lavora sia sulla forma cartacea, sia su quella elettronica sotto forma di blog e di vari altri siti). Il compito che ci siamo dati è quello di essere parte di un movimento di classe e di fungere da cassa di risonanza dello stesso, di essere una delle sue voci, esprimendo una nostra posizione, ma senza essere preclusivi nei confronti di altre, anzi cercando di creare un dialogo che porti a convergere e confliggere insieme.
Siamo interessati a costruire precorsi conflittuali con aree politiche e sindacali capaci di elaborare e mettere in comune idee e pratiche conseguenti contro la guerra e sul rapporto tra guerra e conflitto di classe, sul nesso che da sempre esiste tra guerra e guerra di classe. Questo anche per evitare che il movimento ricada nello storico e ripetuto errore di privilegiare la scelta di voler far parte di uno schieramento scegliendo uno dei due fronti in conflitto.
Solo con molta fatica si sta facendo strada all’interno del movimento più ampio contro la guerra la dovuta attenzione rispetto alle ricadute sia economiche sia sociali che il conflitto in corso sta causando ai danni delle classi meno abbienti. Il NO netto a una guerra è un valore aggiunto, ma insufficiente a comprendere la posta in gioco.
Pare ovvio che se i Governi aumentano le spese militari, se tra le varie opzioni la sola che si sceglie è quella di potenziare la produzione di armi all’infinito, si intraprende la strada dell’economia di guerra. Seguendo in questo modo la china che in 40 anni ha alimentato miserie, impoverimento ed emarginazione delle classi popolari, abbattendone il potere di acquisto e indebolendo di conseguenza anche le misure sociali a loro sostegno.
Osserviamo che la strada di una sorta di “guerra latente permanente” è stata accentuata dall’Unione Europea attraverso la “Bussola strategica europea”, adottata lo scorso anno, ma sulla quale è calato un tombale silenzio anche da parte delle aree più avanzate del movimento europeo. È un documento chiave, che impegna sia militarmente, sia economicamente gli Stati membri in una guerra senza fine in ogni luogo nel quale gli interessi dell’Unione (ma non solo) sono in gioco. Una guerra che, perciò, può esplodere in ogni angolo del pianeta in qualsiasi momento il mercato lo richieda.
È una visione strategica imperialista che ha lo scopo (come si evince da un documento del Servizio Studi del Senato della Repubblica) di implementare “la nostra capacità di promuovere la nostra visione e difendere i nostri interessi”. E, ancora, in riferimento alla crisi ucraina “il documento […] vede ora la luce in un contesto sconvolto dalla crisi ucraina, in cui si moltiplicano anche nel settore della difesa e della sicurezza, le iniziative dell’Unione per fra fronte all’emergenza (come la decisione di fornire assistenza militare, con materiali anche letali, alle forze armate ucraine, nell0ambito dello Strumento europeo per la Pace)”. Poi “Il suo scopo è infatti quello di definire gli obiettivi concreti per rafforzare la sicurezza dell’Unione e delineare le sue prospettive strategiche per i prossimi 5 — 10 anni partendo da una visione comune delle minacce che incombono sull’Europa e dei possibili strumenti per farvi fronte”.
Se volgiamo lo sguardo all’Italia la distruzione del Reddito di cittadinanza, pur con tutte le contraddizioni che contiene, è un esempio lampante delle politiche conseguenti alla guerra. Al di là delle sparate populiste, utili solo per attirare i gonzi, secondo le quali con tale misura “si arricchiscono i truffatori e i nullafacenti”, il reddito di cittadinanza viene sacrificato per poter deviare le risorse su altro, sugli armamenti. Così come anche l’idea che siano sufficienti politiche attive del lavoro per invertire una drammatica e ormai quasi verticale caduta del potere di acquisto e di contrattazione, quando è stato distrutto ogni percorso realmente formativo prima, di inserimento poi dei giovani e dei disoccupati nel mondo del lavoro. Optando invece per la miriade di corsi a vicolo cieco e a fondi perduti; quando si è costruito scientemente l’impoverimento del lavoro tra appalti e subappalti dentro i quali si materializza la precarizzazione e si acuisce in maniera esponenziale l’impoverimento della forza lavoro. Non dimentichiamo l’abbandono di ogni elemento di sicurezza sul lavoro e rinunciando, da parte dei governi, a intervenire sul sostegno al reddito e sulla struttura medesima del mercato del lavoro ponendo fine alle molteplici forme di precarietà.
Oggi, qui, non ci interessa entrare nel merito di questioni geopolitiche sulle quali ogni osservatore può sbizzarrirsi in ciò invogliato dagli interessantissimi dibattiti che ogni rete ci propina. Siamo convinti che l’accerchiamento della Russia avvenuto in questo decennio e quello ai danni della Cina sono le risposte imperialiste a difesa della supremazia del dollaro e della Ue e la necessità di riprendersi aree di mercato (l’Africa ad esempio, ma non solo) dove consolidata è la presenza cinese e in parte anche della Russia.
La vicenda paradossale, e quasi comica per come è stata costruita (non per l’esistenza o meno di tali strumenti ma per il tempismo con il quale sta montando l’intera narrazione), dei palloni aerostatici cinesi è solo un altro passo in direzione di un’accelerazione impressa a una tensione sempre più palpabile. Ma anche, e si deve guardare in quella direzione con attenzione, deve essere osservata con timore per le sue conseguenze la recentissima comunicazione di intenti di Brasile e Argentina di voler creare una moneta alternativa per gli scambi tra questi due Paesi dell’emisfero sud. Perché se questa moneta sarà alla fine adottata, e se lo sarà anche dagli altri Paesi dell’area, rischia di far franare anche in quest’area l’influenza monetaria ed economica del dollaro. Gli USA, com’è loro abitudine, non staranno a guardare e non si fatica a immaginarne le conseguenze.
Ciò che si deve sottolineare, e fare in modo che tale aspetto sia divulgato il più possibile, è ribadire lo strettissimo nesso che lega le politiche imperialiste, tra cui la guerra riveste un posto preponderante, e l’attacco alle condizioni sociali e salariali delle classi meno abbienti. Il duplice risultato che il capitale ottiene in questo modo è un’accentuata e permanente militarizzazione del territorio con nuove basi NATO e il potenziamento di quelle esistenti, con un conseguente investimento a tempo indeterminato negli armamenti da un lato, dall’altro la precarizzazione, anche questa temporalmente indeterminata, di ogni condizione di vita dei proletari poiché il lavoro, ma anche la vita medesima, divengono variabili dipendenti da altro.
Siamo consci delle difficoltà che si prospettano in un simile percorso, poiché si è verificato un arretramento delle forze sindacali di base su un piano sempre meno conflittuale, se si escludono alcuni settori e realtà di base. La guerra neppure troppo silente contro il sindacalismo di base e di classe nel nostro Paese è anche il risultato della non completa capacità mostrata complessivamente sino a oggi di leggere il rapporto tra politiche imperialiste e di guerra e le loro ricadute sulla classe.
È necessario, poi, superare sia i protagonismi politicisti con punti di caduta fissati da scadenze elettorali, sia il ripiegamento sulla sola dimensione locale che punta su un’opposizione alla guerra che esalta la dimensione pacifista “a prescindere”, che non analizza le dinamiche di classe che scatenano una situazione e le conseguenze che queste portano. Anzi le azzera riportando tutto in un indistinto scontro tra “mondo dei cattivi contro mondo dei buoni” a composizione variabile, una volta gli Stati Uniti, una volta la Russia, una volta la Cina risolvendo tutto in uno scontro tra nazioni, scordando che sempre i primi si trovano tra chi dai conflitti trae profitto, mentre nei secondi si colloca un’intera classe che si trova con il potere d’acquisto azzerato e il lavoro schiavizzato.
Si deve approfondire la denuncia contro la costruzione di nuove basi militari e il potenziamento delle basi USA e NATO esistenti, aspetto che spesso non viene sufficientemente analizzato, e collocato dentro una prassi antimperialista. Proprio perché la lotta al militare, se lasciata in mano al pacifismo tout court, rischia di scivolare su un terreno ambientalista, di difesa del territorio, certo importante e fondamentale, ma che perde di vista il ruolo dell’imperialismo, della “bussola europea” e il riposizionamento della UE, con un suo sostanziale asservimento alle politiche NATO e statunitensi come sta avvenendo con la guerra in Ucraina. Mentre si deve sempre ribadire il nesso tra militare e capitale, tra militare e spoliazione del territorio da parte del capitale.
L’aspetto concernente l’informazione è di importanza decisiva dal momento che parte della guerra viene combattuta con bombardamenti incessanti (questo sì!) da parte di tutti gli organi di informazione mainstream, ma talvolta anche quelli di autodefinita indipendenza. Poiché la creazione del consenso è in questo caso da raggiungere con tempi molto stretti e mantenuta costante nel tempo, lo sforzo compiuto è pari a quello profuso nella produzione bellica. Se non è ora possibile, come accaduto durante la Guerra del Golfo, spettacolarizzare la distruzione, data l’equivalenza delle forze in campo, allora si procede con la drammatizzazione del conflitto, provando a muovere i sentimenti di chi guarda, perché è necessario che l’osservatore occidentale assuma la posizione dell’aggredito fino in fondo perché possa tollerare la depredazione di ciò che gli appartiene. È obbligatorio mostrare la necessità di investire in armi sempre più moderne per soccorrere là (in un qualsiasi là), affinché si possa accettare di essere spogliati di diritti, di sostegni, di servizi qui. È un aspetto che sin dalle prime battute di tutta la vicenda è apparso chiaro. Così come è dirimente la strategia della disinformazione messa in campo senza lesinare sforzi e risparmi. È una guerra che viene combattuta preventivamente anche nei Paesi che non sono sulla linea del fronte. Preventivamente per svariati motivi: perché non si sa come si potrà allargare la richiesta d’intervento e quindi è utile martellare sulla sua necessità da subito. Poi perché è necessario schierare un’opinione pubblica favorevole perché il dissenso va contrastato e annientato. La logica non cambia mai: creare un nemico interno senza che peraltro ve ne sia uno ufficialmente dichiarato tale esterno. Far apparire il sistema minacciato per giustificare interventi militari e svolte repressive. Benché, infatti, si continui a intendere la Russia come “Paese ostile”, mai, ci risulta, è stata consegnata una dichiarazione di guerra. L’informazione armata, la cui esemplificazione più palese è data dalle onorificenze elargite da Zelensky a Stefania Battistini corrispondente quotidiana del TG1 e a Maurizio Molinari Direttore di Repubblica. Questo è un dato di fatto che non va sottovalutato e deve vedere l’impegno per contrastarla di tutti coloro che si oppongono a un conflitto tra potenze capitaliste che non ci vede e non ci deve vedere coinvolti quale classe, poiché gravido solo di cose nefaste per la classe stessa.
Per questo la proposta che muove questa assemblea e che condividiamo, di aggiornare una lettura della guerra a partire dal ruolo odierno dell’imperialismo e di focalizzare l’attenzione sulle ricadute economiche e sociali, consapevoli che oggi serva non parteggiare per uno o l’altro contendente ma combattere con efficacia il nemico che abbiamo in casa nostra, deve essere rilanciata con ogni iniziativa possibile e ripetuta nel tempo. Perché la tendenza alla guerra non verrà meno quando (ma quando?) terminerà quella in corso ora.
È più che mai necessario attrezzarsi su questo terreno e, per quanto ci riguarda, siamo a disposizione con le nostre possibilità e i nostri mezzi per contribuire a rafforzare una lettura critica e costruire azioni conseguenti. Si deve elaborare una posizione che possa portare a convergenze sempre maggiori, evitando di giocare (passatemi il termine) a “chi ce l’ha più lungo”, ma essendo disposti ad arretrare di un passo per avere più spinta dopo. O ci attrezza adeguatamente a questo scopo, oppure si andrà poco lontano.
Per cui è necessario tenere legate tutte le piazze del 25/2 e portare al loro interno un forte contenuto di classe.
Luca della redazione milanese di Lotta Continua