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Mentra la nave Sea Watch 3, con a bordo quarantadue migranti, non ha ancora ottenuto il permesso per attraccare a Lampedusa, il teatrino della politica nostrana ha mostrato tutta la sua vacuità. Tra gli strepiti disumani della destra, i balbettii legalitari dei cinque stelle e il bigotto umanitarismo del centro-sinistra, si apre tuttavia la possibilità di avviare una riflessione sul tema delle migrazioni.

In questo baccano infernale, giocato sulla pelle di quarantadue persone in fuga da povertà e persecuzioni, il ragionamento politico deve articolarsi attorno a due concetti fondanti: solidarieta’ e lotta di classe. Se non leggiamo gli eventi attraverso queste due lenti, rischiamo di finire schiacciati su posizioni specularmente funzionali al capitale e al suo disegno neocoloniale: razzismo e sterile solidarismo clericale.

Le migrazioni attuali sono causate da miseria e guerre, alimentate dallo sfruttamento indiscriminato delle risorse naturali africane da parte di multinazionali statunitensi, europee e cinesi. La ricchezza prodotta dalla manodopera locale, in condizioni di lavoro spesso disumane, viene accumulata da questi grandi gruppi transnazionali, che in cambio distribuiscono laute prebende a questo o quel despota locale. All’interno di questo spartito, i vari Stati-nazione, con più o meno successo, difendono i propri attori economici attraverso accordi commerciali e militari, lottando tra di loro per territori e risorse. Si tratta della forma contemporanea dell’imperialismo, in cui lo Stato è spesso costretto a inseguire il capitale piuttosto che a indirizzarlo nelle proprie aree di influenza geopolitica.

In questo risiko postcoloniale, combattere contro l’imperialismo significa trasformare la solidarietà da sentimento privato ad azione collettiva. Negli scorsi mesi i portuali di Genova ci hanno mostrato come fare: sono scesi in sciopero e hanno impedito alla Bahri Yambu, nave battente bandiera saudita, di caricare armi destinate al proseguimento della guerra in Yemen. I camalli del Collettivo Autonomo Lavoratori Portuali e della Filt Cgil hanno costretto la nave a ripartire dal porto senza aver completato le operazioni prefissate con un’azione diretta e militante. Negli ultimi giorni gli stessi portuali hanno manifestato la loro disponibilità ad aprire il porto alla Sea Watch 3, per permettere lo sbarco dei migranti.

Sempre in questi giorni, negli Stati Uniti, sono entrati in sciopero i lavoratori della catena Wayfair, dopo aver scoperto che l’azienda fornisce i  letti ai campi di detenzione per minori non accompagati e separati dalle proprie famiglie, voluti da Trump. La dirigenza aziendale aveva rifiutato di sospendere la fornitura, citando la necessità da parte dei dipendenti di accettare la “diversità intellettuale” dei padroni. La risposta dei lavoratori è stata un’azione diretta di sciopero, per sottolineare la loro volontà di avere voce nelle decisioni aziendali.

Queste storie indicano chiaramente la strada da percorrere per trasformare la solidarietà da nobile sentimento a arma politica nello scontro di classe. Attraverso azioni dirette, i lavoratori hanno posto di nuovo con forza la questione del controllo e indirizzo operaio della produzione. In questo senso la solidarietà attiva è immediatamente una forma di lotta di classe.

Fateli scendere!

Lorenzo -- Redazione pisana Lotta Continua  (28 giugno 2019)