Recentemente diversi eventi pubblici e articoli apparsi su «La Stampa» hanno voluto tratteggiare un’immagine di Bianca rivisitata secondo punti di vista tendenti a limitarne la complessità politica e personale e circoscriverla entro confini molto istituzionali. Ne risultava insomma un’immagine “ammorbidita” delle sue idee per farle rientrare in una convenzionalità gradita alla comunità intellettuale. Sento a questo punto e a dieci anni dalla sua morte di dover intervenire per rappezzare la sua memoria e difenderla dalle strumentalizzazioni.
In un’occasione ho tentato di rispondere a uno degli articoli pubblicati da La Stampa ma, non inaspettatamente, “non sono riusciti” a pubblicare la mia lettera. Curioso come il tempo lavori anche sulle migliori teste di ex esponenti di una sinistra, extraparlamentare e non, che un tempo non avrebbero avuto ospitalità sul giornale cittadino mentre oggi ne sono abituali ospiti firmati. Certo Bianca non ha goduto di attenzione, sia da viva che da morta, da parte del giornale della ex Fiat e vorrà pur dire qualcosa. Ma a lei andava bene così. Le bastava essere stimata e amata dal campo opposto, essere fermata per strada da sconosciuti che la ringraziavano per averli assistiti in tribunale, per averli fatti ri-assumere dopo un licenziamento, per avere ricordato un loro famigliare partigiano. Il processo contro la Fiat per le schedature dei lavoratori e per la corruzione di alti gradi della questura, dei carabinieri e dei servizi evidentemente non è stato ancora dimenticato in via Lugaro.
Per venire alla stretta attualità, già le celebrazioni del Centenario della sua nascita, condotte più nell’interesse politico personale di pochi, anzi di una, e da un Comitato che, malgrado le dimissioni della famiglia per dissenso sui metodi e la conduzione delle celebrazioni in modo non consono alla sua identità, ha sempre avallato qualsiasi iniziativa in modo sbrigativo e acritico, esprimendone nell’insieme un’immagine limitata e imprecisa. Quella di una donna i cui convincimenti risultavano appiattiti sul banale concetto di “democrazia” a tutto campo, in cui gli scontri sociali del secondo dopoguerra e la parte che Bianca ha in essi avuto da avvocato, il suo pensiero politico veniva appena accennato. Allo stesso tempo venivano invece oltremodo valorizzati i brevi momenti istituzionali da Bianca partecipati, non sempre con entusiasmo né con particolari illusioni, comunque sempre da indipendente.
Due articoli più recentemente hanno raccontato Bianca secondo i criteri adottati dalla comunità intellettuale e dall’establishment cittadino.
L’ultimo, quello di Pietro Polito, parte maluccio definendola già dal titolo “mite ribelle”. Chi l’ha veramente conosciuta, sa bene che di “mite” aveva poco, sia in tribunale che nell’impegno sociale. Era della scuola di Ada Gobetti: idee chiare, solidi principi, intransigenza morale, carisma ma memorabili ire funeste quando si indignava. Ne sanno qualcosa illustri presidenti di tribunale, testimoni reticenti, agenti e carabinieri propensi ai soprusi. Dalla vita di impegno di Bianca Polito trae un “insegnamento fondamentale”: ”la libertà di scegliere e di immaginare altri mondi possibili”, un non detto che diventa banalità assoluta. Come lo è l’affermazione prudente che Bianca intendeva la democrazia come “partecipazione dal basso”. Per non dire, orrore! cosa sottintende quel “dal basso”…
Polito esprime le sue ansie elettorali chiedendosi retoricamente:” Cosa penserebbe di una democrazia in cui la metà degli aventi diritto non partecipa alle elezioni per il parlamento europeo?”. Non lo so, ovviamente, ma so che all’ultimo evento elettorale che le si presentò ci fu un fitto pressing telefonico da parte di noti esponenti del Pd cittadino a cui lei rispose “No grazie, questa volta non me la sento”. Sapeva valutare il contesto e le nuove realtà. Sapeva della Val Susa e del ruolo del Pd nel reprimere le proteste.
Certo per Bianca la “democrazia” era preziosa perché faticosamente conquistata con la guerra partigiana, perché ha generato una Costituzione che garantisce i diritti fondamentali per i singoli e per le minoranze. Questo le piaceva, i diritti, e vi si dedicava, rispettava le leggi dello Stato e le istituzioni ma era ben consapevole di quanto era stato tolto alla democrazia sperata con la mancata epurazione dei fascisti e il loro riciclo nell’Italia della restaurazione anti-operaia. Quella situazione la mantenne nel Pci fino al 1956 e bene scrive Marco Scavino in un editoriale del Centro Studi P. Gobetti del 24 giugno 2020: “la scelta di non aderire più a formazioni organizzate rifletteva un marcato scetticismo nei confronti dei tradizionali canoni politici…peraltro la sua attività continuò comunque a svolgersi in una fitta trama di relazioni con partiti, sindacati, movimenti e associazioni della sinistra, condividendone la prospettiva di una trasformazione radicale in senso socialista dei rapporti economici, sociali e istituzionali dominanti”.
Paolo Borgna invece nel suo articolo su «La Stampa» del 16-12-2023 dal titolo “Da antifascista difendo anche i diritti del Fuan” (oh già!), riferendosi alla protesta degli studenti universitari contro la presenza dei neofascisti di qualche giorno prima, contiene un’affermazione riguardante Bianca che richiede chiarimento. Borgna infatti scrive di un presunto “rimprovero” di Bianca all’antifascismo militante della generazione dei Settanta come un mito “falsamente conservato”, due parole a suo dire, estrapolate dalla sua autobiografia (che in realtà è una biografia). E’ un “rimprovero” che da lei non ho mai sentito formulare e non possono comunque essere due parole totalmente fuori contesto a distorcere il pensiero e l’atteggiamento personale di Bianca in tema di antifascismo. E forse Borgna non sa o non ricorda che insieme a Guido Quazza, Giangiulio Ambrosini, Norberto Bobbio, Gastone Cottino, Detto Dalmastro, Alessandro Galante Garrone, Carlo Mussa Ivaldi, Primo Levi, Leonardo Mosso, Giuseppe Reburdo e Nuto Revelli, lanciò l’appello per il “Msi fuorilegge” nell’anno della strage di Brescia, dell’Italicus e del tentato golpe di Edgardo Sogno e della sua cricca sabauda. Un appello che consolidava una pratica già in essere nelle piazze e ne ampliava la legittimità a tutti gli antifascisti.
Bianca non era certamente “favorevole” alla violenza in generale perché ne aveva vista abbastanza durante la guerra partigiana ma era perfettamente consapevole del ruolo che i fascisti, parlamentari e extra, avevano nel più ampio scontro sociale del decennio 1967–1977. Le stragi, gli omicidi nelle piazze, gli attacchi ai picchetti operai e alle scuole sono fatti storici innegabili che molti hanno deciso di dimenticare. Ed era pienamente consapevole della dolorosa ineluttabilità della violenza in una fase storica che vedeva un durissimo scontro tra le classi. Non per altro ha per tutta la carriera difeso in tribunale gli arrestati ai picchetti operai, e i protagonisti di quella stagione di lotte sociali, e da quelli è ancora amata e ricordata. Si rendeva conto che quel conflitto sociale comportava anche la necessità di adottare forme di autodifesa (anche il Pci aveva il suo Servizio d’Ordine) da parte di chi il fascismo lo contrastava in nome della Costituzione, e probabilmente ricordava le parole di Sandro Pertini a Genova quel 30 giugno 1960: “Io nego la validità dell’obiezione secondo cui il neofascismo avrebbe diritto di svolgere il suo congresso. Infatti ogni atto, ogni manifestazione, ogni iniziativa di quel movimento è una chiara esaltazione del fascismo e poiché il fascismo è considerato reato dalla Costituzione, l’attività dei missini si traduce in una continua e perseguibile apologia di reato”. Probabilmente se ne ricordava perché in quei giorni lei stessa, dopo avermi affidato alla zia, scendeva in piazza Solferino insieme a sua mamma quasi settantenne per partecipare alla stessa protesta di Genova e del resto d’Italia (e prendersi cariche e lacrimogeni). Altri tempi? Facile argomentazione. Il fascismo è sempre lo stesso, diceva, e se avanza è colpa di chi lo favorisce, non di chi lo contrasta. Una lezione in una frase.
Solida sui diritti fondamentali e dei più deboli, sapeva distinguere secondo i suoi criteri ciò che le piaceva o no anche sui temi più recenti. Per esempio, rispetto alla questione femminile riteneva poco opportuno lo scontro di genere e sosteneva che “l’emancipazione femminile dovesse andare di pari passo con l’emancipazione della classe operaia”. Perché era anche solidamente marxista. E quindi sempre le condizioni economiche e “le condizioni generali che creano le dipendenze” dovevano essere il punto di partenza della critica alla condizione femminile.
Ecco, questo ed altro era Bianca prima che la malattia le offuscasse la mente e riuscisse solo più a parlare di “democrazia” e di “amicizia”. E prima che qualcuno si permettesse di trasformarla in banale icona del conformismo dominante.
(Fabrizio Salmoni 4–7‑2024)