Von Banditen erschossen (su Mattarella e le foibe) di Sergio Bologna

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I prigionieri montenegrini sono presi a calci da un soldato italiano riconoscibile dalla divisa mentre vengono portati sul luogo della fucilazione.

Il testo di Ser­gio Bolo­gna è sta­to scrit­to quat­tro anni fa, a nostro pare­re con­ser­va del tut­to la sua vali­di­tà

Come cit­ta­di­no, come sto­ri­co del nazi­smo e soprat­tut­to come trie­sti­no sono rima­sto scon­cer­ta­to, ama­reg­gia­to e disgu­sta­to dal­le dichia­ra­zio­ni del Pre­si­den­te Mat­ta­rel­la sul­la que­stio­ne del­le foi­be.

Ave­vo otto anni quan­do i par­ti­gia­ni di Tito, il 1 mag­gio del 1945, pro­prio sot­to casa mia fer­ma­ro­no la loro avan­za­ta per non espor­si al tiro del­la guar­ni­gio­ne tede­sca, asse­ra­glia­ta nel Castel­lo di San Giu­sto. Era­no sce­si dall’altipiano del Car­so in due colon­ne, una si era diret­ta all’edificio del Tri­bu­na­le dove i tede­schi ave­va­no instal­la­to il Coman­do e l’altra al Castel­lo di San Giu­sto, dove il vesco­vo San­tin svol­ge­va il ruo­lo di media­to­re tiran­do le trat­ta­ti­ve per le lun­ghe in modo da dare il tem­po ai neo­ze­lan­de­si, avan­guar­dia dell’esercito allea­to, di arri­va­re ed evi­ta­re in tal modo che la resa venis­se con­se­gna­ta nel­le sole mani dell’esercito di libe­ra­zio­ne yugo­sla­vo. Così la guar­ni­gio­ne tede­sca si arre­se il 2 mag­gio, pre­sen­ti anche gli anglo-ame­ri­ca­ni, giun­ti a mar­ce for­za­te dal­la lito­ra­nea. Ma sul Car­so, a vista d’occhio dal­la cit­tà, si com­bat­te­va anco­ra. La cosid­det­ta “bat­ta­glia di Opi­ci­na” è costa­ta mol­ti mor­ti, in gran mag­gio­ran­za tede­schi, e si sareb­be con­clu­sa solo il 3 mag­gio.

Secon­do cer­te rico­stru­zio­ni (Leo­ne Vero­ne­se, 1945. La bat­ta­glia di Opi­ci­na, Luglio Edi­to­re, 2015) i pri­mi a esse­re get­ta­ti nel­le cavi­tà car­si­che furo­no sol­da­ti dell’esercito tede­sco, fuci­la­ti dopo la resa. La ver­sio­ne secon­do cui gli infoi­ba­ti sareb­be­ro sta­ti in mag­gio­ran­za cit­ta­di­ni iner­mi che ave­va­no il solo tor­to di esse­re ita­lia­ni è fal­sa. La gran­de mag­gio­ran­za di quel­li che poi furo­no get­ta­ti nel­le foi­be era­no mem­bri dell’apparato repres­si­vo nazi­fa­sci­sta, in mez­zo ci saran­no sta­te anche per­so­ne che non ave­va­no com­mes­so par­ti­co­la­ri cru­del­tà ma c’erano anche quel­li che ave­va­no tor­tu­ra­to o scor­ta­to i tre­ni che por­ta­va­no ebrei e com­bat­ten­ti anti­fa­sci­sti nei cam­pi di ster­mi­nio. Così come non reg­ge la ver­sio­ne che vor­reb­be la cit­tà di Trie­ste sot­to­po­sta a una dit­ta­tu­ra san­gui­na­ria duran­te i 40 gior­ni dell’occupazione yugo­sla­va. Se non altro per la pre­sen­za del­le trup­pe anglo-ame­ri­ca­ne.

Peg­gio­ri del­le fal­se rico­stru­zio­ni sono le amne­sie. Infat­ti si dimen­ti­ca (o si igno­ra) che l’apparato repres­si­vo nazi­fa­sci­sta a Trie­ste non era di ordi­na­ria ammi­ni­stra­zio­ne, ave­va un suo carat­te­re di ecce­zio­na­li­tà per­ché ne face­va­no par­te per­so­nag­gi che han­no avu­to un ruo­lo cen­tra­le nel­la poli­ti­ca di ster­mi­nio di Hitler. Chri­stian Wirth era uno di que­sti. Si leg­ga il cur­ri­cu­lum ter­ri­fi­can­te di que­sto indi­vi­duo su Wiki­pe­dia: respon­sa­bi­le del pro­gram­ma di euta­na­sia, pre­le­va­va le vit­ti­me dal­le pri­gio­ni, dagli ospe­da­li psi­chia­tri­ci, tra gli zin­ga­ri. Coman­dan­te del lager di Bel­zec, rior­ga­niz­za­to­re di quel­lo di Tre­blin­ka, di Sobi­bor, fu il pri­mo a usa­re il monos­si­do di car­bo­nio per gasa­re i depor­ta­ti. Arri­va a Trie­ste nel 1943. Un anno dopo i par­ti­gia­ni lo indi­vi­dua­no e lo ucci­do­no (non è vero, come scri­ve Wiki­pe­dia, che fu ucci­so in com­bat­ti­men­to pres­so Fiu­me, il suo cer­ti­fi­ca­to di mor­te è appar­so in rete non più tar­di del 2017, dice: von Ban­di­ten erschos­sen, mor­to in un aggua­to orga­niz­za­to dai par­ti­gia­ni men­tre pas­sa­va su una mac­chi­na sco­per­ta, nei pres­si di Erpel­le (Hrpe­lje) a pochi chi­lo­me­tri da Trie­ste). Ma ce n’erano altri di per­so­nag­gi dal­la pasta cri­mi­na­le ana­lo­ga a Wirth, che si era­no fat­ti i gal­lo­ni nei peg­gio­ri Lager del Reich e veni­va­no a Trie­ste dove gen­te impor­tan­te li acco­glie­va a brac­cia aper­te e dove tro­va­va­no anche il modo di non per­de­re cer­te abi­tu­di­ni, visto che a por­ta­ta di mano ave­va­no la Risie­ra di San Sab­ba, un for­no cre­ma­to­rio che la mia cit­tà ha avu­to la ver­go­gna di ospi­ta­re. Pro­prio a Opi­ci­na la sal­ma di Wirth rice­vet­te gli ono­ri mili­ta­ri.

Trie­ste e zone cir­co­stan­ti, assur­te a pro­vin­cia del Reich, era­no diven­ta­te un ricet­ta­co­lo di cri­mi­na­li di guer­ra, l’angolo di un con­ti­nen­te dove la risac­ca del­la sto­ria ave­va depo­sto i suoi rifiu­ti più immon­di. I par­ti­gia­ni di Tito han­no libe­ra­to l’umanità da alcu­ni di que­sti indi­vi­dui, han­no spen­to quel for­no cre­ma­to­rio. Dovrem­mo esse­re loro gra­ti per que­sto, pen­san­do qua­le tri­bu­to di san­gue è sta­to da essi ver­sa­to per com­pie­re quel­la mis­sio­ne. Ora però ven­go­no ricor­da­ti come un’orda di bar­ba­ri asse­ta­ti di san­gue, non di san­gue nemi­co, no, di san­gue di pove­ra gen­te iner­me che non ave­va alza­to un dito con­tro di loro.

Ciò che accad­de in quel­le tra­gi­che gior­na­te di aprile/maggio 1945 impe­dì alla memo­ria sto­ri­ca di met­ter­si subi­to al lavo­ro. Quel­lo che sareb­be sta­to l’Istituto Regio­na­le per la Sto­ria del Movi­men­to di Libe­ra­zio­ne nel Friu­li Vene­zia Giu­lia si costi­tuì sen­za i comu­ni­sti. Enzo Col­lot­ti die­de un con­tri­bu­to fon­da­men­ta­le all’impostazione del­la ricer­ca e l’Istituto diven­ne uno dei luo­ghi dove comin­ciai a capi­re in che raz­za d’inferno ero cre­sciu­to. Il pri­mo perio­do d’attività fu dedi­ca­to a “met­te­re in sicu­rez­za”, come si dice in ter­mi­ne azien­da­le, la sto­ria dei movi­men­ti di libe­ra­zio­ne nel­la regio­ne, sto­ria tor­men­ta­ta e per­ciò fon­te di dram­ma­ti­che divi­sio­ni (un esem­pio per tut­ti l’eccidio di Por­zus, ripre­so anche nell’ampia pub­bli­ca­zio­ne, Atlan­te sto­ri­co del­la lot­ta di libe­ra­zio­ne nel Friu­li Vene­zia Giu­lia. Una resi­sten­za di con­fi­ne 1943–1945, 2005). Tra tut­ti gli Isti­tu­ti del­la Resi­sten­za ita­lia­ni quel­lo di Trie­ste fu l’unico dove la pre­sen­za comu­ni­sta o fu assen­te o svol­se un ruo­lo deci­sa­men­te secon­da­rio. Del resto il comu­ni­smo è fini­to ormai da 30 anni e i suoi segua­ci di allo­ra sono in gene­re i più acca­ni­ti nell’infierire sul suo cada­ve­re, ma a leg­ge­re cer­te vaneg­gian­ti usci­te di quo­ti­dia­ni come “Il Gior­na­le” o “Libe­ro Quo­ti­dia­no” nel Gior­no del­la Memo­ria  sem­bra che orde di “tri­na­ri­ciu­ti” rie­sca­no anco­ra a det­ta­re leg­ge in Ita­lia.

Negli Anni ’90 la dis­so­lu­zio­ne dell’ex Yugo­sla­via ha inve­sti­to in pie­no il sen­so d’identità nazio­na­le di croa­ti, slo­ve­ni, ser­bi, mace­do­ni; i nazio­na­li­smi han­no fat­to a pez­zi l’esperienza socia­li­sta, la guer­ra di libe­ra­zio­ne non è sta­ta più l’epopea fon­da­ti­va del­lo Sta­to fede­ra­le, l’immagine di Tito è sta­ta strap­pa­ta dal pie­de­stal­lo e se si vole­va tro­va­re gen­te che get­ta­va fan­go sul­la sua figu­ra e sul suo ruo­lo la si tro­va­va soprat­tut­to tra i suoi com­pa­trio­ti. L’orrore di quel­la guer­ra degli anni Novan­ta, che così bene Pao­lo Rumiz ha deco­di­fi­ca­to nei suoi mec­ca­ni­smi oscu­ri, ha can­cel­la­to ogni trac­cia di orgo­glio per l’eroica ribel­lio­ne alla dit­ta­tu­ra nazi­fa­sci­sta. Le fal­si­tà, le defor­ma­zio­ni, le misti­fi­ca­zio­ni che oggi dila­ga­no avreb­be­ro potu­to diven­ta­re com­mu­nis opi­nio in quel con­te­sto, inve­ce gli sto­ri­ci trie­sti­ni lega­ti all’Istituto col­se­ro l’occasione dell’apertura di cer­ti archi­vi per inten­si­fi­ca­re la ricer­ca del­la veri­tà.

Per­ché que­sto va det­to con for­za: le ispe­zio­ni nel­le cavi­tà car­si­che, le esu­ma­zio­ni, le ricer­che per dare un nome ai mor­ti, il recu­pe­ro e l’attento esa­me dei regi­stri, di qua­lun­que docu­men­to in gra­do di fare luce sul­le cir­co­stan­ze, sul­le vit­ti­me e sui car­ne­fi­ci, tut­to que­sto lavo­ro ingra­to e dif­fi­ci­le fu ope­ra di sto­ri­ci che si rico­no­sce­va­no pie­na­men­te nei valo­ri del­la Resi­sten­za posti alla base del­la nostra Costi­tu­zio­ne, come Rober­to Spaz­za­li, Raoul Pupo e mol­ti altri. Sono loro che han­no dimo­stra­to rispet­to per gli infoi­ba­ti, che han­no con­te­stua­liz­za­to que­gli avve­ni­men­ti, men­tre alla canea revan­sci­sta e neo­fa­sci­sta il desti­no di quei mor­ti non inte­res­sa­va per nul­la, era solo pre­te­sto, stru­men­to, per aggre­di­re gli avver­sa­ri poli­ti­ci di tur­no e oggi per fare pura e sem­pli­ce apo­lo­gia del fasci­smo. Come mai nel Gior­no del­la Memo­ria un Pre­si­den­te del­la Repub­bli­ca inve­ce di rivol­ger­si ai pri­mi per impo­sta­re un discor­so con un mini­mo di rigo­re sto­ri­co si rivol­ge ai secon­di?

Dal sito Vole­re­la­lu­na

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