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Tra una pellicola datata e l'altra, la vigilia di Natale è trascorsa assillati da un quesito martellante: il reddito di cittadinanza rompe con la logica del Rei (il reddito minimo di inserimento ereditato dai governi a guida Pd) o è in perfetta continuità?

Il reddito di cittadinanza è stato intanto indebolito su richiesta della Troika, il ministro Conte e i suoi ministri non hanno eretto barricate al di là delle dichiarazioni a mezzo stampa e così da 9 miliardi all’anno previsti siamo passati a 7,1 per il 2019, 8,05 per il 2020 e 8,3 annui dal 2021.

Il reddito avrebbe dovuto spazzare via il Rei che a detta dei Grillini era una misura inadeguata, a criticare erano del resto in molti, non ultima Confindustria contraria per principio. Ora scopriamo che dal prossimo anno, chi percepisce il Rei avrà da 187 a 540 euro al mese senza aver prima sottoscritto quella sorta di progetto che affida le loro sorti ai servizi sociali del Comune con tanto di patto di servizio finalizzato al  reinserimento lavorativo (avrà sei mesi di tempo per farlo)

 Ma stando ai fatti Rei e Reddito si assomigliamo molto di più di quanto il Governo dica, a conferma che tutti gli esecutivi succedutisi avevano individuato nella elargizione di redditi una misura adeguata per contrastare la povertà crescente. Poi possiamo aprire altri ragionamenti, ossia sul fatto che non si investa in lavoro, sulla destinazione del reddito per fasce geografiche, sul fatto che la manovra di Bilancio non elimina i fondi destinati ai servizi sociali dei Comuni (si trasferiscono al Reddito tutte le risorse eccetto quelle destinate agli Enti locali per capirci) che gestiscono il Rei, a conferma che strada facendo il Governo ha cambiato idea e prospettiva (del resto le risorse agli enti locali sono veramente poche e se avessero tolto anche quelle destinate al sociale sarebbe stato un problema ).

Proviamo allora a sintetizzare le principali contraddizioni e caratteristiche?

Federico Giusti – Pisa