Colpa dei soliti provocatori, infiltrati sei servizi e del Governo, la moderna strategia della tensione, era meglio non partecipare alla piazza pro Hamas, i palestinesi hanno ragione ma il terrorismo va combattuto, violenze inaccettabili ai danni delle forze dell’ordine, vanno vietate le manifestazioni future Pro Pa….
Questi alcuni commenti letti sui social e sui giornali all’indomani della manifestazione del 5 Ottobre a Roma con oltre 10 mila partecipanti e conclusasi con alcuni scontri tra parte dei manifestanti e le forze dell’ordine.
Ma sfugge all’opinione pubblico quanto accaduto nelle ore antecedenti al ritrovo in Piazza della Piramide: oltre 1600 fermati e identificati prima del concentramento, quasi 40 fogli di via a manifestanti fermati e, avendo precedenti penali per reati di piazza, subito espulsi da Roma con il daspo, autobus fermati per ore ai caselli autostradali e manifestanti caricati ai caselli appena hanno protestato contro i fermi preventivi.
Un antipasto di quanto avverrà con la approvazione definita al Senato del decreto 1660 e subito criticati da innumerevoli giuristi per i quali “le norme che intervengono in materia penale sono espressione di un ricorso al diritto penale in chiave simbolica di rafforzamento della sicurezza pubblica che, assunta ad oggetto diretto della tutela penale, implementa una linea di politica criminale che prosegue quella già tracciata dall’avvio della legislatura”.
Possiamo condividere o condannare l’operato dei manifestanti ma quello che dovremmo fare è non dividerci sulla gestione delle piazze, specie se siamo a casa seduti in divano, o sulle piattaforme di convocazione del corteo del 5 Ottobre (per altro vietato), quanto invece assumere un punto di vista articolato e critico sull’operato di Governo, Viminale e a cascata, forze dell’ordine e prendere posizione invece sul divieto che incomberà sulle prossime manifestazioni a favore del popolo palestinese.
Perché è indubbio che oggi manifestare contro le scelte di politiche estera e interna del Governo Meloni rappresenta una sorta di minaccia all’ordine costituito, una offesa alla sicurezza interna e internazionale. In questa ottica gli antisionisti diventano antisemiti, chi osteggia la guerra un pericoloso sovversivo, il diritto a manifestare previsto dalla Costituzione andrà quindi sacrificato in nome di interessi superiori.
Stiamo andando verso l’approvazione di un decreto che prevede pene pesantissime per alcuni reati commessi contro le forze dell’ordine (violenza, resistenza, lesioni personali). Perfino innumerevoli esperti di diritto e avvocati richiamano l’attenzione sull’utilizzo dello strumento penale in funzione repressiva in contesti complessi che distolgono l’attenzione rispetto ai fattori economici e sociali che proprio in quei contesti interagiscono.
Si inventano di sana pianta reati che vanno a colpire situazioni di marginalità rimuovendo la ragione economica e sociale delle occupazioni di immobili per inasprire invece la disciplina penale vigente, esistono già oggi norme per punire dei reati ma è evidente che all’occhio securitario del Governo le stesse non siano giudicate sufficienti.
È in discussione, anzi sotto minaccia, non solo il diritto a manifestare ma anche al dissenso la repressione si fa più severa perché i reati scaturiscono da ragioni di carattere sociale e politico. Sta qui il salto di qualità in chiave autoritaria del ddl 1660 che mira direttamente alle criminalizzazioni perfino di condotte caratterizzate da resistenza passiva come avverrà nei Cpr e negli Istituti di pena con il reato di rivolta contestabile in presenza del rifiuto di cibo o di usufruire dell’ora d’aria.
Quanto accade in questi giorni è solo un’anticipazione degli scenari futuri quando il Senato approverà il decreto-legge e di questo dovremmo occuparci, non dividerci sulla gestione delle piazze o avere la pretesa di elargire lezioni al movimento palestinese su quali posizioni assumere davanti al genocidio del loro popolo.
I penalisti hanno ribattezzato il decreto come una sorta di diritto penale d’autore, del resto un mero atto di violenza contro un membro delle forze dell’ordine verrà punito più severamente rispetto a quello commesso contro un qualsivoglia dipendente pubblico.
Criminalizzare il dissenso è parte integrante della logica securitaria e di una visione dello Stato autoritario che costruisce norme repressive contro i conflittuali elevandoli a nemici dell’ordine pubblico.
Ricordiamo che quanto avvenuto nelle carceri italiane ai tempi del covid, e non solo, un domani non sarà oggetto di attenzione da parte della magistratura prova ne sia l’offensiva dei parlamentari della destra contro il reato di tortura, il diniego a introdurre codici identificativi sul caschi delle forze dell’ordine fino alla richiesta di parlamentari che vorrebbero introdurre un encomio solenne al corpo di polizia penitenziaria in servizio presso l’istituto penitenziario di Santa Maria Capua Vetere dove sono avvenuti fatti di inaudita gravità e oggetto per altro di un inchiesta, e di un processo, dopo le indagini della Magistratura.
Si sta creando una sorta di Stato di eccezione nel quale l’operato delle forze dell’ordine sarà sempre meno oggetto di indagine dalla Magistratura. Se un dipendente pubblico sbaglia le procedure di una gara di appalto rischia sanzioni pesantissime anche dalla magistratura contabile, al contrario con il decreto si propone il riconoscimento di un beneficio economico per gli aderenti delle forze dell’ordine a fronte delle spese legali sostenute (10.000 euro per ciascuna fase del procedimento) nel caso di processi riguardanti fatti inerenti al servizio svolto
E per chiudere, lo ricordiamo ai salottieri sinistrorsi o ai comunisti da tastiera, le «Disposizioni in materia di sicurezza urbana» contro i reati di occupazione di immobili che andranno a colpire anche le organizzazioni sindacali e i movimenti solidali.
Di queste norme dobbiamo parlare ogni giorno, è in gioco la libertà e la democrazia nel nostro paese ma anche la nostra stessa agibilità sociale, sindacale e politica.
Ogni ulteriore considerazione sulla violenza dei manifestanti, le obiezioni sulle piattaforme di indizione dei cortei ci sembrano invece argomenti fuorvianti per deviare l’attenzione dal problema reale ossia dalla deriva securitaria e repressiva in corso nel nostro paese con il silenzio assenso anche delle opposizioni parlamentari che al momento della votazione alla Camera vedevano decine di parlamentari assenti.