Materialismo e natura

0

di Pao­lo Sal­va­to­ri

Il pro­ble­ma del­la dise­gua­glian­za è il pro­ble­ma ambien­ta­le. A. M. Iaco­no, con­fe­ren­za, 21 novem­bre 2021. Per alcu­ni la que­stio­ne è lam­pan­te, per altri non è chia­ro come l’e­co­no­mia poli­ti­ca mate­ria­li­sta sot­to­li­nei quan­to il model­lo di svi­lup­po in atto sia distrut­ti­vo del­l’am­bien­te. Osser­va­zio­ne ele­men­ta­re è che sia­no le fab­bri­che a pro­dur­re l’in­qui­na­men­to e che il capi­ta­li­smo attui la sua pre­mi­nen­za socia­le tra­mi­te il siste­ma di ripro­du­zio­ne indu­stria­le dei biso­gni. Com­piu­ta que­sta infe­ren­za, che met­te sot­to accu­sa il nostro stes­so benes­se­re, pro­ve­re­mo a dimo­stra­re come il pen­sie­ro diver­gen­te di Marx ed Engels che ispi­ra anche alcu­ni eco­no­mi­sti fuo­ri dal coro già con­ten­ga la que­stio­ne ambien­ta­le.

Pre­li­mi­nar­men­te va ricor­da­to che Marx pren­de le mos­se dal­l’im­men­sa mole let­te­ra­ria del­la cosid­det­ta eco­no­mia clas­si­ca, la qua­le si distin­gue dal­l’e­co­no­mia in voga oggi nel por­re il lavo­ro e non l’u­ti­li­tà come fon­te del valo­re. Tut­ti gli eco­no­mi­sti che han­no scrit­to pri­ma di Stuart Mill, uno dei mas­si­mi espo­nen­ti del­l’u­ti­li­ta­ri­smo, e pri­ma del­la codi­fi­ca­zio­ne mate­ma­ti­ca del prin­ci­pio del­l’u­ti­li­tà che dà la for­ma odier­na alla scien­za del­la scar­si­tà, con­ver­go­no nel rite­ne­re che la ter­ra, oltre un cer­to livel­lo di sfrut­ta­men­to, non può più dare frut­ti. Que­sta osser­va­zio­ne chia­ma­ta leg­ge dei ren­di­men­ti decre­scen­ti è sta­ta for­mu­la­ta per la pri­ma vol­ta da David Ricar­do. La pro­dut­ti­vi­tà del ter­re­no ha un limi­te, sostie­ne la scuo­la eco­no­mi­ca clas­si­ca. Marx affer­ma che anche l’in­du­stria ha un limi­te nel­la sua pos­si­bi­li­tà di estrar­re plus-valo­re sia dal­le mate­rie pri­me che dal lavo­ro e per que­sto si veri­fi­ca la leg­ge del­la cadu­ta ten­den­zia­le del sag­gio di pro­fit­to (Marx, Il Capi­ta­le III, Roma 1970 p. 259–321).

Alcu­ni auto­ri, come Piket­ty (The Cli­ma­te Book, Mila­no 2022, p. 405) e Latou­che, affer­ma­no che il limi­te del­la soste­ni­bi­li­tà è sta­to rag­giun­to e che sen­za un cam­bia­men­to del model­lo di svi­lup­po sarà impos­si­bi­le evi­ta­re un peg­gio­ra­men­to del­la cri­si cli­ma­ti­ca. Piket­ty argo­men­ta che nono­stan­te la rivo­lu­zio­ne glo­ba­le non si sia anco­ra veri­fi­ca­ta Marx col­ga la strut­tu­ra pro­fon­da del capi­ta­li­smo (Il Capi­ta­le nel XXI seco­lo, Mila­no 2013, p. 844–845) e infat­ti arti­co­la i suoi stu­di intor­no al dua­li­smo capitale/lavoro (ibi­dem, I e II leg­ge fon­da­men­ta­le del capi­ta­li­smo, p. 87 e p. 256). Que­sta con­trap­po­si­zio­ne che sot­tin­ten­de ad una oppo­si­zio­ne dia­let­ti­ca è il con­flit­to di clas­se. Piket­ty affer­ma che – in base alle sta­ti­sti­che in nostro pos­ses­so – la spe­re­qua­zio­ne nel­la distri­bu­zio­ne del red­di­to sta pro­gre­den­do inin­ter­rot­ta­men­te negli ulti­mi decen­ni, con­fer­man­do le ipo­te­si di Marx sul feno­me­no del­la con­cen­tra­zio­ne pro­gres­si­va dei capi­ta­li indu­stria­li argo­men­ta­ta attra­ver­so la leg­ge del­la cadu­ta ten­den­zia­le del sag­gio di pro­fit­to. Que­sto feno­me­no è evi­den­zia­to anche dal reso­con­to rela­ti­vo agli ultra-ric­chi redat­to dal­la rivi­sta For­bes, che lui cita a testi­mo­ne del feno­me­no del­la con­cen­tra­zio­ne. Tra­mi­te gli indi­ci da lui deli­nea­ti si può nota­re come, in base al feno­me­no sto­ri­co del­la dere­gu­la­tion, una sem­pre mino­re quo­ta di red­di­to nazio­na­le è re-distri­bui­ta tra­mi­te le tas­se e quin­di la dise­gua­glian­za sta pro­gre­den­do; que­sto è il mes­sag­gio prin­ci­pa­le che si è col­to nel­la let­tu­ra del­la sua ope­ra. Ma la con­cen­tra­zio­ne dei capi­ta­li con­fer­ma appun­to la leg­ge del­la cadu­ta ten­den­zia­le del sag­gio di pro­fit­to; e la paro­la d’ordine del­la redi­stri­bu­zio­ne non nasce cer­to con lui.

Il pro­gres­si­vo e spe­ri­men­tal­men­te veri­fi­ca­to con­cen­trar­si del­la ric­chez­za in capi­ta­li sem­pre più gran­di, a disca­pi­to del­l’e­gua­glian­za, era già sta­to infat­ti osser­va­to da Marx quan­do denun­cia­va la strut­tu­ra­li­tà del­le cri­si perio­di­che come feno­me­no rivol­to al fine del­la con­ser­va­zio­ne e l’au­to-valo­riz­za­zio­ne del valo­re-capi­ta­le, che si fon­da sul­la espro­pria­zio­ne e l’im­po­ve­ri­men­to del­la gran­de mas­sa dei pro­dut­to­ri (Il Capi­ta­le, III, Roma 1970 p. 303). L’aumento del­la dise­gua­glian­za di cui par­la quin­di Piket­ty rien­tra nel­la pro­ie­zio­ne sto­ri­ca di Marx.

Latou­che inve­ce par­la di limi­ti allo svi­lup­po in base soprat­tut­to alla incom­pa­ti­bi­li­tà fra un ulte­rio­re svi­lup­po indu­stria­le e con­ser­va­zio­ne del­la vita per­ché una cre­sci­ta infi­ni­ta è incom­pa­ti­bi­le con un pia­ne­ta fini­to (La Scom­mes­sa del­la decre­sci­ta, Mila­no 2009, p. 28). L’e­co­no­mia in auge oggi inve­ce affer­ma che la pro­dut­ti­vi­tà del lavo­ro è sem­pre aumen­ta­bi­le, inde­fi­ni­ta­men­te, come se l’in­fi­ni­to fos­se una varia­bi­le sen­sa­ta in un’e­qua­zio­ne; l’in­fi­ni­to, anche in mate­ma­ti­ca, ha sen­so solo come limi­te.

Nel Capi­ta­le pos­sia­mo tro­va­re fon­da­men­to anche alle sue ipo­te­si. E ogni pro­gres­so dell’agricoltura capi­ta­li­sti­ca costi­tui­sce un pro­gres­so non solo nell’arte di rapi­na­re l’operaio, ma anche nell’arte di rapi­na­re il suo­lo; ogni pro­gres­so nell’accrescimento del­la sua fer­ti­li­tà per un dato perio­do di tem­po, costi­tui­sce insie­me un pro­gres­so del­la rovi­na del­le fon­ti dure­vo­li di que­sta fer­ti­li­tà. (Marx, Il Capi­ta­le I, Roma 1970, p. 552). L’a­gri­col­tu­ra indu­stria­le distrug­ge il suo­lo per­ché si veri­fi­ca­no sem­pre e comun­que quel­li che sono sta­ti defi­ni­ti dall’economia poli­ti­ca “ren­di­men­ti mar­gi­na­li decre­scen­ti” sia in indu­stria che in agri­col­tu­ra.

L’i­po­te­si che la coe­si­sten­za uma­na alte­ri l’am­bien­te nel­l’at­tua­le model­lo di svi­lup­po è infat­ti una costan­te del pen­sie­ro eco­no­mi­co mate­ria­li­sta. Il pro­ble­ma del dua­li­smo uomo/natura è espli­ci­to in Engels: l’a­ni­ma­le si limi­ta ad usu­frui­re del­la natu­ra ester­na e appor­ta ad essa modi­fi­ca­zio­ni solo con la sua pre­sen­za; l’uo­mo la ren­de uti­liz­za­bi­le per i suoi sco­pi modi­fi­can­do­la: la domi­na (…) Non adu­lia­mo­ci trop­po tut­ta­via per la nostra vit­to­ria uma­na sul­la natu­ra. La natu­ra si ven­di­ca di ogni nostra vit­to­ria (Engels, Dia­let­ti­ca del­la Natu­ra, Roma 1971, p. 192). Lo sfrut­ta­men­to del­le risor­se ha come con­se­guen­za la deso­la­zio­ne del pae­sag­gio (ibi­dem).

E il lavo­ro del­l’uo­mo diven­ta fon­te di valo­ri d’u­so, e quin­di anche di ric­chez­ze, in quan­to l’uo­mo entra pre­ven­ti­va­men­te in rap­por­to, come pro­prie­ta­rio, con la natu­ra, fon­te pri­ma di tut­ti i mez­zi e ogget­ti di lavo­ro, e la trat­ta come cosa che gli appar­tie­ne. (Marx, Cri­ti­ca al Pro­gram­ma di Gotha, www.bibliomania.it, p. 3). Il pro­ble­ma del dua­li­smo uomo/natura nel mate­ria­li­smo è atte­sta­to come rivol­ta anti­re­li­gio­sa di matri­ce scet­ti­ca (se non atea), come ribel­lio­ne alla cul­tu­ra giu­dai­co-cri­stia­na ed alla sua con­ce­zio­ne schia­vi­le del lavo­ro come con­dan­na, con la con­se­guen­te stru­men­ta­liz­za­zio­ne bor­ghe­se, che dà al lavo­ro una for­za crea­tri­ce sopran­na­tu­ra­le (ibi­dem). In ulti­ma ana­li­si Marx impli­ci­ta­men­te pro­po­ne la seguen­te pro­por­zio­ne:

CAPITALE : LAVORO VIVO = UMANITA’ : NATURA

Gli uomi­ni pre­si nel loro com­ples­so, pur col­la­bo­ran­do fra loro in vario modo e tra­mi­te lo scam­bio, attra­ver­so la pro­du­zio­ne si rap­por­ta­no col­let­ti­va­men­te alla natu­ra (vedi anche Lavo­ro sala­ria­to e capi­ta­le, Mila­no 2009, p. 45).

Il pro­ble­ma dei biso­gni indot­ti e la denun­cia del­l’i­so­la­men­to reci­pro­co con­na­tu­ra­to alla nostra coe­si­sten­za sono ulte­rio­ri pro­ve del­l’e­co­lo­gi­smo insi­to nel socia­li­smo scien­ti­fi­co. Se desi­de­ria­mo un mon­do in cui la cura per gli altri, la soli­da­rie­tà e il valo­re non ridu­ci­bi­le a P.I.L. del benes­se­re (Latou­che, Bre­ve Sto­ria del­la decre­sci­ta, Mila­no 2021, p. 55–57 et etiam Patel Moo­re, Una sto­ria del mon­do a buon mer­ca­to, Mila­no 2018) sia­no più impor­tan­ti del­l’a­do­ra­zio­ne qua­si reli­gio­sa del­la ric­chez­za, cer­chia­mo un siste­ma eco­no­mi­co in cui non sia vero che i rap­por­ti socia­li fra le per­so­ne nei loro lavo­ri appa­io­no in ogni modo come loro rap­por­ti per­so­na­li, e non sono tra­ve­sti­ti da rap­por­ti socia­li fra le cose, fra i pro­dot­ti del lavo­ro (Marx, Il Capi­ta­le I, Roma 1970, p. 109).

La ridu­zio­ne del­l’uo­mo a nume­ro, ad ingra­nag­gio, a sem­pli­ce agen­te eco­no­mi­co con­dan­na­to alla mas­si­miz­za­zio­ne dei suoi gua­da­gni e quin­di al rap­por­to stru­men­ta­le sia con il pros­si­mo che con le risor­se natu­ra­li è con­se­guen­za, dun­que, del­la mer­ci­fi­ca­zio­ne descrit­ta pun­tual­men­te dal mate­ria­li­smo dia­let­ti­co nel­la sua decli­na­zio­ne eco­no­mi­ca. Il super­fluo di cui si nutre la cre­sci­ta è il brac­cio seco­la­re del­la dit­ta­tu­ra del­la ric­chez­za: per­ché la nostra coe­si­sten­za in for­ma di socie­tà di mas­sa por­ta a iso­lar­ci gli uni dagli altri, visto che si dispie­ga in una ric­chez­za ado­ra­ta come fetic­cio che è vei­co­lo di ogni rela­zio­ne (ibi­dem p. 103), men­tre la mer­ce vedet­te (Debord, La socie­tà del­lo spet­ta­co­lo, Mila­no 1997, p. 79–80) ci illu­de di get­ta­re un pon­te ver­so gli altri con­tro alla soli­tu­di­ne cui sia­mo costret­ti. Le per­so­ne si rico­no­sco­no nel­le loro mer­ci; tro­va­no la loro ani­ma nel­la loro auto­mo­bi­le, nel gira­di­schi ad alta fedel­tà, nel­la casa a due livel­li, nel­l’at­trez­za­tu­ra del­la cuci­na. Lo stes­so mec­ca­ni­smo che lega l’in­di­vi­duo alla sua socie­tà è muta­to, e il con­trol­lo socia­le è radi­ca­to nei nuo­vi biso­gni che esso ha pro­dot­to (Mar­cu­se, L’uo­mo a una dimen­sio­ne, Tori­no 1967 p. 29).

Il pro­ble­ma del­la dise­gua­glian­za è quin­di il pro­ble­ma del­la cri­si cli­ma­ti­ca per­ché il modo in cui la ric­chez­za si pola­riz­za nel dua­li­smo capitale/lavoro è lo stes­so in cui si mani­fe­sta il dua­li­smo uomo/natura. La distru­zio­ne del­la natu­ra è da Marx e da Engels espli­ci­ta­men­te denun­cia­ta par­lan­do del­l’a­gri­col­tu­ra indu­stria­le e dell’attività dell’uomo nel suo com­ples­so. Il mec­ca­ni­smo in cui la con­cen­tra­zio­ne del­le ric­chez­ze si mani­fe­sta è l’au­men­to del­le dise­gua­glian­ze; il modo in cui si attua la con­cen­tra­zio­ne è la mec­ca­niz­za­zio­ne del lavo­ro, il pre­va­le­re del lavo­ro mor­to sul lavo­ro vivo, del­la mac­chi­na sul­l’uo­mo, del capi­ta­le sul lavo­ro descrit­to come leg­ge di cadu­ta ten­den­zia­le del sag­gio di pro­fit­to. La chia­ve per com­pren­de­re la nostra coe­si­sten­za è il feti­ci­smo del­la mer­ce che si mani­fe­sta nel­la mer­ci­fi­ca­zio­ne di ogni aspet­to del­la vita uma­na.

Sia l’aumento del­le dise­gua­glian­ze denun­cia­to da Piket­ty che il para­dos­so del­la cre­sci­ta evi­den­zia­to da Latou­che han­no quin­di fon­da­men­to nell’economia poli­ti­ca mate­ria­li­sta e clas­si­ca. Que­sti due feno­me­ni sono ricon­du­ci­bi­li il pri­mo alla leg­ge del­la cadu­ta ten­den­zia­le del sag­gio di pro­fit­to per la qua­le è neces­sa­rio che si veri­fi­chi la con­cen­tra­zio­ne di capi­ta­li, il secon­do al feno­me­no dei ren­di­men­ti mar­gi­na­li decre­scen­ti evi­den­zia­to da Ricar­do e da Marx este­so all’industria. Ogni atti­vi­tà eco­no­mi­ca è sog­get­ta al feno­me­no dei ren­di­men­ti mar­gi­na­li decre­scen­ti per­ché, pur aggiun­gen­do quo­te aggiun­ti­ve di capi­ta­le varia­bi­le (ovve­ro di lavo­ro oppu­re mate­rie pri­me) oltre un cer­to limi­te la ter­ra o il capi­ta­le non potran­no più dare frut­ti pro­por­zio­na­li alle ulti­me aggiun­te di fat­to­ri pro­dut­ti­vi ester­ni. Che le risor­se ambien­ta­li aves­se­ro un limi­te nel­la pos­si­bi­li­tà di esse­re sfrut­ta­te era evi­den­te anche a Marx, come risul­ta dai suoi testi.

Il riscal­da­men­to glo­ba­le non si era anco­ra veri­fi­ca­to duran­te il XIX seco­lo, non era anco­ra sta­ta for­mu­la­ta l’i­po­te­si di Love­lock che l’u­ma­ni­tà fos­se una feb­bre pas­seg­ge­ra di Gaia, il pia­ne­ta viven­te. Marx però para­go­na­va indu­stria ed agri­col­tu­ra moder­ne, indi­can­do il loro comu­ne deno­mi­na­to­re nel­l’e­sau­ri­men­to del­le risor­se: il siste­ma indu­stria­le del­la cam­pa­gna suc­chia l’e­ner­gia anche degli ope­rai, e l’in­du­stria e il com­mer­cio, dal can­to loro, pro­cu­ra­no all’a­gri­col­tu­ra i mez­zi per depau­pe­ra­re la ter­ra (Il Capi­ta­le III, Roma 1970, p. 926).

La ricer­ca di un nuo­vo model­lo di svi­lup­po non può pre­scin­de­re da un’a­na­li­si ogget­ti­va dei costi ambien­ta­li ma potreb­be ricor­re­re ad un model­lo che piut­to­sto che cri­ti­chi l’attuale siste­ma, inve­ce che giu­sti­fi­car­lo come fa il pen­sie­ro uni­co. L’e­co­no­mia poli­ti­ca mar­xi­sta sa evi­den­zia­re meto­do­lo­gi­ca­men­te non solo dove il plus-valo­re estrat­to al lavo­ra­to­re sia ecces­si­vo, anche se oggi ine­vi­ta­bi­le, ma anche quan­do, nel­le paro­le di Latou­che, si intac­chi il capi­ta­le natu­ra­le (Bre­ve sto­ria del­la decre­sci­ta, Tori­no 2021, p. 29).

Ogni ele­men­to del­la natu­ra ha nel capi­ta­li­smo un valo­re di scam­bio ma que­sto è total­men­te un sopru­so: nel­le paro­le di Marx La casca­ta, al pari del­la ter­ra in gene­ra­le, al pari di ogni for­za natu­ra­le, non ha un valo­re (Il Capi­ta­le III, Roma 1970, p. 749).

 

Nessun commento

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Redazione di Lotta Continua
Exit mobile version