Di Francesco Migliacci
Conservo un piccolo archivio di articoli dalle pagine cittadine di La Stampa e la Repubblica. Non è sistematico, eppure contiene numerose cronache sugli sgomberi di appartamenti occupati in palazzine di edilizia residenziale pubblica. I primi articoli risalgono alla primavera del 2023, ma noto una concentrazione di interventi della polizia a partire dall’ultima estate e la tendenza persiste ancora in questi giorni di tardo autunno. A metà aprile 2023 sono sgomberati cinque alloggi in via Scarsellini a Mirafiori. Poi, nell’estate del 2024, la polizia irrompe negli appartamenti di via Sospello in Borgata Vittoria e di via Bologna in Barriera di Milano. A inizio settembre è il turno delle case in via Aosta, di nuovo in Barriera, e un mese dopo ecco le forze dell’ordine intervengono poco lontano, in via Cimarosa. Il 9 ottobre si dà la notizia di sgomberi in corso Lecce, vicino al parco della Pellerina; a fine novembre, in via Salvemini a Mirafiori, quattro famiglie in camper sono allontanate e un’altra è cacciata da una casa popolare che occupava nella stessa strada. Ancora il 3 dicembre le forze dell’ordine sgomberano dodici appartamenti in via Aosta.
Spesso l’allontanamento degli occupanti è commentato da Emilio Bolla, presidente della Agenzia territoriale per la casa (ATC) del Piemonte Centrale. Bolla sa essere inesorabile come un’intelligenza artificiale: “Il recupero dell’alloggio rappresenta un ulteriore passo verso il ripristino della legalità e il corretto utilizzo del patrimonio immobiliare pubblico” (La Stampa, 5 ottobre 2024). In via Cimarosa, questo ottobre, l’assessore regionale alle politiche sociali Marrone (Fratelli d’Italia) ha brindato allo sgombero e sul marciapiede ha allestito un tavolino con pizzette e patatine (la Repubblica, 9 ottobre 2024). Marco Porcedda, tenente colonnello dei Carabinieri e assessore alla legalità e alla sicurezza di Torino, ha affermato dopo lo sgombero in via Salvemini: “È stato un intervento eseguito con attenzione all’aspetto sociale, la famiglia insediata nell’appartamento si è allontanata volontariamente” (La Stampa, 30 novembre 2024). L’assessore alla sicurezza discetta di politiche sociali: si rivela chi davvero domina il discorso in città.
Tace invece negli ultimi mesi Jacopo Rosatelli, esponente di Sinistra Ecologista e assessore comunale alle politiche sociali, eppure nella primavera del 2023 affermò che gli sgomberi in via Scarsellini erano “umanitari”, ovvero un’occasione per tutelare le famiglie buttate in strada. Sebbene subalterno all’ossessione di sicurezza, l’operato di Rosatelli è utile per colorare di umanità le operazioni repressive. In questo incubo urbano la sinistra che governa la città (buona e inclusiva) e la destra a capo della regione (cinica e cattiva) sono complementari e collaborano nella guerra contro i nemici pubblici degli ultimi mesi: gli occupanti di case, i disperati nei camper parcheggiati in angoli d’asfalto.
Il linguaggio di giornalisti e rappresentanti delle istituzioni è sempre approssimativo, abile ad alternare l’ipocrisia al razzismo. Di certo dai loro discorsi sono rimosse le cause materiali, e storiche, che costringono le persone a occupare le case popolari lasciate vuote e abbandonate. Nel 2015 la giunta Fassino (Partito Democratico) sgomberò il campo di Lungo Stura Lazio, all’estrema periferia settentrionale della città. Lo sgombero fu governato da una cordata di enti del terzo settore che ottenne finanziamenti dal ministero dell’interno. Gli operatori sociali distinsero le famiglie meritevoli e quelle immeritevoli: alle prime furono offerte soluzioni abitative temporanee ed effimeri progetti d’integrazione; contro le seconde, rimaste sole, si mossero la Celere e le ruspe. Tutti, subito o dopo pochi anni, si trovarono senza casa. E ancora più cieco è stato lo sgombero nel 2020 del campo di via Germagnano, sempre accanto a una riva della Stura. Al governo c’era la giunta Appendino (Movimento 5 Stelle) e i capitali a disposizione erano inferiori. Alcune famiglie ottennero una casa per pochi mesi, altri baraccati furono costretti ad accettare mille euro in cambio della distruzione della baracca, a molti invece non fu offerto alcunché. Le ruspe rasero al suolo il campo nel pieno della pandemia. Gli occupanti di oggi non sono altri che i baraccati cacciati e dispersi anni fa.
Esiste un video di Chiara Appendino nell’aprile 2021: s’aggira in tacchi e cappotto nell’area del campo di via Germagnano. Afferma dinanzi alla macchina da presa: “Pian piano abbiamo liberato questo spazio. Considerate che si è arrivati ad avere più di mille persone, con baracche, proprio qui dove sono oggi. Dopo circa quattro anni di lavoro, ormai un anno fa, e dopo vent’anni e oltre di occupazione, abbiamo superato il campo, ma il nostro lavoro non è finito. Quindi oggi siamo tornati perché stiamo risistemando e ripulendo l’area per poterla restituire alla cittadinanza”. Era solo uno spot per la campagna elettorale: Appendino, alla disperata ricerca di voti, era abbastanza cinica da sfruttare la malasorte dei disperati. Dove c’erano le baracche lungo il fiume ora vedo luoghi abbandonati, i rifiuti lasciati dalle istituzioni e dagli enti del terzo settore riposano sotto una natura che germoglia. E gli esiliati dei campi sono costretti da anni a un nomadismo forzato, braccati dalla polizia se dormono in un camper o se osano spaccare la porta di una casa disabitata. Questa la terribile banalità dei meccanismi di governo: si cercava il consenso elettorale grazie alla distruzione delle baracche, poi gli esclusi hanno trovato rifugi precari e adesso, ancora una volta, le classi dirigenti aspirano a una misera visibilità con nuovi sgomberi.
Frequento alcune famiglie che occupano le case, conosco persone che vivono con i bambini nei camper. So che le associazioni coinvolte nei progetti di superamento dei campi hanno offerto, dopo la distruzione delle baracche, appartamenti fatiscenti nelle abitazioni di Molino, speculatore e palazzinaro utile a tutte le istituzioni, anche a quelle progressiste. Una volta finiti i soldi dei progetti, gli enti benevolenti hanno costretto le famiglie a uscire dai tuguri di Molino: sono finite in strada. So quanto le forze dell’ordine – dal corpo speciale della municipale dedicato ai “nomadi” alla polizia di stato – siano violente contro gli occupanti. So che gli agenti s’introducono nelle case con i manganelli spianati, incuranti dei minori. So che durante lo sgombero non viene offerta alcuna soluzione alternativa – neppure si propone la divisione del nucleo familiare con proposte rivolte alle madri e ai bambini. So che i funzionari di ATC si recano negli appartamenti ogni settimana e minacciano gli abitanti: “La prossima settimana vi buttiamo fuori”. Conosco la violenza razzista contro i rom, eppure ancora non avevo scritto questa parola, “rom”, perché davanti ai miei occhi si dispiega una sottile, efferata guerra contro un sottoproletariato che i governi urbani non riescono a irreggimentare, inquadrare.
Dagli eredi del fascismo agli ecologisti di sinistra ora al governo della Città, tutte le forze politiche sono complici di questo meccanismo. A Torino, tuttavia, brandelli di sinistra ancora non del tutto compromessa si aggregano in nome dell’antifascismo, della costruzione di un argine contro le destre. Davvero questa destra, per quanto nauseante, è l’origine dei problemi? Il razzismo e l’oppressione non sono forse radicati nell’intero complesso della società? Alla luce dell’ingiustizia la sicurezza e la legalità appaiono come feticci: basta liberarsene e difendere il diritto da parte dei poveri di occupare gli appartamenti di edilizia residenziale pubblica. Chiunque sia ancora dotato di una coscienza sociale dovrebbe ragionare sui modi e le strategie per aiutare e supportare le famiglie che occupano e rendere difficile il compito alla polizia e alle istituzioni.
È un presente avvolto nella dimenticanza, ma il ricordo lacera. Ho trovato un libro del 1999 dedicato alla storia e alla morte di Tonino Micciché: Morte di un militante siciliano. Meridionali nella Torino degli anni Settanta di Filippo Falcone. Micciché era un operaio Fiat, militante di Lotta Continua, impegnato nella lotta per la casa alla Falchera – erano gli anni Settanta. Allora le case popolari erano occupate dagli operai esclusi da dimore degne e si cercava una convergenza con i legittimi assegnatari per evitare una guerra tra poveri e individuare le responsabilità della crisi abitativa nel governo urbano e nelle classi padronali. Alla fine del libro vedo una foto della Falchera: c’è una barricata a difendere le case occupate e leggo tre scritte: “W le occupazioni”, “W la classe operaia”, “Vietato l’accesso alla polizia”. Ritrovo nel libro un documento dei comitati di occupanti: “Per un operaio diventa sempre più un lusso vivere in una casa decente […], ci costringono a vivere in tuguri nonostante una vita di lavoro. Abbiamo occupato gli alloggi in segno di protesta […]. La nostra è una lotta di sfruttati contro sfruttatori”. Oggi le fabbriche sono vuote, è vero, le piazze spesso silenti e gli oppressi a stento sopravvivono, eppure a Torino si occupano ancora le case popolari.
Tratto: https://napolimonitor.it/dalla-parte-di-chi-occupa-le-case-popolari-a-torino/