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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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Maurizio Landini, il sindacalista venuto da Marte

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Maurizio Landini ha rilasciato ieri una lunga intervista al Manifesto (link), spaziando su vari temi, dal ruolo del sindacato nel XXI secolo alla transizione ecologica, passando per una riflessione sulla democrazia e sulle crescenti disuguaglianze. Tutto molto bello, peccato che il segretario della CGIL non sia atterrato ieri sulla Terra con un’astronave proveniente da Marte, ma sia stato uno dei principali protagonisti, assieme alla sua organizzazione sindacale, dei cambiamenti denunciati.

Landini è una figura apicale del sindacalismo confederale sin dagli anni 2000, avendo ricoperto prima il ruolo di segretario generale della Fiom dal 2010 al 2017 e poi quello di segretario confederale della Cgil dal 2019, dopo 2 anni trascorsi in Segreteria Nazionale dell’organizzazione. Non sarebbe dispiaciuta quindi un’analisi del ruolo svolto dalla sua organizzazione in tutti questi anni, durante i quali essa ha contribuito a svendere diritti dei lavoratori e spazi di rappresentanza per un piatto di lenticchie e di welfare aziendale, con lo scopo di fare terra bruciata attorno ai sindacati di base e a quelle lotte che si sono autonomamente sviluppate nei settori della logistica, dei trasporti e sui territori. Basta chiedere ai facchini e ai sindacalisti del SiCobas arrestati, mentre la Cgil fomentava gli spedizionieri nei tentativi di rompere il picchettaggio degli operai TNT – Fedex di Piacenza (link). Oppure chieda agli RSU Fiom della Piaggio, fabbrica metalmeccanica di Pontedera (PI), sospesi dalla loro stessa organizzazione perché attivi nelle lotte e nelle rivendicazioni sul posto del lavoro e quindi troppo autonomi rispetto alle consorterie confederali (link).

Ci stupisce poi che Landini parli di “anni durante i quali la partecipazione democratica è stata mortificata” in nome di un obiettivo: “accentrare la decisione politica negli esecutivi, liberare il campo da tutte e reti dei poteri intermedi”.  Questo fenomeno è stato avallato e tradotto in pratica nelle relazione sindacali proprio dalla CGIL, che insieme a CISL e Uil, ha firmato l’infame accordo sulla rappresentanza sui luoghi di lavoro del 10 gennaio 2014 (link) che puntava proprio a mantenere il monopolio e l’accentramento della rappresentanza per le 3 organizzazioni confederali firmatarie dell’accordo. E infatti, poche righe dopo, il peana sulla democrazia dal basso e il sindacato “di strada” lascia spazio al realismo quando Landini afferma di ritenere “fondamentale la tenuta del rapporto unitario con Cisl e Uil”. Insomma, poco importa che le esperienze di lotta e i successi degli ultimi anni nel settore della logistica siano avvenute in autonomia e spesso in contrapposizione ai sindacati confederali: a Landini piacciono la concertazione al ribasso e la gestione delle crisi aziendali a perdere.

Ancora più contradditoria la parte di intervista in cui sostiene la necessità di “aprire una nuova stagione di democrazia e partecipazione”. E’ infatti di questi giorni la notizia degli arresti per gli scontri avvenuti a Torino il primo maggio 2019, quando lo spezzone pacifico del corteo composto da Notav, centri sociali, e sigle del sindacalismo di base (link), fu attaccato dalla polizia su istigazione del servizio d’ordine del Partito Democratico e dei sindacati confederali che non li volevano in piazza. Non una parola di solidarietà è venuto dalla Cgil, criticata all’epoca dei fatti  anche dall’Anpi (sez. Grugliasco) che certo non è un’organizzazione estremista.

Ma questo è il mondo fatato da cui viene Landini, in cui la repressione non esiste, i picchetti operai non vengono caricati brutalmente dalla polizia (vedi vertenza Textprint a Prato) e tutti insieme appassionatamente possiamo discutere di transizione ecologica e dei mali dell’attuale modello di produzione. In questo panorama idilliaco, mancava solo Fratoianni a cavallo di un unicorno con le insegne di Equologica e un bel riferimento all’Ulivo con Enrico Letta e Prodi a benedire gli astanti con l’acqua santa.

Nella lunga intervista mai si nomina l’attuale modello di produzione (e riproduzione), che si chiama capitalismo, e mai si indica chi in questo sistema è il nemico di classe, cioè il padronato nazionale e sovranazionale. Insomma, sembra di essere tornati ai tempi in cui Veltroni, allora segretario del PD, non chiamava Berlusconi per nome ma lo definiva il “principale esponente dello schieramento a noi avverso”.

Questa prurigine nel chiamare le cose con il loro nome serve a potersi sedere ai tavoli che contano, nella speranza di strappare qualche briciola al potente di turno. Ben più utile sarebbe stato affermare che il capitalismo è un fenomeno storico e come tale esso è reversibile, con buona pace dei sostenitori del neoliberismo. Tuttavia, senza lotta di classe e senza individuare chi si arricchisce anche in tempo di pandemia, in assenza di una riflessione sulla repressione suoi luoghi di lavoro, il rischio è che la transizione che Landini auspica avvenga, ma in una direzione opposta e contraria a lavoratori e lavoratrici: verso un neo-feudalesimo predatorio sul modello delle piattaforme di consegne a domicilio come Amazon e Just Eat.

Quindi, invece di limitarsi a parlare della necessità di costruire “vertenze e esperienze comuni” dall’alto come fa Landini, è necessario tornare ai cancelli di fabbriche, magazzini e scuole perché è lì che si costruisce il futuro.

Lorenzo
Redazione pisana Lotta Continua

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