Ripartiamo dal repartino: 40 anni di lotte femministe

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A quarant’anni dal­la nasci­ta del Repar­ti­no Auto­ge­sti­to per l’Interruzione Volon­ta­ria di Gra­vi­dan­za, inter­no al Poli­cli­ni­co “Umber­to I”, ricor­dia­mo attra­ver­so testi­mo­nian­ze, imma­gi­ni ed un eser­ci­zio di memo­ria col­let­ti­va, gli ini­zi di un’esperienza radi­ca­le e pre­zio­sa che oggi è mes­sa a rischio dal­le poli­ti­che discri­mi­na­to­rie dell’azienda ospe­da­lie­ra!

di Info­sex

“Abor­ti­re per non abor­ti­re più”… Subi­to dopo l’emanazione del­la Leg­ge 194, il 22 MAGGIO 1978, nell’auletta occu­pa­ta del Poli­cli­ni­co si comin­ciò a spin­ge­re la discus­sio­ne nel­la dire­zio­ne del ren­de­re ese­cu­ti­va la leg­ge, per­ché di fat­to non lo era. Le com­pa­gne del col­let­ti­vo di oste­tri­ca cono­sce­va­no repar­ti com­ple­ta­men­te inu­ti­liz­za­ti, con let­ti e stru­men­ti chi­rur­gi­ci.

Scri­ve La Repub­bli­ca (7 giu­gno 1978): «Roma, deci­sa in assem­blea l’applicazione del­la leg­ge. La sfi­da è comin­cia­ta. Da una par­te gli obiet­to­ri, gli appel­li del­la chie­sa, le strut­tu­re socio­sa­ni­ta­rie insuf­fi­cien­ti; dall’altra le cen­ti­na­ia di richie­ste per abor­ti­re legal­men­te, i medi­ci pro­gres­si­sti, la Regio­ne e soprat­tut­to le don­ne. Non è una leg­ge, que­sta sull’aborto, che pote­va cade­re nell’indifferenza: a due gior­ni dal­la sua entra­ta in vigo­re si mol­ti­pli­ca­no le ini­zia­ti­ve, le assem­blee, gli incon­tri per garan­ti­re la sua appli­ca­zio­ne e per difen­der­la. Al Poli­cli­ni­co, dove la mag­gior par­te dei sani­ta­ri si era espres­sa per l’obiezione, ieri c’è sta­ta un’assemblea a cui han­no par­te­ci­pa­to le don­ne di quar­tie­re, il per­so­na­le para­me­di­co e i medi­ci. E un dato nuo­vo, al ter­mi­ne del dibat­ti­to che pure ha mes­so per l’ennesima vol­ta in luce le caren­ze strut­tu­ra­li dell’ospedale, è usci­to: si potrà abor­ti­re anche nel­le cli­ni­che uni­ver­si­ta­rie. Da oggi ver­ran­no accet­ta­te le doman­de e, tra una set­ti­ma­na, saran­no pra­ti­ca­ti i pri­mi abor­ti».

Al Poli­cli­ni­co si sus­se­guo­no riu­nio­ni e incon­tri con i col­let­ti­vi fem­mi­ni­sti del quar­tie­re. Il 21 GIUGNO del 1978 vie­ne occu­pa­to il Repar­ti­no: il tem­po di orga­niz­za­re l’accettazione, dove il medi­co avreb­be invia­to le don­ne al III pia­no del­la cli­ni­ca oste­tri­ca. Con le fem­mi­ni­ste capa­ci di atti­va­re il meto­do Kar­man, e il dot­tor Enzo Maio­ra­na che garan­ti­sce l’accettazione del­le pri­me 4 don­ne che devo­no abor­ti­re, si atti­va il repar­to di inter­ru­zio­ne di gra­vi­dan­za. Il poli­cli­ni­co Umber­to 1 è il pri­mo ospe­da­le roma­no che, attra­ver­so l’occupazione di un repar­to inu­ti­liz­za­to ma fun­zio­nan­te, impo­ne l’aborto gra­tui­to e auto­ge­sti­to. Gli altri ospe­da­li roma­ni, come il San Gio­van­ni o il San Camil­lo, non furo­no in gra­do di fare un’occupazione vera e pro­pria e i col­let­ti­vi fem­mi­ni­sti apri­ro­no trat­ta­ti­ve con le dire­zio­ni sani­ta­rie.

Gra­ziel­la Bastel­li, tra le pro­ta­go­ni­ste dell’occupazione al Poli­cli­ni­co, in un’intervista rila­scia­ta nel 21 Feb­bra­io 2006 ricor­da: «Nel 1978 la Leg­ge 194 susci­tò tan­te discus­sio­ni all’interno dei movi­men­ti fem­mi­ni­sti, soprat­tut­to per­ché per­pe­tua­va un con­trol­lo sul­le don­ne e per­ché pre­ve­de­va la set­ti­ma­na di atte­sa in cui si invi­ta­va­no le don­ne a riflet­te­re sull’azione che si appre­sta­va­no a com­pie­re […] Ma dopo un momen­to ini­zia­le di scon­cer­to, era chia­ro ai più che la 194 c’era e anda­va appli­ca­ta. Il Repar­ti­no nasce­va con lo slo­gan ‘abor­tia­mo per non abor­ti­re più’, per dare mas­si­mo risal­to alle lot­te per l’autodeterminazione del­le don­ne, per la gestio­ne del­la pro­pria ses­sua­li­tà e per la scel­ta del­la tem­po­ra­li­tà lega­ta alla pro­pria mater­ni­tà. Ho comin­cia­to come stu­den­tes­sa di medi­ci­na e sono entra­ta nel col­let­ti­vo a 20 anni. Ho fat­to espe­rien­za del Repar­ti­no a 27 anni. Noi del Poli­cli­ni­co ave­va­mo biso­gno di con­cre­tiz­za­re e veni­va­mo cri­ti­ca­ti come poco teo­ri­ci. Ma all’epoca c’erano i giu­sti rap­por­ti di for­za per pas­sa­re dal­la teo­ria alla pras­si, e il Repar­ti­no è sta­ta una espe­rien­za ric­chis­si­ma».

Foto di Pao­la Ago­sti (1976)

GLI ANTEFATTI: IL COLLETTIVO DEL POLICLINICO E I RAPPORTI CON IL FEMMINISMO

Il Repar­ti­no non nasce dal nul­la, tan­to come espe­rien­za quan­to come espres­sio­ne del­la capa­ci­tà di autor­ga­niz­za­zio­ne del­le don­ne. Non è infat­ti un caso che la spe­ri­men­ta­zio­ne par­ta dal Poli­cli­ni­co Umber­to I: il Col­let­ti­vo di lavo­ra­tor* e stu­dent* del Poli­cli­ni­co, dal 1973 in poi, comin­cia una gran­de bat­ta­glia per l’assistenza e la regio­na­liz­za­zio­ne, e anco­ra sui paga­men­ti, cam­bi e assun­zio­ni dei lavo­ra­to­ri.

Nel 1974 ne segue una impor­tan­te lot­ta – rac­con­ta Gra­ziel­la: «Dal Poli­cli­ni­co par­ti­va­mo in mar­cia fino al Mini­ste­ro del­la Pub­bli­ca Istru­zio­ne o al Car­ce­re Regi­na Coe­li. Face­va­mo cor­tei den­tro al Poli­cli­ni­co coi bam­bi­ni per riven­di­ca­re l’asilo nido inter­no. L’esperienza del 1974 per l’asilo nido fu un gran­de coa­gu­lan­te; cal­co­lan­do che il 90% dei lavo­ra­to­ri era­no don­ne e quin­di l’asilo era una neces­si­tà for­te per i figli. Que­sta lot­ta ave­va inse­gna­to e amal­ga­ma­to mol­to, le assem­blee ad alto nume­ro fem­mi­ni­le c’erano dun­que già da tem­po, e di abor­to si era già ini­zia­to a par­la­re […] La riven­di­ca­zio­ne dell’asilo ave­va poi deter­mi­na­to un inte­res­se dif­fu­so e col­let­ti­vo per i temi nor­mal­men­te lega­ti alle atti­vi­tà di cura del­la don­na e alle pro­ble­ma­ti­che con­nes­se con la mater­ni­tà, libe­ra e frut­to di scel­ta con­sa­pe­vo­le».

Il col­let­ti­vo del Poli­cli­ni­co (carat­te­riz­za­to da una com­po­si­zio­ne mista e non del tut­to inter­no al movi­men­to fem­mi­ni­sta), già dal­la gros­sa atti­va­zio­ne del 1974 che por­tò a 6 mesi di mobi­li­ta­zio­ne per­ma­nen­te, ave­va affron­ta­to la que­stio­ne dell’aborto sot­to diver­si aspet­ti: da quel­lo ammi­ni­stra­ti­vo, all’assistenza all’interno del­la strut­tu­ra ospe­da­lie­ra uni­ver­si­ta­ria; non solo dal pun­to di vista fem­mi­ni­sta ma coin­vol­gen­do all’interno di que­ste assem­blee e dibat­ti­ti anche don­ne poco sen­si­bi­liz­za­te alle que­stio­ni di gene­re.

L’alleanza imme­dia­ta con il col­let­ti­vo fem­mi­ni­sta di San Loren­zo e con Simo­net­ta Tosi, che cer­to non era una “fem­mi­ni­sta di ulti­ma gene­ra­zio­ne” ma ave­va la sua sto­ria pro­prio nel fem­mi­ni­smo roma­no, arric­chi­sce l’esperienza del­le com­pa­gne del col­let­ti­vo del Poli­cli­ni­co e degli stes­si com­pa­gni che si ren­do­no dispo­ni­bi­li a fare tut­ta una serie di lavo­ri neces­sa­ri a far fun­zio­na­re il repar­to (dal­le puli­zie al repe­ri­men­to di mate­ria­le sani­ta­rio), men­tre le don­ne si occu­pa­no di tut­to il resto gesten­do sia la fase pre che post inter­ven­to: dal­le accet­ta­zio­ni, ai col­lo­qui, alle assem­blee sul­la con­trac­ce­zio­ne, e tut­ta la pra­ti­ca del Kar­man.

LA NASCITA DEL REPARTINO

La sto­ria del Repar­ti­no di abor­ti auto­ge­sti­ti del Poli­cli­ni­co è una sto­ria emble­ma­ti­ca: di gio­ia, lot­ta e con­qui­sta. Dal pun­to di vista uma­no, il fat­to­re aggre­gan­te e la soli­da­rie­tà tra cate­go­rie di lavo­ra­to­ri e lavo­ra­tri­ci con le uten­ze del­la strut­tu­ra sani­ta­ria è il valo­re aggiun­to, a cui aspi­ra­no da anni le pro­te­ste degli “auto­no­mi” del Poli­cli­ni­co: cam­bia­re il rap­por­to con il pazien­te, che da spet­ta­to­re pas­si­vo deve dive­ni­re atto­re con­sa­pe­vo­le e quin­di ‘atti­vo’ di quan­to si muo­ve sul­la sua pel­le.

Infat­ti, gra­zie anche al soste­gno di col­let­ti­vi fem­mi­ni­sti come quel­lo di San Loren­zo con Simo­net­ta Tosi, il Repar­ti­no degli abor­ti, nel­la sua fase auto­ge­sti­ta, non fu solo un con­te­sto medi­co e medi­ca­liz­za­to nel suo ope­ra­to, quan­to piut­to­sto un pun­to di rife­ri­men­to per le don­ne che dove­va­no abor­ti­re o ave­va­no abor­ti­to, attra­ver­so assem­blee quo­ti­dia­ne e incon­tri sul­la pre­ven­zio­ne. Sul ter­re­no del­la pra­ti­ca del­la lot­ta dal bas­so e quel­lo del­la con­qui­sta l’esperienza del Repar­ti­no per­mi­se:

  • di spe­ri­men­ta­re nel 1978 una diver­sa ed uni­ca allean­za fra alcu­ni col­let­ti­vi fem­mi­ni­sti del quar­tie­re di San Loren­zo e un col­let­ti­vo misto di ope­ra­to­ri sani­ta­ri, arri­van­do ad una con­di­vi­sio­ne di agi­ti che, nell’applicazione di una leg­ge pie­na di con­trad­di­zio­ni e ille­ga­li­tà lega­liz­za­te, ne impo­ne­va l’applicazione con una gestio­ne tota­le da par­te dell’utenza, ovve­ro del­le DONNE;
  • di dare sen­so e con­te­nu­ti all’auto­de­ter­mi­na­zio­ne tra­mi­te l’ascolto dei biso­gni sog­get­ti­vi e col­let­ti­vi per offri­re salu­te e benes­se­re, liber­tà di scel­ta nell’essere madre e don­na, cono­scen­ze sul cor­po e sul­la ses­sua­li­tà inte­sa anche e prin­ci­pal­men­te come pia­ce­re. Il tut­to in una strut­tu­ra sani­ta­ria pub­bli­ca pro­fes­sio­na­le e di qua­li­tà fat­ta dal­le don­ne per le don­ne;
  • di met­te­re in evi­den­za l’ipocrisia di chi ave­va “par­to­ri­to” que­sta leg­ge per NON appli­car­la e far­la appli­ca­re. Sicu­ri che l’obie­zio­ne di coscien­za, i vari pas­sag­gi buro­cra­ti­ci che pena­liz­za­va­no e col­pe­vo­liz­za­va­no le don­ne, la mancanza/carenza di finan­zia­men­ti, di spa­zi e di ope­ra­to­ri nel­le strut­tu­re sani­ta­rie, avreb­be­ro lascia­to solo sul­la car­ta que­sta leg­ge volu­ta con lot­te e mobi­li­ta­zio­ni dal­le don­ne. Ven­ne inol­tre mes­sa in luce l’ipocrisia del pote­re eccle­sia­sti­co e medi­co che dove­va man­te­ne­re i pro­fit­ti nel­le cli­ni­che e negli stu­di pri­va­ti che si era­no arric­chi­ti con gli abor­ti clan­de­sti­ni;
  • di chia­ri­re che l’occupazione e l’auto­ge­stio­ne di un repar­ti­no IVG, a pochi gior­ni da una leg­ge nazio­na­le, non pote­va esse­re ripor­ta­ta alla “nor­ma­li­tà” e stru­men­ta­liz­za­ta dal­le strut­tu­re pub­bli­che che lo dove­va­no garan­ti­re, per­ché era una pro­vo­ca­zio­ne nei con­fron­ti del­la loro assen­za e per­ché era nata chia­ren­do che non avreb­be sosti­tui­to quel­lo che loro dove­va­no atti­va­re in tut­ti gli ospe­da­li e con pre­ci­se indi­ca­zio­ni: appli­ca­zio­ne del meto­do Kar­man, ovve­ro dell’aspirazione, per­ché meno medi­co, meno vio­len­to e meno inva­si­vo del raschia­men­to, impa­ran­do que­sta nuo­va pra­ti­ca dal­le com­pa­gne fem­mi­ni­ste che, negli anni pre­ce­den­ti era­no sta­te l’unica alter­na­ti­va ai “viag­gi del­la spe­ran­za” in Inghil­ter­ra e alle mam­ma­ne nostra­ne;
  • di impor­re che l’occupazione del Repar­ti­no potes­se favo­ri­re l’estensione del­le pra­ti­che oltre quel­lo stes­so ser­vi­zio. Nel­le sale par­to con­tro le vio­len­ze oste­tri­che e la disu­ma­niz­za­zio­ne dei suoi spa­zi; negli ambu­la­to­ri con le lun­ghe liste di atte­sa; nei repar­ti oste­tri­co-gine­co­lo­gi­ci pre­ten­den­do un repar­to per le puer­pe­re e più per­so­na­le; in rife­ri­men­to al nido tan­to distan­te dal­la sala par­to che costrin­ge­va le don­ne che ave­va­no par­to­ri­to con il cesa­reo a non poter vede­re e allat­ta­re i pro­pri figli per 24/48 se non ave­va­no un fami­lia­re che le accom­pa­gna­va con una del­le rare sedie a rotel­le del­la cli­ni­ca; nel­la denun­cia costan­te dei medi­ci obiet­to­ri del Poli­cli­ni­co (il 99%) che lavo­ra­va­no nel pri­va­to clan­de­sti­no. Tut­ti gli spa­zi e l’offerta sani­ta­ria veni­va­no con­trol­la­ti, per­ché l’OCCUPAZIONE del Repar­ti­no ave­va la pre­ci­sa pro­get­tua­li­tà di con­cre­tiz­za­re una sani­tà pub­bli­ca gesti­ta dall’utenza e dove i medi­ci non era­no i deten­to­ri di un pote­re scien­ti­fi­co sui cor­pi pas­si­vi di chi richie­de­va ascol­to, pre­ven­zio­ne, cure, rispet­to, ma sem­pli­ci per­so­ne che con­di­vi­de­va­no con altre le loro cono­scen­ze.

IL METODO KARMAN

 Pri­ma dell’applicazione del­la Leg­ge 194 c’erano i cosid­det­ti ‘Cuc­chiai d’oro’ che lucra­va­no sul­le don­ne a loro rischio e peri­co­lo.

Il nome di ‘Cuc­chiai d’oro’, attri­bui­to a que­sti pro­fes­sio­ni­sti dell’aborto clan­de­sti­no, rigo­ro­sa­men­te in cli­ni­che pri­va­te e a caris­si­mo prez­zo, rie­vo­ca­va il loro stru­men­to di lavo­ro: il cuc­chia­io di fer­ro ado­pe­ra­to per la puli­zia dell’utero.

La discus­sio­ne sul meto­do Kar­man (ovve­ro l’aspi­ra­zio­ne), meto­do mol­to meno trau­ma­ti­co per le don­ne e per l’utero rispet­to al raschia­men­to pra­ti­ca­to dai cosid­det­ti ‘Cuc­chiai d’oro’ anche per minac­ce d’aborto, fu for­te anche all’interno del Col­let­ti­vo misto del Poli­cli­ni­co e per­met­te­va di ragio­na­re sul­la pos­si­bi­li­tà di mobi­li­tar­si all’interno del­la strut­tu­ra pub­bli­ca, e fare ‘piaz­za puli­ta di cuc­chiai e mam­ma­ne’.

Il meto­do veni­va pra­ti­ca­to in Fran­cia, lì par­ti­va­no mol­te com­pa­gne per appren­der­lo e ripro­dur­lo. Una nota del quo­ti­dia­no La Stam­pa, data­ta 8 Set­tem­bre 1978, ripor­ta le paro­le di una don­na e fem­mi­ni­sta che da anni si inte­res­sa­va al tema dell’aborto: «Ci sono sta­ti momen­ti in cui fra Crac, Cisa, Nuclei abor­to fem­mi­ni­ste face­va­mo in una set­ti­ma­na tan­ti inter­ven­ti quan­ti ne fan­no oggi le strut­tu­re pub­bli­che. Ma allo­ra lo si sape­va bene, c’erano i cuc­chiai d’oro, le cli­ni­che per le pri­vi­le­gia­te, le mam­ma­ne, i voli char­ter per Lon­dra. E oggi, tut­te le don­ne che con­ti­nua­no a aver biso­gno di un inter­ven­to che fine han­no fat­to? Non per­dia­mo­ci die­tro  le man­cia­te di pol­ve­re che si get­ta negli occhi né die­tro le sca­ra­muc­ce: il mer­ca­to clan­de­sti­no è fio­ren­te, la rot­ta per l’Inghilterra è bat­tu­tis­si­ma con una rab­bia e un dolo­re anco­ra più pro­fon­do di pri­ma, se pos­si­bi­le».

C’erano però anche le com­pa­gne che pra­ti­ca­va­no il Kar­man clan­de­sti­no, per evi­ta­re che le don­ne fos­se­ro costret­te a viag­gi a Lon­dra o in Fran­cia (chi pote­va per­met­ter­se­lo ovvia­men­te) ma rischian­do loro stes­se in pri­ma per­so­na a livel­lo pena­le. «Chi inve­ce non pote­va par­ti­re” – rac­con­ta Gra­ziel­la – ave­va la pos­si­bi­li­tà di paga­re fior di quat­tri­ni in cli­ni­che pri­va­te, dove ci si affi­da­va al chi­rur­go di tur­no. Il col­let­ti­vo del Poli­cli­ni­co ave­va indi­vi­dua­to diver­si di que­sti medi­ci, che infat­ti con l’approvazione del­la 194 intra­pre­se­ro la stra­da dell’obiezione, e che era­no ina­de­gua­ti alla pra­ti­ca. Per que­sto veni­va­no segna­la­ti  con volan­ti­ni o con il ‘lan­cio del­le 5 lire’ quan­do entra­va­no al poli­cli­ni­co. Mol­ti di que­sti usa­va­no le stru­men­ta­zio­ni pub­bli­che a fini pri­va­ti ».

La pra­ti­ca dell’aborto clan­de­sti­no, oltre ad esse­re costo­sa per le don­ne, il più del­le vol­te veni­va agi­ta di nasco­sto ed in con­te­sti non sem­pre sicu­ri, rien­tran­do qua­si in dina­mi­che di ricat­to. Si gio­ca­va sui sen­si di col­pa del­le don­ne, tra­scu­ran­do un ele­men­to fon­dan­te che diven­ne inve­ce prio­ri­ta­rio nel Repar­ti­no e nel­la leg­ge, ovve­ro la pre­ven­zio­ne all’aborto.

L’obiettivo del Repar­ti­no occu­pa­to era dun­que pro­prio quel­lo, cioè ‘attra­ver­so l’aborto annul­la­re l’uso all’aborto’, che comun­que rap­pre­sen­ta per la don­na un’esperienza com­ples­sa e vio­len­ta. Spes­so le cau­se degli abor­ti era­no date dal­la man­can­za di pos­si­bi­li­tà eco­no­mi­che, quan­to anche dall’avere già altri figli, con la con­se­guen­te con­sa­pe­vo­lez­za per la don­na di non poter­ce­la fare. La vul­ga­ta che inve­ce gio­ca­va sul­la dico­to­mia dell’aborto come assas­si­nio insi­ste­va (e lo fa tutt’oggi) sul pre­giu­di­zio cul­tu­ra­le del­la don­na fri­vo­la, tut­ta pas­sio­ne e pia­ce­re, super­fi­cia­le e disin­te­res­sa­ta ver­so quel­lo che por­ta in grem­bo. L’aborto era inve­ce (e in tan­te occa­sio­ni lo è tutt’ora) una rinun­cia e spes­so una scel­ta neces­sa­ria: que­sta descri­zio­ne non era quel­la che anda­va per la mag­gio­re negli ambien­ti intel­let­tua­li e nel­la vul­ga­ta uffi­cia­le. La 194 non dove­va solo esse­re appli­ca­ta ma pre­ve­de­va un neces­sa­rio e impor­tan­te lavo­ro di con­tro­in­for­ma­zio­ne.

VITA DI REPARTINO

L’approvazione del­la Leg­ge 194 fu il risul­ta­to di un com­pro­mes­so che le don­ne non accet­ta­ro­no facil­men­te, nono­stan­te si richie­des­se a gran voce l’urgenza di una leg­ge sull’aborto. Le don­ne, attra­ver­so le lot­te e il refe­ren­dum, riven­di­ca­va­no la loro liber­tà di scel­ta e l’annullamento del mer­ca­to clan­de­sti­no di abor­ti. La Leg­ge 194 tra­dì entram­be le aspet­ta­ti­ve sot­to diver­si pun­ti di vista.

Per que­sto il Repar­ti­no occu­pa­to fu un ten­ta­ti­vo con­cre­to per misu­rar­si con tut­ti i diver­si biso­gni del­le don­ne, facen­do i con­ti con le con­trad­di­zio­ni che dove­va­mo affron­ta­re. Con l’introduzione dell’aspetto del­la pre­ven­zio­ne, quel­lo dell’ “abor­ti­re per non abor­ti­re più”, si cari­cò di un for­te sen­so di soli­da­rie­tà e con­fron­to. Rac­con­ta anco­ra Gra­ziel­la: «Mol­te del­le don­ne che ave­va­no subi­to l’intervento, spes­so tor­na­va­no per dar­ci una mano e fare le volon­ta­rie con noi nel Repar­ti­no, maga­ri facen­do più cacia­ra che altro, per­ché c’era un cli­ma di gran­de alle­gria al Repar­ti­no, più che coor­di­nar­si e orga­niz­zar­si!»

Ben pre­sto l’accettazione del­le don­ne diven­tò pro­ble­ma­ti­ca, per­ché oltre Maio­ra­na non c’era nes­sun altro medi­co. Mol­te don­ne del col­let­ti­vo face­va­no i loro tur­ni nei repar­ti e poi, fini­to il tur­no, anda­va­no al Repar­ti­no. Dopo un mese il Repar­ti­no auto­ge­sti­to vie­ne dota­to di un infer­mie­re e un por­tan­ti­no uffi­cia­le. Per­so­na­le ‘uffi­cia­le’ con­ces­so dal­la strut­tu­ra sani­ta­ria, per per­met­te­re ai ‘volon­ta­ri’ di con­ti­nua­re a pra­ti­ca­re abor­ti e tene­re in pie­di il Repar­ti­no, sep­pur occu­pa­to e gesti­to in modo assem­blea­re. C’erano assem­blee tut­ti i gior­ni con le stes­se don­ne che si affac­cia­va­no al Repar­ti­no per abor­ti­re, e si discu­te­va soprat­tut­to del­la pre­ven­zio­ne all’aborto: pil­lo­la, dia­fram­ma, pre­ser­va­ti­vo, spi­ra­le.

«Si con­di­vi­de­va­no i nostri sogni con la neces­si­tà di ren­de­re un ser­vi­zio, che per mol­ti mesi, anche dopo l’emanazione del­la leg­ge, non era pra­ti­ca­to in altri ospe­da­li, per­ché ovvia­men­te non garan­ti­va inte­res­si eco­no­mi­ci rile­van­ti. L’esperienza del Repar­ti­no occu­pa­to stra­vol­se gli equi­li­bri inter­ni nel­la cli­ni­ca oste­tri­ca: i volon­ta­ri e le volon­ta­rie entra­no ovun­que, anche nel­le sale par­to, dove ci sono e c’erano con­di­zio­ni paz­ze­sche, con don­ne in barel­la anche dopo il cesa­reo» – rac­con­ta anco­ra Gra­ziel­la- «C’erano oste­tri­che anzia­ne che dia­lo­ga­va­no con le pazien­ti in modo aggres­si­vo e cat­ti­vo: ‘hai volu­to la bici e mo pedali’…’t‘è pia­ciu­to e mo pia­gni».

In un con­te­sto dove vige­va la cul­tu­ra pre­do­mi­nan­te, quel­la gerar­chi­ca in cui la don­na è ai pia­ni bas­si, il Repar­ti­no «diven­ta­va una spi­na nel fian­co di oste­tri­ca. Le don­ne aumen­ta­va­no di gior­no in gior­no, si pra­ti­ca­va­no anche 7–8 abor­ti al gior­no, lavo­ran­do dal­la mat­ti­na alla sera in modo costan­te. La pres­sio­ne e pre­sen­za con­ti­nua costrin­se l’amministrazione a con­ce­de­re un mini­mo fon­do per disin­fet­tan­ti vari e beni di neces­si­tà. Alcu­ni medi­ci si affian­ca­ro­no a que­sto pun­to comin­cian­do a dare un con­tri­bu­to, che si com­pren­de­rà dopo, a dop­pio fine. Quan­do la poli­zia sgom­be­rò per la ter­za vol­ta a Set­tem­bre il Repar­ti­no cac­cian­do gli occu­pan­ti, l’attività con­ti­nuò ad ope­ra di que­sti medi­ci che otten­ne­ro con­trat­ti e che ope­ra­va­no con le guar­die alle por­te per tene­re fuo­ri chi volon­ta­ria­men­te, all’indomani del­la 194, ne ave­va reso pos­si­bi­le l’applicazione in Ita­lia».

Il ‘Cetrio­lo con­tro’, rivi­sta auto­pro­dot­ta all’interno del Poli­cli­ni­co, rac­con­ta­va le fac­cen­de dei pro­fes­so­ri baro­ni Mar­cel­li e Coscia: «sono tut­te per­so­ne che usa­no poi il Repar­ti­no per fare la loro car­rie­ra: cari­che e ruo­li all’interno di oste­tri­cia; men­tre le com­pa­gne come Simo­net­ta Tosi, fem­mi­ni­sta e medi­co, vivo­no il Repar­ti­no dif­fe­ren­te­men­te, dan­do impor­tan­za ai discor­si del­la pre­ven­zio­ne e con­tro­in­for­ma­zio­ne, nell’ottica di spin­ge­re sull’autodeterminazione. Non era il medi­co che face­va il ser­vi­zio e basta! Ma si vive­va que­sta azio­ne medi­ca come azio­ne uma­na. Un sogno che l’esperienza del Repar­ti­no ha tra­sfor­ma­to in real­tà».

LE TESTIMONIANZE DELLE DONNE

Quel­le che seguo­no sono due diver­se testi­mo­nian­ze. La pri­ma di una don­na che ven­ne rico­ve­ra­ta al Repar­ti­no IVG, e la secon­da di una lavo­ra­tri­ce che par­te­ci­pò all’occupazione dal 21 giu­gno del 1978:

«Supe­ra­to il pri­mo momen­to di sgo­men­to nell’apprendere il mio sta­to di gra­vi­dan­za, pie­na di illu­sio­ni per la tan­to strom­baz­za­ta Leg­ge 194, ho ini­zia­to il mio giro (…) nei vari ospe­da­li di Roma e pro­vin­cia. Ben pre­sto il mio otti­mi­smo si tra­sfor­mò in ango­scia mista a rab­bia di fron­te a liste inter­mi­na­bi­li. (…) Le cose anda­ro­no diver­sa­men­te alla secon­da cli­ni­ca Gine­co­lo­gi­ca del Poli­cli­ni­co, dove un Repar­ti­no era sta­to occu­pa­to ed auto­ge­sti­to da un grup­po di fem­mi­ni­ste. (…) Car­tel­li con visto­se frec­ce mi con­dus­se­ro per mano al secon­do pia­no di que­sta cli­ni­ca.

Entran­do, sui muri, bre­vi e indi­ca­ti­vi rias­sun­ti dei fat­ti più salien­ti di una lot­ta assur­da, impa­ri, con­dot­ta per anni da que­ste don­ne con­tro isti­tu­zio­ni atte solo alla sal­va­guar­dia di un pote­re che fa di chi dovreb­be esse­re al ser­vi­zio del­le don­ne, in que­sto caso, un pro­prie­ta­rio di cose e per­so­ne che asso­lu­ta­men­te deb­bo­no appar­te­ner­gli. La dispo­ni­bi­li­tà del­le ragaz­ze che si tro­va­va­no nel cor­ri­do­io qua­si mi lasciò incre­du­la. Alle timi­de doman­de le rispo­ste era­no chia­re (…). La mat­ti­na del 22 ago­sto, dopo una set­ti­ma­na inson­ne e agi­ta­ta, mi tro­vai con altre set­te don­ne ad esple­ta­re quel­le for­ma­li­tà richie­ste dal­la Leg­ge, dopo­di­ché pren­dem­mo pos­ses­so dei nostri let­ti che con mio gran­de stu­po­re non ave­va­no len­zuo­la rot­te o spor­che ed era­no ben fat­ti e can­di­di. Tra di noi non par­la­va­mo (…) soprat­tut­to guar­da­vo con tri­stez­za due ragaz­ze sole, que­sto mi col­pì.

Infat­ti mi chie­de­vo se que­sto abor­to era poi una con­qui­sta del­le don­ne. In una manie­ra o nell’altra l’uomo ne è sem­pre fuo­ri. (…) Ven­ne il mio tur­no, dopo aver salu­ta­to mio mari­to, mi tro­vai in sala ope­ra­to­ria dove ebbi l’attenzione e l’affetto di tut­te. Abbia­mo par­la­to e scher­za­to con quel­le don­ne, men­tre l’anestesista mi spie­ga­va cosa mi sta­va facen­do, quel­lo che avrei dovu­to pro­va­re.

Chie­si di col­la­bo­ra­re con lui comu­ni­can­do­gli tut­te le sen­sa­zio­ni che pro­va­vo, mi sen­ti­vo più sol­le­va­ta e tran­quil­la. (…) Era fini­ta, non ave­vo asso­lu­ta­men­te dolo­re, allo­ra feci il con­fron­to con un pre­ce­den­te raschia­men­to di alcu­ni anni fa. Sta­vo bene, solo ave­vo son­no. Tra il dor­mi­ve­glia pas­sò un lun­go pome­rig­gio. Alle cin­que cir­ca ci fu una riu­nio­ne del­le fem­mi­ni­ste sui con­trac­cet­ti­vi, La sera sta­va­mo tut­te bene e per­ciò par­lam­mo fino a tar­di, di tut­to, come se ci cono­sces­si­mo da tem­po. (…) Tor­nai anco­ra in quel repar­to e con qual­cu­na di loro ho segui­ta­to a veder­mi, a par­la­re dei miei e dei loro pro­ble­mi».

(Testi­mo­nian­za scrit­ta di una don­na che ha abor­ti­to al Repar­ti­no)

«Il 21 giu­gno le com­pa­gne fem­mi­ni­ste e lavo­ra­tri­ci del Poli­cli­ni­co insie­me con le don­ne che atten­de­va­no di inter­rom­pe­re la gra­vi­dan­za han­no occu­pa­to un repar­to del­la secon­da cli­ni­ca oste­tri­ca, riser­va­to in pas­sa­to ai clien­ti di riguar­do dei baro­ni Crainz e Caren­za e che da qual­che anno, in segui­to alle lot­te por­ta­te avan­ti dai lavo­ra­to­ri del Poli­cli­ni­co con­tro le spe­cu­la­zio­ni sul­la pel­le dei mala­ti e con­tro un’assistenza ospe­da­lie­ra di pri­ma e secon­da clas­se, era sta­to chiu­so ed era rima­sto inu­ti­liz­za­to.

Que­sta occu­pa­zio­ne nasce dall’esigenza di tut­te le don­ne che, in atte­sa di abor­ti­re e da tem­po sbat­tu­te da un ospe­da­le a un altro, han­no deci­so di orga­niz­zar­si per garan­tir­si gli inter­ven­ti che nes­sun ospe­da­le anco­ra pra­ti­ca­va e che anche i nuclei di com­pa­gne che fino a quel momen­to l’avevano pra­ti­ca­to clan­de­sti­na­men­te, ave­va­no cor­ret­ta­men­te sospe­so volen­do met­te­re a nudo la respon­sa­bi­li­tà del­le isti­tu­zio­ni, di fron­te alla neces­si­tà di appli­ca­re imme­dia­ta­men­te la leg­ge.

Que­sta spin­ta all’occupazione ha subi­to lega­to con le com­pa­gne fem­mi­ni­ste, pro­prio per la volon­tà di que­ste di entra­re negli ospe­da­li: que­sta scel­ta da par­te di vari col­let­ti­vi fem­mi­ni­sti è sta­ta tutt’altro che como­da, poi­ché anda­va a coz­za­re con una real­tà che istin­ti­va­men­te ci veni­va da rifiu­ta­re, quel­la leg­ge sull’aborto. Una leg­ge che non ave­va­mo volu­to, che rin­ne­ga­va l’aborto come un’esperienza da vive­re coscien­te­men­te, da vive­re come don­ne tra don­ne e la tra­sfor­ma­va inve­ce in una tra­fi­la ambu­la­to­ria­le, in un nor­ma­le inter­ven­to chi­rur­gi­co. (…) Infi­ne una leg­ge che di per sè era per­fet­ta per non veni­re appli­ca­ta, con quel­la dell’articolo che pre­ve­de l’obiezione di coscien­za. (…)

Que­sta leg­ge che met­te in mano la don­na a pochi medi­ci ‘volen­te­ro­si’, solo di far car­rie­ra anda­va fat­ta fun­zio­na­re? Oppu­re è neces­sa­rio esse­re coe­ren­ti fino in fon­do e lascia­re que­sto com­pi­to in mano alle baro­nie da un lato e dall’altro a quel barac­co­ne che è la strut­tu­ra sani­ta­ria (…)? Que­sto nodo anco­ra non l’abbiamo sciol­to (…) ovve­ro non è l’autogestione del nostro repar­ti­no, ovve­ro del­la leg­ge che voglia­mo, né ci spin­ge l’entusiasmo dell’esemplarità di que­sta lot­ta. Sem­mai è il biso­gno di irrom­pe­re nel sacro tem­pio (l’ospedale) in cui dovrem­mo pas­sa­re come sog­get­ti total­men­te pas­si­vi e scar­di­na­re gli spor­chi pro­get­ti che i baro­ni stan­no facen­do sul nostro cor­po. Insom­ma non inten­dia­mo sosti­tuir­ci alle isti­tu­zio­ni: sia­no loro ad appli­ca­re la leg­ge! (…)

Noi voglia­mo però impor­re il con­trol­lo sull’applicazione di que­sta leg­ge, il con­trol­lo sui medi­ci, su come ven­go­no fat­ti gli inter­ven­ti, su come li vivo­no le don­ne; voglia­mo stra­vol­ge­re con i nostri con­te­nu­ti il con­cet­to di una medi­ci­na da subi­re in una da vive­re con­sa­pe­vol­men­te. (…) I medi­ci han­no appre­so il Kar­man dal­le com­pa­gne dei nuclei. (…). Inol­tre ha reso pos­si­bi­le un con­ti­nuo scam­bio con le don­ne, ed è pro­prio per que­sto rap­por­to che insie­me sia­mo riu­sci­te a sdram­ma­tiz­za­re il pro­ble­ma dell’aborto facen­do in modo che ogni don­na fos­se lei in pri­ma per­so­na a deci­de­re la scel­ta di una mater­ni­tà, a vive­re fino in fon­do quel che vuol dire deci­de­re del pro­prio cor­po. Ma il discor­so che le com­pa­gne han­no por­ta­to avan­ti non è solo quel­lo dell’aborto; è il con­trol­lo su tut­te le sfe­re del­la salu­te del­la don­na: entra­re nel­la sala par­to, vede­re con quan­ta vio­len­za sia psi­co­lo­gi­ca che mate­ria­le le don­ne ven­go­no trat­ta­te, tut­to ciò e mol­to anco­ra è per noi il ‘con­trol­lo’. Ed è pro­prio per­ché i nostri con­te­nu­ti anda­va­no in con­flit­to con la figu­ra del medi­co, del baro­ne, dell’amministrazione, che la poli­zia è inter­ve­nu­ta a sgom­be­ra­re il repar­to».

(Testi­mo­nian­za di una com­pa­gna del Poli­cli­ni­co che, con i col­let­ti­vi fem­mi­ni­sti, ha occu­pa­to il Repar­ti­no IVG)

Inter­vi­sta video a Gra­ziel­la Bastel­li, rea­liz­za­ta pres­so il Nuo­vo Cine­ma Palaz­zo, in occa­sio­ne del Festi­val di Sto­ria “Roma cit­tà ribel­le”. Gra­ziel­la ci rac­con­ta l’occupazione del Repar­ti­no e le lot­te fem­mi­ni­ste che ha vis­su­to in pri­ma per­so­na e che con­ti­nua ad ani­ma­re anche oggi con il movi­men­to Non una di meno. A lei van­no i nostri rin­gra­zia­men­ti per aver­ci inol­tra­to il mate­ria­le sto­rio­gra­fi­co da cui ha pre­so vita que­sto arti­co­lo.

Con­si­glia­mo la let­tu­ra di que­sto testo di Ales­san­dra Con­te, pub­bli­ca­to su “Napo­li Moni­tor” e lin­ka­to sul blog di Non una di meno.

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Redazione di Lotta Continua
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