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BRASILE 2018: Gli dei rendono pazzi coloro che vogliono perdere

di Rodrigo Rivas

Tristeza não tem fim

“A felicidade do pobre parece
a grande ilusão do carnaval.
A gente trabalha o ano inteiro
por um momento de sonho
pra fazer a fantasia
de rei ou de pirata ou jardineira
pra tudo se acabar na quarta-feira.
Tristeza não tem fin
Felicidade, sim…”
[1]

 

Dal momento che le parole sono pietre, conviene sempre misurarle.

Da queste parti ultimamente si parla spesso di fascismo, penso spesso a sproposito, almeno per ora.

Di fascisti in giro ce ne molti. Si riconoscono dal piacere che vi traspare quando possono maltrattare qualcuno. Altri sono imboscati. Ad esempio, c’è un buon numero di ex picchiatori trasformati in senatori.

Non è il caso di Jair Bolsonaro, l’uomo di ultradestra che domenica 28 ottobre probabilmente diventerà presidente del Brasile. Infatti, Bolsonaro è un fascista a pieno tondo.

Il successo elettorale dei fascisti non è ormai un’eccezione in un continente dove la destra è da tempo all’attacco. E una destra con le briglie sciolte, senza ritegno. Per ora fa ancora qualche prigioniero. È avvenuto, ad esempio, con Lula. Temo avverrà tra non molto con Cristina Fernández Kirchner. E resta in lista d’attesa, ma lì più che i tribunali potrebbero parlare i fucili, Nicolas Maduro in Venezuela.

Il Brasile è la settima economia al mondo, ma non è simpatico ricordarglielo a chi crede che lo sviluppo economico rappresenti una sorta di cura per gli estremismi (parlo di quelli che ci credono, non dei propagandisti). Ma questo tema lo affronteremo in un altro momento.

Per ora limitiamoci a Bolsonaro e cominciamo ricordando alcune sue frasi recenti:

Questo piccolo campionario rende difficile capire chi e perché l’ha votato, ad eccezione del capitale finanziario (che non ha bisogno di lavoratori), e del governo degli USA, che spera di calmare ogni voglia di autonomia del Brasile (e loro sperano di tutta la regione), contare sull’Amazzonia, impossessarsi dei giacimenti petroliferi sull’Atlantico, impossessarsi dell’agroindustria e infine, chiudere gli ormai moribondi organismi d’integrazione latinoamericana (CELAC e UNASUR soprattutto) e reintegrare l’area sotto il loro dominio economico (quest’ultimo sarà, forse, il punto più complicato, poiché la Cina è un ormai un partner primario del Brasile e della regione che sarà difficile espellere).

Secondo Jannacci, “se canta ti passa”. Quindi, anzitutto inizio da Gaber e “per ora rimando il suicidio, e faccio un gruppo di studio, le masse, la lotta di classe, i testi gramsciani, far finta di essere sani, far finta di essere”.[2]

Rasserenato, la spiegazione mi sembra riassunta da un commento di Walter Benjamin: “L’ascesa del fascismo è conseguenza di una rivoluzione frustrata”[3].

Scrivo pochi giorni prima del secondo turno delle elezioni presidenziali. Secondo l’ultimo sondaggio, Bolsonaro avrebbe il 50% delle intenzioni di voto contro il 35% di Fernando Haddad. Togliendo astenuti e voti bianchi e nulli, Bolsonaro dovrebbe imporsi col 59% contro il 41%. Per vincere, Haddad dovrebbe convincere nell’ultima settimana circa due milioni di votanti al giorno[4].

Manifestanti si coprono con fazzoletti che dicono: “Donne contro Bolsonaro. Elenao” (Lui no), Río de Janeiro. “Urlando Lui no e Lui mai, migliaia di donne hanno manifestato questo sabato 20 in almeno 19 Stati brasiliani per ripudiare il candidato di estrema destra, Jair Bolsonaro”. “La Jornada”, Città del Messico 21 ottobre 2018. La foto Ap è dello stesso articolo.

 

Poiché la speranza è l’ultima a morire, speriamo ancora “nel miracolo di Eva”, ossia nel fatto che la grande mobilitazione delle donne rovesci la situazione. Ma mi sembra comunque improbabile.

Dieci osservazioni veloci in attesa dei risultati:

  1. l’elezione di Bolsonaro cambia il segno politico all’intera regione. “L’America Latina va dove va il Brasile”, dicono a Washington. I fatti dicono che è proprio così.
  2. la sconfitta del PT segna la fine del periodo dominato dai governi progressisti.Alcuni si sono auto consumati (Nicaragua), altri sono stati rovesciati (Honduras, Paraguay), sono sull’orlo del disastro (Venezuela), sono stati sconfitti elettoralmente (Argentina, Brasile), sopravvivono in uno scontro permanente con altre ali del progressismo (Ecuador)… Probabilmente, il più saldo è quello boliviano che, tuttavia, deve far fronte a 2 problemi maggiori: la disputa territoriale con il Cile, che per ora la vede ingiustamente perdente, e la terza rielezione di Evo, che avverrà sia contro il testo costituzionale, sia contro i risultati di un referendum chiamato esclusivamente per autorizzarne la candidatura.
  3. per ora, il solo risultato controcorrente è quello messicano, con la elezione a presidente di Andrés Manuel Lopez Obrador. Non è poco: il Messico, il più popolato paese di lingua spagnola con oltre 3.000 km. di confine con gli USA, è la seconda economia della regione. Ma AMLO, come lo chiamano i messicani, eredita una situazione disastrosa, caratterizzata dalla crescita della povertà e delle disuguaglianze – situazione normale sotto il neoliberismo – ma che nel Messico si traduce nella perdita di controllo del territorio, buona parte del quale è in mano ai narcos, e nella estrema violenza generalizzata. Infatti, sotto gli ultimi tre governi eletti più meno democraticamente – ossia con dei brogli – la somma dei morti e scomparsi supera ampiamente il numero delle vittime assassinate dai militari nel ciclo militare sudamericano, iniziato nel 1964 con un colpo di Stato in Brasile e conclusosi formalmente con l’entrata in funzioni del primo governo democratico cileno dopo i quasi 18 anni di Pinochet, nel 1990.
  4. per di più, AMLO subisce sia le pressioni degli USA(dal muro e le trattative sul Trattato Nordamericano di Libero Commercio, NAFTA, alle minacce d’intervento sulla carovana di rifugiati centroamericani in marcia verso gli USA), che le pressioni del clero che, il 20 ottobre 2018, ha iniziato ad organizzare manifestazioni in tutto il Paese esigendo mettere fine a qualsiasi velleità riguardante i diritti civili che ledano la sacralità della famiglia tradizionale (coppie di fatto, aborto, diritti delle minoranze ecc.). Lo scopo sembra quello di tarpare le ali a qualsiasi tentativo riformista serio della nuova presidenza che entrerà in funzioni nel 2019. Anche su questo tema bisognerà tornare con calma.
  5. nel Brasile, i governi di Lula hanno colto a pieno le possibilità derivate dagli alti corsi delle quotazioni delle materie prime per praticare diffuse politiche assistenzialistecon le quali non meno di 50 milioni di brasiliani hanno potuto mangiare decentemente. Non è assolutamente trascurabile e spiega la grande popolarità di Lula. 
    Il governo di Dilma Roussef ha coinciso con la fine dei prezzi alti delle commodities
    Inoltre, ha affidato il governo dell’economia alla destra politica e ai banchieri. Questi non solo hanno messo fine a buona parte delle politiche assistenziali, ma l’hanno destituita senza motivazioni formali, anche perché preoccupati dell’ascesa di una forte opposizione popolare.
  6. Visto che tutte le inchieste indicavano che Lula avrebbe stravinto le elezioni, l’hanno messo in galera senza alcuna prova. Alla fine di un processo farsa (ma la RAI, unica al mondo, gli dà molto credito), Lula è stato accusato di avere avuto in regalo un appartamento, nel quale non ha mai vissuto e che non risulta né a suo nome né a quello dei suoi parenti. Con questa accusa è stato condannato a 12 anni di carcere perché il giudice aveva “l’intima convinzione della sua colpevolezza”. A mio parere, era l’ora della disobbedienza civile generalizzata. Invece, salvo qualche sparata dei leader sindacali e del MST, la reazione è stata uguale a zero. Da buoni credenti, hanno aspettato fino ad agosto che Lula potesse candidarsi, anche stando in galera. L’attesa, del tutto irragionevole, ha incancrenito la situazione e permesso ogni scorreria, legale e non legale, ai fascisti.
  7. per vincere nel secondo turno ci sarebbe bisogno di un miracolo. Vista la composizione del fronte fascista, non basterebbe nemmeno vincere perché, Bolsonaro l’ha già dichiarato, se non vince sarà solo per frode, ergo ha minacciato lo scontro militare. Tuttavia, non intendendomi di miracoli, non li scarto.
    Ciò che tocca a noi, poveri mortali, è tuttavia l’analisi. E pure la più elementare di queste mi dice che gli antifascisti dovevano scegliere tra due ipotesi: l’appello ad un fronte antifascista, necessariamente diluendo i già vaghi contenuti della loro proposta politica o, viceversa, radicalizzare lo scontro approfondendo la proposta di Haddad in senso riformista, ad esempio garantendo la sopravvivenza dei programmi sociali con una patrimoniale sugli alti redditi dedicata a questo scopo.
    Personalmente avrei scelto la seconda strada, ma dal momento che sia il PT che quasi tutti gli intellettuali di peso della regione hanno scelto la prima, devo concludere che probabilmente avevano ragione.
  8. Tuttavia, il risultato di questa scelta è stato a dir poco disastroso. A destra Fernando Henrique Cardoso, leader della socialdemocrazia brasiliana, si è chiamato fuori della scelta. A sinistra Ciro Gomez, terzo classificato nel primo turno e leader del Partido Democratico Trabalhista (PDT), ha sì manifestato una tiepidissima preferenza per Haddad, ma praticamente né lui né il suo partito hanno preso parte alla campagna. Ergo: forse il fronte antifascista era più ragionevole ma è rimasto sulla carta.I responsabili politici dovranno rendere conto del loro operato, ma ciò vale poco davanti alla congiuntura elettorale.
  9. come già indicato precedentemente, solo un settore della società brasiliana si è effettivamente mobilitato contro Bolsonaro: le donne con la loro campagna “Elenão”. È la sola speranza, flebile, che le cose possano andare diversamente.
    Fascisti e democratici hanno reagito alla mobilitazione femminile.
    Il 17 ottobre, Jair “Messia”[5]Bolsonaro, avendo a disposizione un’ampia maggioranza tra i 43 milioni di appartenenti a gruppi religiosi diversi del cattolicismo (“evangelici”), ha firmato un impegno contro la legalizzazione dell’aborto e delle droghe con la Chiesa cattolica, ancora la prima confessione religiosa brasiliana con i suoi 123 milioni di fedeli.
    Lo stesso giorno, Fernando Haddad si è rivolto invece “al popolo evangelico” attraverso i giornali per rifiutare ogni adesione, passata o futura, del PT a cause come la difesa dell’aborto, i diritti delle minoranze sessuali o delle cosiddette ideologie di genere.
    Non è allegro ma, nella migliore tradizione berlusconiana (pur senza il notaio Vespa), Haddad ha quindi firmato un impegno pubblico a favore dei valori della famiglia e contro l’aborto e la legalizzazione delle droghe. Si tratta, ha spiegato, “di un impegno che vive nel cuore di ogni brasiliano benintenzionato”[6].

Manifestazione di protesta contro Jair Bolsonaro, a Sao Paulo. Foto Afp, 10 ottobre 2018

 

  1. Se non si può restare neutrali tra Haddad e Bolsonaro, resta comunque difficile spiegare cotanta ottusità da parte dei democratici brasiliani. La prima spiegazione che mi viene in mente è stata scritta da Euripide, nel 527 a.C.: “Chi deve morire è già morto. E un morto non è più niente”[7]. Senza dimenticare che, in Fedra”, sempre Euripide scrisse: “Gli dei rendono pazzi coloro che vogliono perdere”.

Se Bolsonaro conferma i pronostici, una destra fascista senza ritegno né vergogna si è presa il Brasile. Le conseguenze saranno pesantissime per tutta la regione. Difficile immaginare un disastro maggiore. Come sanno tutti quelli che ci hanno avuto a che fare, il fascismo non è un’opinione ma un crimine. Ma i fascisti non sono scemi. Il 15 ottobre 2018, il governo fantoccio in carica ha promulgato un decreto destinato “a creare una nuova intelligence per combattere le organizzazioni criminali che attentano contro le istituzioni e contro lo Stato”.

La misura è stata decisa dal gruppo della presidenza per la sicurezza nazionale che, abolito dai governi del PT, è stato ricreato da Temer.

La domanda è: se i sindacati, ad esempio, decidono uno sciopero generale, fanno un attentato contro le istituzioni? Se il Movimento dei Sem Terra promuove un’occupazione in aree improduttive, attenta contro lo Stato?

Commenta un noto giornalista brasiliano: “Si sta preparando il terreno perché Bolsonaro e il suo clan di generali in pensione possa scatenare un’ondata di controllo e repressione contro ciò che definiscono una estemporanea minaccia comunista”[8].

  1. A. Rivas

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[1] “Vinicius de Moraes, “A felicidade”, nell’albo “La fusa”, 1970. “La felicità del povero somiglia alla grande illusione del Carnevale. La gente lavora, tutto l’anno, per un momento di sogno, per farsi un costume di re, di pirata o di giardiniera. Poi tutto finisce il mercoledì. La tristezza non finisce, la felicità sì…”

[2] Giorgio Gaber, “Far finta di essere sani”, dal disco omonimo, 1973.

[3] Walter Benjamin, “Opere complete”, vol. VII, “Scritti 1938-1940”, Einaudi, Torino 2008.

[4] Sondaggio di Datafolha, Sao Paulo 18 ottobre 2018. Vedere anche Eric Nepomucemo, “Brasil: la fuerza de la mentira”, “La Jornada”, Città del Messico 21 ottobre 2018.

[5] Si e fatto ribattezzare nel Giordano col nome Messia all’inizio della campagna elettorale.

[6] “Bolsonaro y Haddad pactan en Brasil compromisos con católicos y evangélicos”. “La Jornada”, Città del Messico 18 ottobre 2018.

[7] Citato da Valerio Massimo Manfredi, “Idi di marzo”, Mondadori, Milano 2008.

[8] (Eric Nepomucemo, “Michel Temer abre espacios de poder a militares en Brasil”, “La Jornada”, Città del Messico 20 ottobre 2018).