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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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La riduzione dei parlamentari: altro specchietto per le allodole

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 Fino al 1963 il numero dei parlamentari era in rapporto alla popolazione, un principio equo e giusto che viene messo in discussione in relazione alle idee di riforma della Costituzione.

Se oggi si torna a parlarne vuol dire che all'orizzonte abbiamo alcuni scenari, per altro non nuovi, che destano non poca preoccupazione ossia la riduzione del numero dei parlamentari determina una logica del parlamentare lobbista non più espressione di un collegio (sia esso eletto con l'uninominale o con il proporzionale) o di un territorio.

Cambiare il numero dei parlamentari, ridurne il numero, significa mettere mano alla Costituzione,  stabilire un sistema di rappresentanza ben diverso da quello pensato alla nascita della Repubblica. Più si riduce il numero dei parlamentari maggiore sarà la difficoltà di farsi eleggere, serviranno capitali enormi per la campagna elettorale, se poi si affermerà un sistema non proporzionale  e lo sbarramento al 5% avremo partiti con ragguardevoli consensi esclusi da ogni rappresentanza istituzionale e con essi verrà meno un principio elementare della democrazia, quello che in teoria dovrebbe assicurare la massima rappresentanza possibile.

Esiste una analogia con quanto già accaduto con la fusione dei comuni, si diceva che fonderli avrebbe diminuito le spese e favorito gli enti locali, a distanza di anni questi obiettivi non sono stati raggiunti. Ma per quale motivo poi dovremmo andare verso la fusione tra enti locali? Per ottenere qualche momentaneo trattamento di miglior favore in materia di assunzioni o finanziamenti, oppure perché la fusione determini una migliore organizzazione degli enti locali? I fatti dimostrano che non ci sono stati miglioramenti, i servizi alla cittadinanza sono diminuiti e ne ha risentito la stessa democrazia, anzi la partecipazione dei cittadini ai processi democratici.

Si mira a mutare il numero degli eletti in rapporto alla popolazione, per fare alcuni esempi chiari oggi abbiamo un deputato ogni 96 mila abitanti, con la riduzione lo stesso deputato corrisponderà a 151 mila. Percentuali maggiori per il senatore oggi eletto in rapporto a 188 abitanti, domani gli abitanti, sempre per lo stesso seggio, saranno oltre 302 mila.

A cosa serve allora la riduzione del numero dei Parlamentari?
Senza dubbio non alla democrazia, questo ragionamento potrebbe essere presto applicato anche per determinare la rappresentanza sindacale stabilendo regole che con le istanze reali dei lavoratori e delle lavoratrici hanno ben poco da spartire.

Una rappresentanza, per essere efficace e reale, deve essere in stretto rapporto con la base degli elettori, se questa base viene dilatata favorisce solo un principio astratto e lobbista della democrazia e della stessa rappresentanza.

Senza entrare nel merito delle complicate regole della rappresentanza parlamentare , salta agli occhi di tutti il nesso tra la riduzione dei Parlamentari, le regole democratiche in corso di riscrittura per restringere gli spazi di agibilità e partecipazione sullo sfondo di quella autonomia differenziata sempre più preoccupante e destinata ad accrescere le disuguaglianze economiche e sociali.

Sono allora queste le priorità per uscire dalla crisi del sistema Italia o invece siamo in presenza di un disegno complessivo neo autoritario?

La riscrittura delle regole di rappresentanza, oggi in Parlamento e presto nel mondo del lavoro, la natura lobbistica, sul modello Usa, dei parlamentari, l'autonomia differenziata, rappresentano argomenti dirimenti sui quali riflettere e mobilitarsi. E un discorso a parte meriterebbe la ridefinizione dei collegi elettorali. Il sistema elettorale non è dettato da principi astratti ma influenzato da interessi reali, basti pensare a come e quando, e per quali ragioni, è stato liquidato il proporzionale della cosiddetta prima Repubblica. E ridotto il numero dei deputati andranno direttamente alla Revisione della Carta Costituzionale e a quel punto potrebbero ottenere ciò che i cittadini non hanno concesso votando No alla Riforma Renzi.

Come accaduto con la fusione tra enti locali e la fine del vecchio proporzionale (una testa , un voto si diceva) , nulla sarà come prima, le stesse istanze dei territori rischiano di essere offuscate e sacrificate sull'altare della convenienza economica e politica, del resto il Parlamentare tutelerà gli interessi più forti indispensabili alla sua stessa rielezione.

Possibile che certi argomenti non siano oggetto di analisi e discussione ?

Giusto per capire, consigliamo vivamente la lettura di un dossier della Camera dei Deputati

https://documenti.camera.it/Leg18/Dossier/Pdf/AC0167c.Pdf

Federico Giusti – Redazione Pisana

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