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La sanità pubblica non può reggere il peso di altri tagli.

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La spesa sanitaria nei paesi a capitalismo avanzata, eccezion fatta per gli Usa dove questa spesa è ad appannaggio dei privati e del business assicurativo, non deve diminuire ma piuttosto aumentare.

Esiste uno standard ben definito di cure per garantire prestazioni sanitarie efficienti ed innovative tanto che si parla di una spesa, nei paesi del G7, destinata ad arrivare a 230 miliardi nel 2025. Ebbene oggi siamo sotto i 155 miliardi di spesa sanitaria, si parla di ridurre il Fondo sanitario nazionale di circa 8,5 miliardi solo nel prossimo triennio.

Le spese per istruzione e sanità sono un termometro dello stato di salute di un paese capitalistico, se guardiamo all'Italia si capisce la mancata crescita del Pil, il ritardo nei processi di ricerca e di innovazione.

Da troppi anni, ogni volta che si parla di riduzione del debito e della spesa pubblica, sanità e istruzione diventano le vittime sacrificali, si dimentica come potrebbero invece rappresentare uno strumento di crescita, innovazione e di investimento. Solo la sanità rappresenta il 6,6% del reddito nazionale, ma se guardiamo invece all'intera filiera della salute superiamo l'11 per cento. In Italia ci sono troppi ospedali vecchi e fatiscenti, troppi medici e personale sanitario prossimo alla pensione, si investe poco in ricerca e quando lo si fa la struttura pubblica non riesce a valorizzarne i risultati. Se una crisi esiste non riguarda tanto gli sprechi ma l'assenza di investimenti e di attenzione verso le problematiche legate al mondo della sanità

La tendenza diffusa è quella di ridurre la spesa di personale ma nessuno fino ad oggi ha spiegato e documentato i costi del personale interinale o delle strutture private in convenzione, si continua a dire che la sanità pubblica assorbe troppo denaro a causa degli sprechi ma questi sprechi non vengono mai individuati e colpiti. Piuttosto alla voce sprechi troviamo la spesa di personale giudicata eccessiva o quella per gli appalti con la conseguente riduzione dei costi che si scarica interamente sulla forza lavoro.

In Italia i ricercatori sono pochi e mal pagati, il personale sanitario di altri paesi a capitalismo avanzato guadagna di più (anche il 30%) di quanto percepisca in Italia, poi ci saranno le inefficienze amministrative, gli sprechi, gli acquisti di forniture e servizi a costi eccessivi, ma è evidente che se ne parli da anni senza costrutto, senza mai documentarsi per un utilizzo migliore delle risorse economiche.

La posta in gioco è veramente elevata: il servizio pubblico non può reggere il peso di altri tagli e la ennesima spending review rischia di abbattersi sulla forza lavoro, specie quella degli appalti. Allo stesso tempo, se la spesa sanitaria non può andare al di sotto di una certa percentuale in rapporto al Pil, cosa intende fare il Governo Conte? Rivedere i criteri di spesa, tagliare fondi indistintamente, mantenere il numero chiuso nell'accesso universitario o decidere, una volta per tutte, che investire in ricerca, istruzione e sanità è il modo migliore per guardare al futuro? In gioco non sono solo la sicurezza e la salute dei cittadini ma la tenuta di un intero sistema, giusto per non rivivere gli scenari greci con ospedali e università chiuse dopo le misure di austerità in un paese al collasso e costretto a svendere parti del suo territorio per pagare gli interessi del debito.

Federico Giusti (Pisa)

 

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