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martedì, 11 Marzo 2025

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

Il Canzoniere del proletariato, Le Canzoni di Lotta continua, I Testi e le musiche, a cura di Massimo Roccaforte

Rimi­ni, Inter­no 4, 2024, 2 cd + libro, pp. 144, € 35.00

I con­te­nu­ti poli­ti­ci di una can­zo­ne, rispet­to a quel­li amo­ro­si e mora­li, pre­sen­ta­no in gene­re un limi­te: quel­lo di esse­re più stret­ta­men­te lega­ti all’epoca del­la com­po­si­zio­ne. Fat­ti, luo­ghi, cir­co­stan­ze e per­so­ne la cui memo­ria può esse­re anda­ta per­sa per le più sva­ria­te ragio­ni: natu­ra­li pro­ces­si di sele­zio­ne mne­mo­ni­ca, l’obsolescenza dinan­zi al muta­re del qua­dro socia­le e cul­tu­ra­le del­le epo­che, ed altro anco­ra.

In que­sti casi, per la pie­na con­sa­pe­vo­lez­za di ciò che si ascol­ta, occor­ro­no suf­fi­cien­ti cono­scen­ze sto­rio­gra­fi­che o, vice­ver­sa, si può tro­va­re spun­to pro­prio per cono­sce­re, appro­fon­di­re e, maga­ri, rav­vi­va­re il ricor­do di ciò che la col­tre del tem­po ha coper­to ma che è rima­sto lì, ha la sua impor­tan­za, per­ché ha ine­vi­ta­bil­men­te riguar­da­to vita, biso­gni e aspi­ra­zio­ni di don­ne e uomi­ni del pas­sa­to più o meno remo­to. Ed il pas­sa­to, nel­la sua inte­rez­za, nei suoi slan­ci e nel­le sue cadu­te, è ciò che ci ha por­ta­to qui dove sia­mo.

Venia­mo quin­di a que­sta rac­col­ta, pub­bli­ca­ta dall’interessante real­tà edi­to­ria­le mul­ti­me­dia­le del­la Inter­no 4, con la col­la­bo­ra­zio­ne de La Lun­ga rab­bia, Archi­vio del lun­go ses­san­tot­to ita­lia­no, espe­rien­za che, sfo­cia­ta sui social con ampi riscon­tri ed inte­ra­zio­ni, ripro­po­ne il mate­ria­le dell’epoca, con mol­to ine­di­to. Due cd con­te­nen­ti 41 bra­ni per 138 minu­ti di musi­ca, pro­dot­ta dal 1969 al 1974, alle­ga­ti ad un viva­ce libro con title track, testi, con­tri­bu­ti dell’epoca, par­ti dida­sca­li­che e ripro­du­zio­ne ana­sta­ti­ca dei boo­klet dai vini­li ori­gi­na­li. Si nota a riguar­do come fos­se già in uso la tec­ni­ca cut and paste, rita­glio ed incol­la­tu­ra, che avreb­be poi carat­te­riz­za­to la gra­fi­ca punk.

Qui il punk, anti­ci­pa­to dal­lo spi­ri­to do it your­self, dal­la con­se­guen­te qua­li­tà low – fi, da cer­ta este­ti­ca situa­zio­ni­sta e anche — per­ché no? — dai con­te­nu­ti, soprat­tut­to per quan­to riguar­da l’Italia, è però anco­ra lon­ta­no nell’impatto sono­ro. I bra­ni sono tut­ti clas­si­fi­ca­bi­li sot­to quel­lo che all’epoca veni­va defi­ni­to folk: voce, tal­vol­ta solo quel­la, chi­tar­ra, qual­che armo­ni­ca a boc­ca, qual­che flau­to, più rara­men­te una per­cus­sio­ne per dare il rit­mo e pochis­si­mo altro. Ban­di­ti gli stru­men­ti elet­tro­ni­ci, gli stes­si, del resto, che in quel perio­do era­no moti­vo d’interdizione dal­la label I Dischi del sole. Le arie ripre­se sono a vol­te quel­le tra­di­zio­na­li del movi­men­to ope­ra­io, a loro vol­ta deri­van­ti da chis­sà dove, del­la tra­di­zio­ne popo­la­re in gene­ra­le, dal folk angloa­me­ri­ca­no e irlan­de­se, dal caba­ret e l’avanspettacolo o anche dal­le hit del momen­to. Pote­va capi­ta­re che il testo scrit­to sopra fos­se una rispo­sta a quel­lo del­la musi­ca ori­gi­na­le. Qui suben­tra­va una dupli­ce fun­zio­ne: la, sem­pre inci­si­va, paro­dia dell’originale e nel­lo stes­so tem­po l’appoggio su una melo­dia cono­sciu­ta, espe­dien­te essen­zia­le deri­va­to dall’epoca in cui le tec­no­lo­gie per la ripro­du­zio­ne del suo­no non era­no dif­fu­se ma si can­ta­va dap­per­tut­to, in ogni momen­to, nel tem­po libe­ro, da soli e in coro, per entra­re in sin­to­nia con gli altri, per ingan­na­re il tem­po, sop­por­ta­re la mono­to­nia e alle­via­re la fati­ca. Da qui, infat­ti, l’esigenza di par­ti­ti ed orga­niz­za­zio­ni di dotar­si di can­ta­sto­rie, can­ta­cro­na­che e cir­cui­ti musi­ca­li per pro­pa­gan­da­re le pro­prie posi­zio­ni e gua­da­gna­re con­sen­so. I par­ti­ti, in gene­re, pro­du­ce­va­no dischi, soli­ta­men­te 45 giri, per le sca­den­ze elet­to­ra­li. Non si sa quan­to que­sti ele­men­ti abbia­no inci­so sui risul­ta­ti ma la cosa, evi­den­te­men­te, ave­va una sua effi­ca­cia, tan­to­ché vi avreb­be fat­to ricor­so, in tem­pi suc­ces­si­vi, anche l’estrema destra, con sbia­di­ti sco­piaz­za­men­ti di quan­to si pro­du­ce­va sul fron­te oppo­sto.

Nel caso spe­ci­fi­co, si rac­co­glie quan­to edi­ta­to da Lot­ta con­ti­nua (Lc), cioè dal grup­po del Pote­re ope­ra­io pisa­no fino a quan­do Lc si appre­sta­va a diven­ta­re par­ti­to, come sareb­be avve­nu­to nel 1975, per poi pren­de­re par­te alle Ele­zio­ni poli­ti­che dell’anno suc­ces­si­vo. Lc vuol dire sì dei pun­ti sostan­zial­men­te fer­mi e obiet­ti­vi ben defi­ni­ti ma sen­za dog­ma­ti­smi ideo­lo­gi­ci, con la neces­sa­ria fles­si­bi­li­tà e la capa­ci­tà di adat­ta­men­to alle diver­se con­di­zio­ni ogget­ti­ve. I bra­ni immor­ta­la­no quel fran­gen­te di slan­cio avu­to a segui­to del Ses­san­tot­to. Il pas­sa­to, la tra­di­zio­ne appa­io­no ma non sono pre­do­mi­nan­ti: si guar­da al futu­ro e con abbon­dan­ti fughe in avan­ti dove si pre­sa­gi­sce l’imminente scon­vol­gi­men­to rivo­lu­zio­na­rio, atto a spaz­za­re via il vec­chio mon­do, così come le for­mu­le con­si­de­ra­te pal­lia­ti­ve del­le rifor­me di strut­tu­ra. Lo scon­tro cam­pa­le in fin dei con­ti è tra il pro­le­ta­ria­to e i padro­ni, con que­sti desti­na­ti ine­so­ra­bil­men­te a soc­com­be­re sot­to il fuo­co del­la clas­se ope­ra­ia. Non ci sono mez­ze misu­re. Ebbe­ne, già cin­quan­tun anni fa, cioè negli scrit­ti ripro­po­sti nel testo, si comin­cia a guar­da­re a que­sto slan­cio con un cer­to distac­co, con­sta­ta­ta la dif­fi­col­tà d’uno sboc­co rivo­lu­zio­na­rio, alme­no a bre­ve ter­mi­ne, che pure i fer­men­ti socia­li e poli­ti­ci ave­va­no fat­to sem­bra­re a por­ta­ta di mano.

Fac­cia­mo quin­di una pano­ra­mi­ca nel meri­to del­le trac­ce ripro­dot­te, per cui, scri­ve in intro­du­zio­ne il cura­to­re, “in stu­dio è sta­to fat­to uni­ca­men­te un lavo­ro di sele­zio­ne, equa­liz­za­zio­ne, master e con­trol­lo”, lascian­do rumo­ri, fru­scii e distor­sio­ni degli ori­gi­na­li, di modo da con­ser­var­ne le atmo­sfe­re. Alcu­ni bra­ni man­ten­go­no inal­te­ra­to il loro poten­zia­le alla pro­va del tem­po, altri ine­vi­ta­bil­men­te meno. Si can­ta pre­va­len­te­men­te in ita­lia­no, con qual­che espres­sio­ne di dia­let­to o di infles­sio­ne dia­let­ta­le. Testi e voci, con una cer­ta inter­scam­bia­bi­li­tà, sono prin­ci­pal­men­te di Alfre­do Ban­del­li, Ric­car­do Boz­zi, Pino Masi e Pie­ro Nis­sim ma il col­let­ti­vo pre­va­le comun­que sul sin­go­lo, che c’è, maga­ri deter­mi­na ma non è cen­tra­le. Com­pa­io­no anche altre espres­sio­ni col­let­ti­ve loca­li come il Can­zo­nie­re di Saler­no. Si nota, in lar­ga par­te, un per­lo­più riu­sci­to lavo­ro di tra­spo­si­zio­ne in can­ta­to del­le posi­zio­ni e del­le poli­ti­che di inter­ven­to di Lc.

Si par­te ovvia­men­te dal Pisa­no, con pez­zi come Mario del­la Piag­gio, Gino del­la Pigno­ne e 15 otto­bre alla Saint Gobain: nomi di diver­si com­ples­si indu­stria­li che nei decen­ni suc­ces­si­vi, sino ad oggi, sareb­be­ro tor­na­ti alle cro­na­che ma per la chiu­su­ra, lo sman­tel­la­men­to, le acqui­si­zio­ni di mul­ti­na­zio­na­li stra­nie­re e le delo­ca­liz­za­zio­ni. Allo­ra si era anco­ra nel ciclo espan­si­vo; il muta­men­to c’era già ma in super­fi­cie anco­ra non si avver­ti­va.

I prin­ci­pa­li bra­ni – mani­fe­sto sono: Lot­ta con­ti­nua, Pren­dia­mo­ci la cit­tà e L’Ora del fuci­le, dove si annun­cia­no attra­ver­so pen­nel­la­te le idee e le pro­spet­ti­ve di Lc nei vari ambi­ti del­la socie­tà per cui, in altre can­zo­ni, si entra nel­lo spe­ci­fi­co, con le carceri/ Dan­na­ti del­la Ter­ra (Libe­ra­re tut­ti, etc.), le caserme/ Pro­le­ta­ri in divi­sa (Que­sta pri­gio­ne è scu­ra e Ti rin­gra­zio mini­stro), i quar­tie­ri (Via Tibal­di taran­té e Roma, San Basi­lio), l’emigrazione (Sare­te voi padro­ni ad emi­gra­re e Non pian­ge­re oi bel­la) e i tri­bu­ti ai com­pa­gni feri­ti e cadu­ti (Quel­la not­te davan­ti alla Bus­so­la, La Bal­la­ta del Pinel­li, il bra­no con ogni pro­ba­bi­li­tà più famo­so del­la com­pi­la­zio­ne, Com­pa­gno Sal­ta­rel­li noi ti ven­di­che­re­mo, Toni­no Micic­ché e Quel­lo che mai potran fer­ma­re). Per le que­stio­ni stret­ta­men­te inter­na­zio­na­li c’è Il Cile è già un altro Viet­nam, men­tre sull’Irlanda del Nord, su cui Lc ave­va una par­ti­co­la­re atten­zio­ne, ci sono tre tra­du­zio­ni: Libe­ra Bel­fa­st, No, nes­su­no mai ci fer­me­rà e I Volon­ta­ri di Bog­si­de. Con­tro la sini­stra tra­di­zio­na­le, spic­ca il pez­zo Ber­lin­guer. Diver­si i bra­ni a carat­te­re più gene­ra­le, dove maga­ri si affron­ta­no insie­me la con­di­zio­ne pro­le­ta­ria, le que­stio­ni di ver­ten­za azien­da­le e gli attac­chi a sin­go­li espo­nen­ti poli­ti­ci, in cui il tut­to è chia­ra­men­te inqua­dra­to nel­la con­flit­tua­li­tà di clas­se.

Alcu­ni tito­li sono ripre­si da inni allo­ra già tra­di­zio­na­li (il mon­do era cam­bia­to in fret­ta) del movi­men­to socia­li­sta e comu­ni­sta, con even­tua­li varian­ti più o meno inva­si­ve sul testo, come: L’Internazionale pro­le­ta­ria, Vi ricor­da­te quel 18 apri­le e Olé, olé, olé…, con De Gaspe­ri non se magna.

Sem­bra tut­to “ma non fini­sce qui!”.

Sil­vio Anto­ni­ni

 

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