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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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L’America brucia: cronaca da New York.

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Nel terzo giorno di proteste per l’assassinio di George Floyd, New York e l’America bruciano. Le proteste e gli scontri di questi giorni tracciano una linea netta e precisa: da una parte chi è stanco di subire le violenze poliziesche e quelle istituzionali di un sistema costruito per opprimere e uccidere, dall’altra le guardie assassine, chi si indigna per le vetrine rotte, chi dà lezioni ai manifestanti dal proprio divano, tutto il panorama dei mass media (da CNN a Fox), i sostenitori di un’improbabile terza via “pacifica”.

Non c’è spazio di mediazione, il modello di sviluppo americano ha fallito e le minoranze afroamericane che ne subiscono da sempre e le conseguenze stanno dicendo basta. La violenza delle manifestazioni è un falso problema, come spiegava Angela Davis nel lontano 1972. Gli afroamericani subiscono la violenza dello Stato ogni giorno da parte di poliziotti, giudici e politici. Le guardie uccidono, i giudici assolvono gli assassini in divisa e condannano con pene sproporzionate gli afroamericani, i politici fanno spallucce e spingono per la gentrificazione dei quartieri black e latinos. Chi è inorridito per il saccheggio di Target (catena di grandi magazzini) a Minneapolis, dovrebbe sapere che Target fattura 26,4 miliardi di dollari l’anno, e paga i suoi dipendenti (lavoratori essenziali durante la pandemia) meno di 15 dollari l’ora, costringendoli spesso a cercarsi un secondo lavoro. Nel 2018 il CEO di Target ha ricevuto 17,4 milioni di dollari di compenso. Ora, chi è il saccheggiatore? La risposta a questa domanda, così come il posizionamento di fronte a quanto sta succedendo oltreoceano, traccia una chiara linea tra noi e loro, senza se e senza ma.

In questo momento storico, la barbarica uccisione di George Floyd è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Gli afroamericani, che vivono stretti tra povertà e repressione, hanno detto basta. I famosi lavoratori essenziali, per la maggioranza di colore o ispanici, si sono ammalati e sono morti in modo esponenzialmente più alto durante i due mesi di pandemia, per salari da fame. Non sono bastati gli applausi dai balconi a placarne gli animi, e l’assassinio di Floyd ha fatti saltare il tappo a una situazione ignorata da troppo tempo.

L’andamento delle manifestazioni di New York riflette questa rabbia, che unisce sul campo un movimento ampio e unito, cime dimostra la cronaca delle manifestazioni svoltesi in città.

Durante la giornata di sabato si sono svoli numerosi cortei, a Manhattan, Brooklyn, nel Queens e nel Bronx, tutti non autorizzati né concordati. Il principale corteo di Manhattan, forte di più di 10.000 persone si è mosso dal concentramento di Union Square per le strade del Greenwich Village, senza che la polizia riuscisse a prevederne né bloccarne la marcia. La composizione del corteo era interessante: pochi gruppi organizzati, aframericani in maggioranza, cosa non scontata in Manhattan, moltissimi giovani e giovanissimi. Partecipavano famiglie con i bambini, infermieri appena usciti dal turno, portinai con la camicia bianca d’ordinanza e commessi con la polo aziendale. Le scelte tattiche sono state prese sul campo,  come il blocco prolungato delle principali arterie di traffico, dalla West Highway a Broadway. Al rientro a Union Square una parte dei manifestanti ha occupato la piazza, in attesa di un corteo che stava arrivando dal ponte di Brooklyn e di altre marce autonome che arrivano da Lower Manhattan.

Una volta ricongiunte le varie componenti, sono iniziati gli scontri con la polizia che hanno interessato tutta la zona circostante, l’area universitaria (NYU), Chelsea e l’East Village. Numerosi mezzi della polizia sono stati bruciati, mentre gli agenti in tenuta antisommossa caricavano e l’aria era acre per il lancio lacrimogeni. Scritte come “Fuck the Police”, “NYPD kills”, sono comparse sui muri e sui mezzi della polizia. L’odio nei confronti delle forze dell’ordine e la rabbia per l’assassinio di George Floyd unisce le varie componenti di questo movimento, e raccoglie un consenso vasto tra la popolazione di colore.

Con il calare della notte la situazione si è fatta ancora più esplosiva, con il sindaco che in diretta TV attaccava i manifestanti che osavano attaccare l’NYPD. La realtà è che la polizia difende i privilegiati, i Wasp, i ragazzi con le scarpe da barca che facevano l’aperitivo mentre New York bruciava. Le fiamme dei numerosi mezzi di polizia incendiati sono state la risposta della piazza al sindaco.

Da New York

Lorenzo

Redazione pisana Lotta Continua.

Di vetrine rotte, fioriere rovesciate e vite umane...
Due anni di cassa integrazione anti Covid? Lo chie...

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