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In queste ore il Libano è attraversato da partecipate manifestazioni popolari. Queste manifestazioni, come già accaduto con le primavere arabe, potrebbero presto essere utilizzate come una sorta di “colpo di stato democratico” per rovesciare i rapporti di forza nel paese: nel mirino c’è Hezbollah.

Non siamo certo noi a esaltare il ruolo e la natura di Hezbollah, resta il fatto che la sua presenza è particolarmente invisa a Israele e Stati Uniti. Negli ultimi anni Hezbollah ha rappresentato non solo un’opposizione all’imperialismo, ma anche un aiuto concreto al popolo palestinese, al popolo iraniano colpito dalla pandemia, contribuendo anche, attraverso l’invio di brigate popolari, alla sconfitta dell’Isis.

Di fatto ridimensionare Hezbollah significa aiutare il progetto di normalizzare il Medio Oriente ad uso e consumo della supremazia degli Stati Uniti e di Israele.

Che la corruzione sia dominante nello stato libanese è cosa risaputa e non da oggi. Dopo l’esplosione al porto di Beirut, gli scontri di piazza hanno portato alla caduta dell’esecutivo. Sicuramente all’ombra di tutto questo ci sta anche una strumentalizzazione delle manifestazioni di piazza al fine di destabilizzare il Paese.

Il Libano è in default politico, ma soprattutto economico, una situazione pagata dal peggioramento delle condizioni di vita delle masse popolari. Ora potenze come gli Usa, ma anche la Francia di Macron, si dicono disposte ad accordare aiuti e prestiti onerosi chiedendo in cambio la possibilità di decidere sulle scelte politiche del Libano.

Se la rivolta popolare è contro lo “stato confessionale” (dove ad esempio il Capo dell’esercito e il Presidente della repubblica sono assegnati, per Costituzione ai cristiano-maroniti) è più che legittima. Altro discorso se la rivolta viene presa a pretesto per creare uno Stato vassallo degli Stati Uniti.

Negli ultimi giorni le manifestazioni hanno visto una consistente presenza delle formazioni del “Fronte 14 marzo” che fanno capo a Saad Hariri, legato agli interessi sauditi e più volte primo ministro negli ultimi 15 anni, e certo  corresponsabile del default economico.