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 Riprendendo Primo Levi non dobbiamo sforzarci di capire l'odio nazista ma guardare a come sia nato, in quali condizioni sociali, culturali, economiche e politiche.

È quanto dovremmo fare tutti, contestualizzare e indagare senza fermarsi a riletture funzionali al presente, non si tema dunque l'approfondimento a partire dalle fonti, dai fatti reali.

Nei nostri giorni gli storici finti dominano incontrastati, giornalisti si improvvisano ricercatori affidando alla stampa testi guidati politicamente, da qui nasce la rivalutazione di Mussolini e del Ventennio, del resto per decenni ci è stato detto che il fascismo ha fatto buone cose civilizzando paesi "selvaggi", "arretrati", portandovi strade e "civiltà". 

Peccato che gli apologeti dell'ultima ora occultino l'utilizzo dei gas contro le popolazioni civili e in Italia non ci siano pubblicazioni\traduzione di storici autoctoni che hanno documentato stragi e uccisioni.

Storia vecchia quella di un revisionismo che manipola le fonti e legge la storia dal punto di vista occidentale, non è servita la pubblicistica radical negli Usa o quella marxista in Europa che ormai non trova più ristampe.

La lunga mano del capitale ha messo le mani sulle case editrici, la grande distribuzione ha fatto il resto facendoci trovare sugli scaffali delle librerie solo testi political correct (a prescindere dal fatto che gli italiani leggono sempre meno e risultiamo tra gli ultimi paesi per vendita di libri e giornali)

Primo Levi guardava al passato dei lager nazisti con lo sguardo rivolto al presente e al futuro e anche noi dovremmo fare altrettanto rileggendo la scissione di Livorno e la storia novecentesca al di fuori di quel senso comune imposto dai media e dai rapporti di forza dominante. E il senso comune ha consentito agli storici revisionisti di riscrivere le pagine del passato per giustificare le azioni nel tempo presente.

Non può esistere oblio verso il passato, la storia in tale modo diventa un sapere legittimante il potere attuale, l'avanzata delle destre razziste e xenofobe non assume necessariamente i connotati e le icone del passato, si ripresenta in termini moderni ma verso quel passato assume toni paternalistici e giustificazionisti.

Questo è il brodo di cultura da cui scaturiscono le nuove destre e la reazione politica occultando sapientemente le pagine buie e terribili del passato, pagine rilette e ricostruite per offrirne una dimensione accettabile ai nostri giorni.

La politica ha bisogno del senso comune e dell'opera costante di devastazione della memoria, una sorta di puzzle smontato e rimontato con regole sempre nuove.

La memoria nazionale non può essere super partes, nel nostro paese la riscrittura del Novecento ha assunto caratteristiche fuorvianti e con gli anni le responsabilità nazionali sono state prima scaricate sul Fascismo o sulla Monarchia per poi dirottare verso letture atte a giustificarne l'operato.

E una volta sconfitto il nazi fascismo la macchina revisionista si è accanita contro il comunismo storico novecentesco, i movimenti di liberazione nazionale, i movimenti sociali e politici degli anni Sessanta e Settanta.

Quando sentiamo parlare di difesa dello stile di vita europeo dimentichiamo cosa si nasconda dietro a questo slogan, lo sfruttamento della forza lavoro, le migrazioni gestite per avere un esercito industriale di riserva da cui attingere per abbassare il costo del lavoro, mettendo deliberatamente in contrapposizione la classe lavoratrice autoctona con quella migrante. E hanno gioco facile i populismi xenofobi che rivendicano quello stile di vita messo in pericolo dalla incontrollata immigrazione.

L'Europa del capitale non è quella agognata dai popoli, rimasta invece un sogno astratto, proprio quando il fascismo e il nazismo venivano considerati un male assoluto perdevamo gli anticorpi per combattere ipotesi reazionarie e di sopraffazione, si è affermata una sorta di nuova ideologia democratica (che di democratico ha ben poco) e pseudo anti autoritaria proprio per rimuovere le cause del Male. Anzi il Male assoluto serviva per giustificare il fascismo finanziario che stava affamando i popoli in nome della lotta contro il debito e dell'austerità. E così facendo, difendendo le ragioni politiche dei dominanti attuali, il passato è stato riletto e giustificato come alternativa al tempo presente facendo breccia nell'immaginario collettivo dei dominati.

In altri termini se pensi di invocare il Male assoluto per giustificare le rapine del capitale odierno è assai probabile che i dominati finiscano con l'abbracciare politiche e pratiche di quel Male assoluto, una contrapposizione scontata in assenza di alternative valide come potevano essere quelle del comunismo storico novecentesco o dei movimenti di liberazione nazionale.

 La pietas dei dominanti verso un passato lontano stride con la ferocia verso i dominati dei nostri tempi, vera carne da macello soprattutto in tempi pandemici.

Qualcosa dovrebbe insegnare la storia recente quando nei sobborghi campani la popolazione si accaniva contro i rom cacciandoli a colpi di molotov o bruciandone i campi, poi potremmo raccontare della longa mano della criminalità organizzata per giustificare ai nostri occhi la inerzia delle istituzioni verso profughi della guerra nei Balcani dall'Italia alimentata con la diretta partecipazione all'alleanza Nato.

Prendersela con le minoranze in nome del senso comune, le minoranze possono essere molteplici perfino operai in sciopero al di fuori delle inique e intollerabili regole che hanno ingabbiato dagli anni Novanta il diritto di sciopero. Il senso comune della maggioranza non fa sconti, non guarda alla provenienza etnica, mira alla sostanza del problema.

Ricordare e stigmatizzare lo sfruttamento del passato talvolta è funzionale a nascondere lo sfruttamento attuale nel tentativo di dimostrarne la totale differenza e giustificarne l'operato. Se guardiamo allo sfruttamento della forza lavoro nei campi o nelle fabbriche di inizio secolo pensando che quello sia il solo sfruttamento possibile dimentichiamo di guardare al presente e ai cambiamenti intervenuti nella organizzazione del lavoro che hanno alimentato e prodotto nuove forme, diverse dal passato ma con caratteristiche simili.

Si può essere sfruttati avendo uno smartphone quando i nostri nonni possedevano solo i vestiti o una valigia di cartone, cambiano i contesti e le raffigurazioni ma non le dinamiche e le modalità di estrazione del plusvalore.

Consegnare il Novecento alla storia, per riprendere Hobsbawm, è stata una operazione politica per affermare una lettura degli eventi parziali a scopo ideologico e politico, per rafforzare il capitale piegando ai suoi voleri la rilettura degli eventi. Sarà troppo schematica la nostra lettura ma il riemergere della xenofobia e del razzismo è possibile quando si confondono dominati e dominanti, quando prevale il senso comune e quel punto di vista occidentale, gli antichi stili di vita resi possibili dallo sfruttamento delle classi subalterne.

 E quelle classi non trovando sostegno nelle organizzazioni sindacali e politiche tradizionalmente di sinistra potrebbero, come nel passato archiviato, abbracciare la bandiera autoritaria e reazionaria. 

La storia è fonte di insegnamento se guardiamo al passato non come cesura del presente, per questo è necessario conoscere il passato per agire nel presente e riflettere sul futuro, senza optare per logiche identitarie in sostituzione della contraddizione tra capitale e lavoro.

O si capisce come siamo arrivati ai nostri giorni oppure cadiamo nell'equivoco di fondo, la rimozione del passato e la sua stessa riscrittura per giustificare l'operato dei dominanti.

È il nostro compito di dominati che non si accontentano di letture parziali e di memorie condivise, di memorie nazionali e unitarie costruite sulla costante delegittimazione delle pagine salienti del passato per giustificare l'operato presente del capitale.

Redazione pisana di Lotta Continua

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