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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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Covid 19 e contagi sul lavoro, perché non se ne parla?

Lapide-morti-bombardamenti

La lapide in foto ricorda il sacrificio degli operai di un’azienda nell'allora quartiere popolare di Porta A Mare, alle porte di Pisa, dove sorgevano alcune industrie, vittime dei bombardamenti americani. Gli aerei da guerra Usa colpirono la città il 31 agosto 1943, con l'intento di distruggere le infrastrutture ferroviarie e i poli produttivi (Saint Gobain in primis), provocando migliaia di vittime, tra civili e lavoratori.

Dal lontano 1943, le stragi sui luoghi di lavoro non si sono mai fermate. In questo sciagurato 2020 è arrivato anche il Covid 19 a mietere vittime tra lavoratori e lavoratrici, con focolai registrati negli ospedali, nelle Rsa nelle filiere della logistica e in tante altre aziende.

Secondo i dati Inail, che riguardano solo i casi denunciati, da febbraio a novembre 2020 si sono contagiati sul luogo di lavoro oltre 100,000 persone, con quasi 440 decessi accertati. Si tratta di numeri indubbiamente al ribasso, ma che comunque rappresentano ben il 13% dei contagi nazionali. I settori maggiormente colpiti sono quelli della sanità, con medici, infermieri e Oss mandati allo sbaraglio ad affrontare il virus, senza dispositivi di protezione e senza un’adeguata formazione. Dopo decenni di tagli dissennati alla sanità e con i piani pandemici mai aggiornati dal 2006, come svelato dalla trasmissione Report, il personale medico-sanitario è stata coscientemente sacrificato. La retorica bellicista, il patriottismo da divano, il richiamo epico all’eroismo dei lavoratori essenziali sono serviti a coprire le responsabilità di una politica che ha coscientemente deciso di immolare la vita di uomini e donne sull’altare della produzione, in ossequio ai desiderata di padroni e padroncini.  

Dal canto suo, l'Inail si è adoperata per evitare ogni automatico collegamento tra decessi da Covid e contagi nei luoghi di lavoro, soprattutto nel settore privato. Tuttavia, dopo il disastro di Bergamo, con la mancata istituzione della zona rossa su pressione tra gli altri di Confindustria per tenere le aziende aperte, è impossibile negare che i luoghi di lavoro siano uno dei vettori principali del contagio. Come testimoniato magistralmente da Francesca Nava nel suo Il focolaio. Da Bergamo al contagio nazionale (Laterza 2020) il “rapporto annuale Istat certifica il nesso tra mobilità per lavori e contagi, tra incremento della mortalità e spostamenti”.

Così dopo aver dato la caccia ai runner e ai cercatori di funghi, oggi si lanciano anatemi contro la movida e lo shopping: in tutto ciò, il mondo del lavoro è scomparso dalla narrazione del Virus. Nessuno degli onnipresenti giornalisti e commentatori ha speso una parola sui luoghi di lavoro, salvo scannarsi sul Natale e su quale il numero giusto di commensali per le festività. Non sappiamo se e quante aziende siano state ispezionate in questi mesi per assicurarsi che il distanziamento fosse rispettato e che a lavoratori e lavoratrici fossero forniti regolari scorte di dispositivi di protezione. Non sappiamo chi ha utilizzato codici Ateco fittizi per tenere aperti durante il primo lockdown. Non sappiamo chi ha violato le norme di sicurezza perché le voci di denuncia di lavoratori e lavoratrici sono state messe a tacere e la possibilità di manifestare azzerata.

Chi oggi denuncia la natura di classe della pandemia, viene invitato a tenere conto del fatto che tra i decessi si annoverano anche numerosi appartenenti alle classi sociali più agiate. In realtà il Covid 19 ha colpito duro tra i residenti delle RSA, tra i lavoratori e le lavoratrici che contagiatisi nelle aziende non hanno potuto isolarsi perché nelle case popolari e nei quartieri periferici il distanziamento fisico è di fatto impedito.

Chi renderà giustizia a questi morti? Quando sapremo quanti sono i morti per l'assenza di dpi, di mascherine o per essere stati costretti ad operare in aziende dove il distanziamento sociale è stato impossibile?

Solamente i lavoratori e lavoratrici, come dimostrato con gli scioperi di marzo, possono invertire questa tendenza e pretendere sicurezza e risarcimenti. In un 2021 che si preannuncia di profonda crisi economica, con licenziamenti e ristrutturazioni, solo il protagonismo dei lavoratori e delle lavoratrici, dei precari, dei militanti politici del sindacalismo di base, può invertire la rotta.

Redazione pisana Lotta Continua

Lorenzo e Federico

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