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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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A 50 anni dallo Statuto dei Lavoratori. Come rileggere quella storia stravolgendola.

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A 50 ANNI dallo Statuto dei Lavoratori, il Fatto Quotidiano, edizione di lunedì 18 maggio, ha pubblicato una intervista all'ex segretario della Cgil Sergio Cofferati. Questa intervista non va solo letta, ma ben ponderata perché inanella una serie di considerazioni del tutto errate.

Intanto considerare il ventennio 1970/90 come periodo delle conquiste progressive è una lettura falsata della realtà

A inizio della seconda metà degli anni Settanta abbiamo la svolta dell'Eur, nel decennio 1968 – 1977 i sindacati crescono in maniera esponenziale per iscritti e delegati, da un 34% della forza lavoro iscritta passano ad oltre il 52%, tradotto in numeri stiamo parlando di oltre 8 milioni di lavoratori e lavoratrici.

Il 24 gennaio 1978. l'allora segretario della CGIL, Luciano Lama al quotidiano La Repubblica rilascia una storica intervista e il titolo non lascia scampo alla immaginazione: “Lavoratori stringete la cinghia”

Riportiamo un passaggio eloquente di questa intervista all'allora direttore del giornale, Eugenio Scalfari

Che la politica salariale nei prossimi anni dovrà essere molto contenuta, i miglioramenti che si potranno chiedere dovranno essere scaglionati nell’arco dei tre anni di durata dei contratti collettivi, l’intero meccanismo della Cassa integrazione dovrà essere rivisto da cima a fondo. Noi non possiamo più obbligare le aziende a trattenere alle loro dipendenze un numero di lavoratori che esorbita le loro possibilità produttive, né possiamo continuare a pretendere che la Cassa integrazione assista in via permanente i lavoratori eccedenti. Nel nostro documento si stabilisce che la Cassa assista i lavoratori per un anno e non oltre, salvo casi eccezionalissimi che debbono essere decisi di volta in volta dalle commissioni regionali di collocamento (delle quali fanno parte, oltre al sindacato, anche i datori di lavoro, le regioni, i comuni capoluogo). Insomma: mobilità effettiva della manodopera e fine del sistema del lavoro assistito in permanenza.

Inizia così non solo la politica dei sacrifici, la fine di ogni automatismo tra salari e recupero del costo della vita (il colpo decisivo lo darà il referendum sulla scala mobile del 1984), parte da quel periodo l'arretramento di ogni elemento di conflittualità nei luoghi di lavoro, dal 1978 inizia la parabola discendente della classe lavoratrice e del sindacato, l'arrendevole collaborazione con i Governi.

Come può allora Cofferati parlare di un ventennio di conquiste quando invece in questo lasso di tempo matura all'arretramento del conflitto, la perdita del potere di acquisto e di contrattazione sindacale? Per Cofferati la classe lavoratrice ha perso salario ma non diritti ma anche questa considerazione, alla luce dei fatti, è sbagliata perché nel 1980 ai cancelli della Fiat si apre la stagione dei licenziamenti e della offensiva padronale contro i lavoratori, i licenziamenti di massa e l'allontanamento dalle fabbriche dei militanti e delegati più combattivi con la scusa di volere sradicare il terrorismo.

Nella intervista a Cofferati, piena di omissioni e letture atte a giustificare una lettura della storia recente funzionale alle politiche sindacali dei nostri giorni, leggiamo anche altro, ossia la timida ammissione che il sindacato ha perso smalto perché ha commesso degli errori, primo tra tutti la perdita di ruoli. Sul ruolo del sindacato stesso Cofferati non parla, riduce il ragionamento a un deficit di comunicazione e finisce con l'utopia del sindacato europeo ammaliato dalle sirene che hanno determinato l'arretramento della classe lavoratrice nel vecchio continente.

Ciò che Cofferati giudica valori aggiunti sono piuttosto le cause profonde della crisi sindacale, da qui a ricordare lo Statuto dei Lavoratori senza mai domandarsi la ragione per la quale quella imperfetta Legge non sia stata negli anni successivi rafforzata e completata (anche in senso riformista).  E non una parola viene spesa sulla limitazione del diritto di sciopero con cui ci si affaccia agli anni Novanta. Altro che ventennio progressivo, siamo in piena regressione.

Tutto il discorso si riduce alla legge sulla rappresentanza e al monopolio sindacale, una lettura così rozza da far rimpiangere Brodolini e Donat Cattin che almeno un progetto lo avevano, quello di portare la Costituzione nelle fabbriche e così un socialista e un democristiano si sono dimostrati assai più radicale di un ex leader della Cgil approdato a liberi e uguali.

Redazione pisana di Lotta Continua

(https://delegati-lavoratori-indipendenti-pisa.blogspot.com)

 

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