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giovedì, 2 Gennaio 2025

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

Il corpo di “Che” Guevara

di Fran­co e Fran­ca Onga­ro Basa­glia *

“Il 17 otto­bre Fidel Castro ha con­fer­ma­to la mor­te di Erne­sto “Che” Gue­va­ra con que­ste paro­le che fac­cia­mo nostre: “Sol­tan­to agli impe­ria­li­sti può inte­res­sa­re che si dif­fon­da il dub­bio che egli sia anco­ra in vita… Non si deve per­de­re tem­po nel lascia­re che l’av­ver­sa­rio assu­ma l’of­fen­si­va psi­co­lo­gi­ca. I rivo­lu­zio­na­ri cre­do­no nel valo­re del­l’e­sem­pio, e un esem­pio come quel­lo di “Che” Gue­va­ra nes­su­no potrà mai eli­mi­nar­lo”.

Sono le paro­le di un rivo­lu­zio­na­rio vivo per un rivo­lu­zio­na­rio che non è più vivo. La “leg­gen­da” è per un rivo­lu­zio­na­rio, un esem­pio. Anche a noi non inte­res­sa il cor­po mor­to di “Che”, ma la sua mor­te rivo­lu­zio­na­ria; e la sua vita, che è una veri­tà pra­ti­ca. Il lin­guag­gio del­la stam­pa impe­ria­li­sta inter­na­zio­na­le (e anche di quel­la comu­ni­sta), in que­sti gior­ni divi­si tra cer­tez­ze e incer­tez­ze “sen­sa­zio­na­li”, è sta­to il lin­guag­gio di chi non sa tra­sfor­ma­re una mor­te impro­pria vit­to­ria “Il mito del­l’e­roe del­la Sier­ra Mae­stra”, il “leg­gen­da­rio guer­rie­ro”, la “leg­gen­da che nasce dal sacri­fi­cio”, il “miti­co per­so­nag­gio fra roman­ti­ci­smo e rivo­lu­zio­ne”, “mez­zo Don Chi­sciot­te e mez­zo Saint Just”. Si pub­bli­ca­no le foto­gra­fie del suo cor­po come un tro­feo di cac­cia, una pre­da ucci­sa. Lo si vuo­le con­se­gna­re, mor­to, al mito per­ché se ne impa­dro­ni­sca, e lo si ucci­da una secon­da vol­ta.

Nes­su­no sa par­la­re di “Che” Gue­va­ra oltre la sua per­so­na, che appa­re fuo­ri dal­la sto­ria, del­la real­tà; lo si è stac­ca­to, lo si sepa­ra dal­la cau­sa per la qua­le è mor­to. Ora che il suo cor­po è mor­to sono dispo­sti a defi­nir­lo secon­do i valo­ri che “Che” da vivo ave­va nega­to nel­la sua azio­ne, nel­l’a­zio­ne dei suoi (e nostri) com­pa­gni di lot­ta. Si pen­sa che la sua mor­te sia la mor­te del­la rivo­lu­zio­ne: e non gli resta­no che la leg­gen­da e il mito. Così è sta­ta con­su­ma­ta — nel giro di que­sti gior­ni — la secon­da, vera mor­te di “Che”; ed è que­sta mor­te che noi rifiu­tia­mo. Il cor­po mor­to di “Che” è offe­so ed espo­sto, tor­tu­ra­to e tra­fu­ga­to. Di que­sto cor­po mor­to nel­la rivo­lu­zio­ne si è volu­to fare un fan­ta­sma ideo­lo­gi­co o una cosa iner­te e per­du­ta: il cor­po mor­to del­la rivo­lu­zio­ne che non fa più pau­ra e può esse­re esor­ciz­za­to, subli­ma­to, misti­fi­ca­to. Si vuo­le inte­gra­re il suo cor­po mor­to nel siste­ma che “Che” con­ti­nua a nega­re.

Fino a ieri era un nemi­co da com­bat­te­re, per­ché ave­va scel­to la nega­zio­ne che lo por­ta­va ad accen­de­re nuo­vi foco­lai, nuo­ve “luci” di ribel­lio­ne e di lot­ta. Ora che è mor­to non si voglio­no più vede­re que­gli incen­di-luci. Ora che è mor­to è più “giu­sto” (secon­do la giu­sti­zia degli oppres­so­ri) fare di lui il per­so­nag­gio per dimo­stra­re dun­que l’am­bi­gui­tà del­la sua azio­ne, e le dif­fi­col­tà del suo pote­re di ribel­lio­ne. Diven­ta così uno dei valo­ri “rea­li” di que­sto nostro siste­ma con­trad­dit­to­rio; per negar­ne la con­trad­dit­to­rie­tà. Infat­ti il nostro siste­ma ha i suoi mar­ti­ri, fab­bri­ca e col­ti­va il necro­lo­gio e il mar­ti­ro­lo­gio dei suoi nemi­ci; e li ono­ra per la mor­te che ha loro decre­ta­to.

Ma è que­sta leg­gen­da che rifiu­tia­mo; come rifiu­tia­mo l’u­so del cor­po dei con­ta­di­ni viet­na­mi­ti, dei neri di Detroit, di tut­ti gli oppres­si che soc­com­bo­no con la vio­len­za alla vio­len­za. La loro mor­te e più che mor­te; que­sto più non può esse­re sot­trat­to, deru­ba­to. Noi voglia­mo che il cor­po di “Che” sia mor­ti­fi­ca­to, vio­len­ta­to e offe­so dai suoi nemi­ci come lo era in vita. Voglia­mo che si con­ti­nui a con­si­de­rar­lo come il cor­po del­la vio­len­za, il cor­po “scan­da­lo­so” del­la rivo­lu­zio­ne che con­ti­nua ad esi­ste­re al di là del­la mor­te, fin­ché c’è sopraf­fa­zio­ne, vio­len­za e oppres­sio­ne. Per­ché si con­ti­nui a rico­no­scer­lo come il rivo­lu­zio­na­rio, il guer­ri­glie­ro, il com­pa­gno che è sta­to in vita, negan­do­lo nel­l’e­sal­ta­zio­ne dei suoi ucci­so­ri. “Che” Gue­va­ra è pre­sen­te come cor­po-vio­len­za e cor­po-rivo­lu­zio­ne fin­ché esi­sto­no i Bar­rien­tos e l’im­pe­ria­li­smo che li inven­ta e i “monu­men­ti” costrui­ti per la mor­te del loro nemi­co.

La mor­te, per “Che” era sem­pre pre­sen­te: una mor­te accet­ta­ta e gio­ca­ta, un suo pro­dot­to, una scel­ta e una sfi­da. Ora le idee e le azio­ni di lui sono le azio­ni e le idee di tut­ti colo­ro che ascol­ta­no, e agi­sco­no: la neces­si­tà di vio­len­za l’u­ni­ver­sa­li­tà degli oppres­si “con­tro il nemi­co del gene­re uma­no”, la real­tà del­la coscien­za rivo­lu­zio­na­ria.

*Scrit­to in occa­sio­ne del­la mor­te di Gue­va­ra — in col­la­bo­ra­zio­ne con Fran­ca Onga­ro Basa­glia — e appar­so ori­gi­na­ria­men­te nel­la rivi­sta «Che fare. Bol­let­ti­no di cri­ti­ca e azio­ne d’avanguardia» N. 2, 8 novem­bre 1967.

Ha scrit­to Ugo Zam­bur­ro: “Due medi­ci, Basa­glia e il Che. Due visio­na­ri che met­te­va­no la liber­tà, i dirit­ti e la giu­sti­zia socia­le al cen­tro del loro agi­re. Ma, come dice­va il Che, entram­bi era­no visio­na­ri pra­ti­ci. Uno ha par­te­ci­pa­to all’incredibile vit­to­ria del­la rivo­lu­zio­ne cuba­na, un pugno di uomi­ni sbar­ca­to dal piro­sca­fo Gran­ma che ha scon­fit­to un eser­ci­to agguer­ri­to, ben arma­to e finan­zia­to dal­la CIA. L’altro, accom­pa­gna­to da un mani­po­lo di gio­va­ni col­la­bo­ra­to­ri, ha cam­bia­to la sto­ria del­la psi­chia­tria e ha san­ci­to la fine di quell’orrendo e vio­len­to luo­go che era il mani­co­mio”.

 

 

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