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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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Pensioni da fame, salari da fame e vita agra

salari

Le statistiche aiutano ma solo se rapportiamo i numeri ad una analisi oggettiva della realtà. Il nostro paese vive da troppi anni una crisi salariale e occupazionale che ha indebolito il potere di acquisto di salari e pensioni prosciugando anche parte dei risparmi familiari che dal 2008 ad oggi hanno iniziato ad assottigliarsi.

Gli assegni previdenziali scontano oggi, e in futuro, le riforme pensionistiche degli ultimi 20 anni che hanno decretato la fine di ogni aggancio automatico al costo della vita, il calcolo secondo il sistema contributivo era finalizzato a ridurre la spesa pubblica ma allo stesso tempo ha avuto ripercussioni negative sulla capacità di spesa. I pensionati da tempo svolgono un ruolo determinante per la sopravvivenza di interi nuclei familiari, sono l'ammortizzatore sociale indispensabile in nuclei dove il lavoro è spesso part time o precario e le retribuzioni fin troppo basse.

Fin qui niente di nuovo, giorni fa abbiamo letto che gran parte dei salari prevedono una paga oraria inferiore a 9 euro l'ora, oggi scopriamo che anche le pensioni basse sono più diffuse di quanto pensavamo.

Superano dieci milioni le pensioni con un importo assai inferiore a quello indicato per il reddito di cittadinanza, sono dati dell'Inps che spiegano come quasi 11 milioni di prestazioni, pari al 63% del totale, sono inferiori a 750 euro mensili. Se poi limitiamo la statistica alle sole donne si scopre che la percentuale arriva quasi al 75% del totale delle pensioni a confermare che proprio le donne vengono pagate meno e in vecchiaia, avendo meno contributi, percepiscono assegni previdenziali leggeri.

In un colpo solo scopriamo che la economia dei lavoretti riguarda soprattutto le donne come del resto la stragrande maggioranza dei part time, la questione salariale è del resto anche discriminazione di genere.

L'idea di mettere mano alle pensioni svela scenari preoccupanti, basti pensare che eliminando gli assegni di reversibilità o riducendo quelle di invalidità civile e per cause del lavoro avremmo assegni ancora più leggeri. Le pensioni calcolate con il sistema contributivo sono sempre piu' leggere e continueranno a calare in prospettiva futura, se poi pensiamo che innumerevoli prestazioni sanitarie sono escluse dalla gratuità della prestazione, è lecito pensare che dopo una vita magra, fatta di precarietà e lavoretti arriverà anche una vecchiaia in miseria.

La fragilità salariale e previdenziale sono il risultato delle riforme avvenute dagli anni novanta ai nostri giorni, tutte finalizzate a ridurre la spesa pensionistica, a sganciare le pensioni dalla rivalutazione, per non parlare poi dei contratti siglati con aumenti irrisori. Meno salario, contributi ridotti e calcoli dell'assegno svantaggiosi per la forza lavoro, è questa la emergenza taciuta in Italia, l'emergenza salariale che riguarda chi è ancora in produzione e quanti sono in pensione o vi andranno nei prossimi anni.

Fino ad oggi ha tenuto il pubblico impiego solo perché i lavoratori avevano gran parte della pensione calcolata con il retributivo ma nei prossimi anni le cose cambieranno e in peggio. Se poi dovessimo guardare alle pensioni di anzianità o anticipate scopriremmo che nel 2018 gran parte delle liquidazioni ha riguardato gli uomini, circa il 73%, le donne sono entrate tardi nel mercato del lavoro e tardi ne usciranno con assegni previdenziali irrisori.
Numerose poi sono le pensioni assistenziali, oggi rappresentano il 22% di quelle esistenti se escludiamo i settori della Pubblica amministrazione. Fatti due calcoli, il Governo scopre che nei prossimi anni , anche e soprattutto per l'invecchiamento della popolazione, la spesa previdenziale aumenterà, da qui la necessità di abbassare ulteriormente gli assegni individuali tagliando anche alcuni assegni pensionistici.
Quest’anno si parla di circa 290mila nuove pensioni anticipate con la “quota 100”, praticamente il doppio delle pensioni di anzianità del 2018 e senza capire quale sarà la spesa delle nuove pensioni di cittadinanza, prestazioni che andranno ad integrare i trattamenti previdenziali inferiori ai 750 euro mensili.
E poi sullo sfondo tornano a crescere le domande di cassa integrazione straordinaria, in un anno cresciute del 25%, e le domande di disoccupazione (più 13,5%), dati eloquenti a dimostrare come l'emergenza lavoro e quella salariale rappresentino ancora oggi la priorità, una priorità tuttavia disconosciuta dal Governo e occultata dalle parti sociali che continuano a sottoscrivere contratti con aumenti irrisori e con anni di ritardo compensati da irrisorie una tantum in più trances. È emblematico quanto sta accadendo nelle cooperative sociali, l'ultimo contratto nazionale arriva dopo 8 anni e i sindacati se la cavano con 300 euro di una tantum in due trances, con nuovi tabellari inadeguati. Nessun recupero salariale e un ulteriore cedimento in materia di diritto di sciopero, ecco il risultato della intesa contrattuale per le cooperative sociali sbandierata come conquista da parte di Cgil Cisl Uil. Ma ormai si chiamano conquiste e vittorie quelle che sono invece solo sconfitte e ignobili rese.

Federico Giusti – Lotta Continua Pisa (da Controlacrisi)

 

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