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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

(K. Marx)

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Non ci sono misteri nelle bombe della strategia della tensione

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La recente morte di Licio Gelli e il ricordo della strage di Piazza Fontana hanno consentito al circo massmediatico di potersi esercitare nel solito repertorio di consolidate banalità. La storia degli anni 60 e 70 sarebbe stato il campo in cui si sono scontrati “opposti estremismi”, in cui si sono tessute “trame oscure” e occultati “misteri” che non saranno mai chiariti.

Per noi non c’è nulla di oscuro nelle bombe sui treni, nelle banche e nelle piazze. Non ci sono misteri nelle trame che hanno agito nel tentativo di chiudere gli spazi all’emergente ondata operaia, studentesca e proletaria di quegli anni. La verità politica della strategia stragista per noi è sempre stata cristallina.

All’indomani della strage di piazza Fontana, in un volantino distribuito da Lotta Continua dal titolo “No alle bombe padroni” si poteva leggere: “gli atti terroristici servono a convincere gli sfruttati che questo ordine democratico è il migliore che si possa avere e che vada preservato, facendo loro dimenticare che è proprio questo ordine democratico a esercitare la sua violenza su di loro giorno per giorno nelle fabbriche, nella scuola, nei quartieri e nelle baracche in cui vivono”. Gli amici dell’Internazionale Situazionista, in un famoso volantino intitolato “Il Reichstag brucia?”  scrivevano che “La bomba di Milano è esplosa contro il proletariato”.

I polveroni sono serviti, e servono ancora, a occultare i meccanismi che furono messi in campo per contrastare il movimento di classe italiano e per evitare che fosse messa in discussione l’appartenenza del paese all’Alleanza Atlantica. Addossare ogni responsabilità delle stragi alla destra fascista, ai servizi deviati e a comportamenti anomali all’interno delle istituzioni ha significato coprire la reale posta in gioco dei confitti degli anni 60 e 70. Ha voluto dire nascondere il fine della strategia della tensione che è stato quello di mantenere l’ordine sociale capitalistico minacciato da un movimento sociale che si poneva il problema della trasformazione del sistema. In questo senso è deviante parlare di “stragi fasciste”; si è trattato di “Stragi di Stato. Prima delle bombe del 12 dicembre c’era già stata la strage di Portella della Ginestra, il tentativo di colpo di stato ideato dal generale dei carabinieri  De Lorenzo (il “Piano Solo”). Sarà con l’irrompere del Sessantotto che la strategia della tensione viene definita in modo compiuto. Il Sessantanove è stato il teatro di un crescendo di azioni dinamitarde che culminano con le bombe del 12 dicembre a Roma e a Milano. Il 21 dicembre viene firmato il contratto dei metalmeccanici privati e si chiude “l’autunno caldo”.

In questa tragica rappresentazione i fascisti (Msi e destra extraparlamentare) hanno recitato la parte dei burattini, della manovalanza al servizio di un progetto ben più grande di loro. Hanno vagheggiato il colpo di stato che portasse al potere una giunta militare (“fare come in Grecia”), urlando nelle piazze slogan come: “basta coi bordelli, vogliamo i colonnelli”.

Sostanzialmente diverso era il disegno dei burattinai. Il loro progetto può rientrare nella direttiva Westmoreland, Capo di stato maggiore Usa, che aveva come indicazione la “destabilizzazione ai fini della stabilizzazione”. Destabilizzare il paese per stabilizzare il potere politico di una classe che avrebbe dovuto impedire l’avanzata delle sinistre e del movimento di classe nel nostro paese. Stabilizzare su basi moderate e autoritarie attraverso il cambiamento della forma delle istituzioni, lo svuotamento degli istituti della democrazia occidentale , attraverso l’introduzione di un presidenzialismo neogollista. Nella visione di Lotta continua si trattava della “fascistizzazione delle istituzioni”.

Il messaggio delle bombe del 69, rivolto in primo luogo al Partito Comunista e al Sindacato, era chiaro: l’Italia era da considerarsi un paese a democrazia condizionata. Il Pci poteva avere un ruolo politico solo accettando di agire in questo recinto, adoperandosi per tenere a bada quello che si muoveva alla sua sinistra. Era ancora vivo l’eco delle bombe del 12 dicembre che il Pci dimostrava di aver recepito questo messaggio. La sua polemica con Lotta Continua, ma anche con giornalisti democratici come Camilla Cederna, verteva proprio sulla matrice delle stragi e sui reali responsabili delle bombe.

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