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lunedì, 15 Settembre 2025

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

Fascismo nella Marca Trevigiana: Il Saggio su Treviso 1922–1924

La Pene­tra­zio­ne del fasci­smo nel­la Mar­ca tre­vi­gia­na, La Mar­cia sul­le ammi­ni­stra­zio­ni comu­na­li, 1922–1924

a cura di Lucio De Bor­to­li e Ame­ri­go Manes­so

Tre­vi­so, Istre­sco, Spi Cgil, 2024, pp. 302, € 20.00

Era il 1999, quan­do i Sen­za sicu­ra, ska – punk da Tre­vi­so, sciol­ti­si ormai da mol­ti anni e tut­ta­via rima­sti nel­la memo­ria, chiu­de­va­no l’ultima trac­cia del loro secon­do album per la Gri­da­lo for­te, Radi­ci sen­za ter­ra, con il coro aggra­zia­to “Gen­ti­li­ni ce lo suca, alé, alé”. La loro cit­tà era, infat­ti, nel bel mez­zo del­la lun­ga sin­da­ca­tu­ra di Gian­car­lo Gen­ti­li­ni, Sin­da­co dal 1994 al 2003, Vice­sin­da­co fino al 2013 e, anco­ra, Con­si­glie­re nel 2018, recen­te­men­te scom­par­so. Il pri­mo sin­da­co – sce­rif­fo, indub­bia­men­te ante­si­gna­no, per cer­ti ver­si assie­me a Gian­car­lo Cito di Taran­to, di un modo disgra­zia­ta­men­te fol­klo­ri­sti­co di inten­de­re la poli­ti­ca ammi­ni­stra­ti­va ed il rap­por­to con la cit­ta­di­nan­za. Un leghi­sta di ori­gi­ni demo­cri­stia­ne che, una vol­ta elet­to, ha mani­fe­sta­to tut­to il suo visce­ra­le anti­co­mu­ni­smo ed il con­tra­sto all’immigrazione nel nome del­le “cit­tà più sicu­re”, rila­scian­do dichia­ra­zio­ni raz­zi­ste che pun­tual­men­te fini­va­no in pri­ma pagi­na. Il suo, di fat­to, filo – fasci­smo lo avreb­be altre­sì por­ta­to a rifiu­ta­re il seces­sio­ni­smo di Bos­si. Un esem­pio che avreb­be fat­to scuo­la, e non esclu­si­va­men­te nel­la sola destra, in una real­tà com­ples­sa ed arti­co­la­ta com’era comun­que quel­la di Tre­vi­so, allo­ra al cen­tro del model­lo di svi­lup­po det­to del Nor­de­st.

Com­ples­sa ed arti­co­la­ta era anche la sto­ria del­la cit­tà vene­ta, fat­ta di pecu­lia­ri ori­gi­ni socio­po­li­ti­che che ave­va­no subi­to una radi­ca­le tra­sfor­ma­zio­ne duran­te il Ven­ten­nio, con quel­la mas­sic­cia ter­zia­riz­za­zio­ne che avreb­be influi­to nel dna di mol­ti cen­tri mino­ri del Pae­se.

Il sag­gio in que­stio­ne rico­strui­sce le cir­co­stan­ze in cui que­sto pro­ces­so ebbe ini­zio. Occor­re, anzi­tut­to, ricor­da­re che nel Tre­vi­gia­no era atte­sta­to il Fron­te del­la Gran­de guer­ra, lì pas­sa il Pia­ve, lì c’è il Comu­ne di Cene­da, ribat­tez­za­to Vit­to­rio Vene­to. Tre­vi­so era quin­di la “Cit­tà di retro­via”, con il pro­ble­ma del­la gestio­ne dei pro­fu­ghi e, imme­dia­ta­men­te dopo, del­la rico­stru­zio­ne dei ter­ri­to­ri dan­neg­gia­ti dal Con­flit­to. Un’area, quin­di, poten­zial­men­te suscet­ti­bi­le alla pro­pa­gan­da nazio­na­li­sta alla qua­le, inve­ce, rispo­se in modo non uni­vo­co.

Tre­vi­so, a tal pro­po­si­to, era assur­ta alle cro­na­che nazio­na­li per i disor­di­ni del luglio 1921, assie­me a Viter­bo, Sar­za­na e Roc­ca­stra­da. Nel mez­zo di quel mese incan­de­scen­te, in una spe­cie di avvi­cen­da­men­to con le Tre gior­na­te di Viter­bo, 10–12 luglio, Tre­vi­so (una curio­si­tà: le sigle del­le due cit­tà sono le stes­se let­te­re capo­vol­te, Tv e Vt), dal 12 al 14 vede l’incursione puni­ti­va dei fasci­sti, su cui gli stes­si auto­ri han­no, per il Cen­te­na­rio dei fat­ti, redat­to un con­tri­bu­to (Squa­dri­sti vene­ti all’assalto di Tre­vi­so, Istre­sco, 2021), col­man­do quel­lo che era un vero e pro­prio vuo­to biblio­gra­fi­co. A chi era mag­gior­men­te rivol­to nei fat­ti quell’assalto? Il prin­ci­pa­le ber­sa­glio era indub­bia­men­te nel­le orga­niz­za­zio­ni par­ti­ti­che, sin­da­ca­li e socio­cul­tu­ra­li cat­to­li­che. E qui venia­mo alla spe­ci­fi­ci­tà del­la sto­ria in ogget­to.

Esi­ste cer­to, qui come altro­ve, una pre­sen­za socia­li­sta, che fa rife­ri­men­to al perio­di­co “Il Lavo­ra­to­re” e che ammi­ni­stra alcu­ni comu­ni ma che sul ter­ri­to­rio si mani­fe­sta in modo discon­ti­nuo. Il gros­so del­la Mar­ca è ege­mo­niz­za­to dai cat­to­li­ci, dal 1919 orga­niz­za­ti nel Par­ti­to popo­la­re ita­lia­no (Ppi), che fan­no rife­ri­men­to ai perio­di­ci “Il Pia­ve” e “L’Idea”, ed è comun­que con­si­sten­te, seb­be­ne più a mac­chia di leo­par­do, la com­po­nen­te repub­bli­ca­na, con il perio­di­co “La Riscos­sa”. Qui, i cogno­mi del­le per­so­na­li­tà di spic­co del­le due ten­den­ze poli­ti­che fini­sco­no ad esse­re fon­te di agget­ti­va­zio­ne per chi si pone al loro segui­to. Per i repub­bli­ca­ni si par­la di “ber­ga­mi­ni”, in base alla figu­ra di Gui­do Ber­ga­mo e, per i popo­la­ri, di “coraz­zi­nia­ni”, per via di Gue­sep­pe Coraz­zin, instan­ca­bi­le agi­ta­to­re poli­ti­co e sin­da­ca­le cat­to­li­co, fon­da­to­re de “Il Pia­ve” e diri­gen­te dell’Unione del lavo­ro. La sua mor­te, avve­nu­ta il 18 novem­bre 1925, a segui­to del bru­ta­le pestag­gio subi­to dal­le cami­cie nere a Tre­vi­so nell’ottobre dell’anno pri­ma, men­tre pas­seg­gia­va con la moglie incin­ta Emi­lia Cal­de­ri­no, che lo ave­va for­te­men­te mina­to nel fisi­co, è indi­ca­ti­va per il sen­so del­la sto­ria qui rico­strui­ta.

Sot­to il pro­fi­lo, per così dire, tec­ni­co, la pre­sa del­le ammi­ni­stra­zio­ni da par­te fasci­sta è avve­nu­ta qui un po’ con le stes­se moda­li­tà riscon­tra­te altro­ve: dimis­sio­ni degli ammi­ni­stra­to­ri e dei con­si­glie­ri a segui­to di minac­ce e coer­ci­zio­ni, con la ver­ba­liz­za­zio­ne di fit­ti­zie moti­va­zio­ni per­so­na­li o d’altro tipo. Un pro­ces­so che avreb­be visto una for­te acce­le­ra­zio­ne a segui­to del­la Mar­cia su Roma, “per il muta­to qua­dro poli­ti­co”, con il con­se­guen­te scio­gli­men­to del­le giun­te, nuo­ve ele­zio­ni con liste di soli fasci­sti, o di nota­bi­li a loro fun­zio­na­li, ed ecco la pre­sa del pote­re. I fasci­sti, anche qui come altro­ve, sono rap­pre­sen­tan­ti dei ceti pos­si­den­ti e pri­vi­le­gia­ti, con qual­che reclu­ta pro­ve­nien­te dal­le for­ze già rivo­lu­zio­na­rie, attra­ver­so il pri­sma dell’interventismo. Non man­ca­no qui gran­di pro­prie­ta­ri di ori­gi­ne austroun­ga­ri­ca minac­cia­ti nei loro beni dal­le espro­pria­zio­ni. Le moda­li­tà di azio­ne sono le stes­se: pri­ma di pas­sa­re alle mani, si minac­cia­no som­mi­ni­stra­zio­ni di olio di rici­no e di “san­to man­ga­nel­lo”, facen­do nomi e cogno­mi, dal­le colon­ne di “Cami­cia nera”, orga­no del Fascio di Tre­vi­so.

La spe­ci­fi­ci­tà è data dal com­por­ta­men­to del­le for­ze poli­ti­che pro­le­ta­rie e popo­la­ri dinan­zi all’avanzata fasci­sta. I repub­bli­ca­ni, poten­zial­men­te i più attrat­ti dal­le sire­ne del­la pro­pa­gan­da mus­so­li­nia­na, vista la sim­bio­si del loro pro­gram­ma con quel­lo ini­zia­le dei Fasci, qui si pon­go­no in una net­ta posi­zio­ne pro­to – anti­fa­sci­sta, cosa che non si veri­fi­ca in tut­te le aree del Pae­se; anche se in que­sto àmbi­to non è del tut­to da esclu­de­re l’indirizzo del­le rispet­ti­ve log­ge mas­so­ni­che di obbe­dien­za.

Di asso­lu­to inte­res­se è la vicen­da dei cat­to­li­ci. Il Ppi nasce nel 1919 e tro­va, per così dire, la pap­pa pron­ta: non deve far­si cono­sce­re e agi­ta­re il pro­prio pro­gram­ma tra le mas­se, poten­do con­ta­re sul­le plu­ri­se­co­la­ri strut­tu­re eccle­sia­sti­che e, in par­ti­co­la­re, sul­le loro arti­co­la­zio­ni di base, vale a dire i par­ro­ci. Si va alle ele­zio­ni ammi­ni­stra­ti­ve e si pren­de tut­to, ma le sole urne non basta­no: ci sono dei fer­men­ti che agi­ta­no la socie­tà ita­lia­na e che vedo­no pro­ta­go­ni­sta il mon­do con­ta­di­no – orga­niz­za­to nel­le leghe bian­che -, nel Tre­vi­gia­no più con­si­sten­te che in altre par­ti, alme­no in rela­zio­ne al com­ples­so del­le atti­vi­tà lavo­ra­ti­ve.

Nel Bien­nio ros­so si veri­fi­ca qui il feno­me­no del cosid­det­to Bol­sce­vi­smo bian­co, per­ché spes­so sono gli asso­cia­ti alle orga­niz­za­zio­ni cat­to­li­che che pren­do­no ini­zia­ti­va e la por­ta­no a ter­mi­ne con una cer­ta vee­men­za. Si par­la di Ardi­ti bian­chi (una deno­mi­na­zio­ne che sareb­be tor­na­ta poco dopo nel Cre­mo­ne­se per defi­ni­re i popo­la­ri vici­ni al Depu­ta­to Gui­do Miglio­li) che com­pio­no azio­ni con­tro il padro­na­to, fino a dare l’assalto alle abi­ta­zio­ni e a far sot­to­scri­ve­re i pat­ti colo­ni­ci ai lati­fon­di­sti con la for­za. Insom­ma, una vera a pro­pria orga­niz­za­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria nel­le azio­ni che, però, riflui­to il Bien­nio ros­so sem­bra dis­sol­ver­si. Nel Bien­nio nero, quel­lo dell’offensiva fasci­sta del 1921–22, lad­do­ve i fasci­sti si ricor­da­no a memo­ria dei bol­sce­vi­chi bian­chi con­tro cui inten­do­no infat­ti com­pie­re la ven­det­ta dei pos­si­den­ti, que­sti Ardi­ti sem­bra­no scom­par­si come enti­tà, e la rispo­sta di stra­da spet­ta agli Ardi­ti del popo­lo, che anche nel­la Mar­ca si orga­niz­za­no ed agi­sco­no, e ai comu­ni­sti, che fan­no rife­ri­men­to a “L’Eco dei soviet”, pub­bli­ca­to a Vene­zia, con tut­ti i limi­ti poli­ti­ci ed orga­niz­za­ti­vi del caso.

Sul­la dis­so­lu­zio­ne di que­sto ardi­ti­smo bian­co, aldi­là dei fat­to­ri ogget­ti­vi ed uni­ver­sa­li, non è da esclu­de­re abbia­no gra­va­to i ten­ten­na­men­ti del­la diri­gen­za Ppi che sta­va, pez­zo per pez­zo, ceden­do ai fasci­sti, accu­san­do i set­to­ri sin­da­ca­li e pro­le­ta­ri di estre­mi­smo. E pro­prio con l’accusa di estre­mi­smo era sta­to espul­so l’esponente Cor­ra­di­no Ita­li­co Cap­pel­lot­to, che, giu­sto nel 1921, fon­da­va quin­di il Par­ti­to cri­stia­no del lavo­ro.

In con­clu­sio­ne, come si vede, una sto­ria loca­le che si dimo­stra espli­ca­ti­va per la com­pren­sio­ne del qua­dro poli­ti­co nazio­na­le, che si sia a cono­scen­za di nomi e loca­li­tà cita­ti o meno. Il volu­me si pre­sen­ta come rac­col­ta di con­tri­bu­ti sull’argomento. Tra gli auto­ri, oltre ai cura­to­ri: Ales­sio Bar­baz­za, Pier Pao­lo Bre­sca­cin, Loren­zo Capo­vil­la, Gia­cin­to Cec­chet­to, Danie­le Ceschin, Isa­bel­la Gia­nel­lo­ni, Simo­ne Mene­gal­do e Iva­no Sar­tor. Han­no com­pi­to un lavo­ro otti­mo nei con­te­nu­ti e nel­la scrit­tu­ra, basan­do­si su con­si­sten­ti fon­ti d’archivio, libra­rie ed eme­ro­te­ca­rie, con la capa­ci­tà di anda­re subi­to al sodo, sen­za tan­ti rag­gi­ri, e di coglie­re, come si deve, la sto­ria sul fat­to.

Sil­vio Anto­ni­ni

 

 

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