Bianca revisited

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Bianca Guidetti Serra, Norberto Bobbio e Pietro Valpreda, Torino 1972 Palazzo Nuovo [Dario Lanzardo]

Recen­te­men­te diver­si even­ti pub­bli­ci e arti­co­li appar­si su «La Stam­pa» han­no volu­to trat­teg­gia­re un’immagine di Bian­ca rivi­si­ta­ta secon­do pun­ti di vista ten­den­ti a limi­tar­ne la com­ples­si­tà poli­ti­ca e per­so­na­le e cir­co­scri­ver­la entro con­fi­ni mol­to isti­tu­zio­na­li. Ne risul­ta­va insom­ma un’immagine “ammor­bi­di­ta” del­le sue idee per far­le rien­tra­re in una con­ven­zio­na­li­tà gra­di­ta alla comu­ni­tà intel­let­tua­le. Sen­to a que­sto pun­to e a die­ci anni dal­la sua mor­te di dover inter­ve­ni­re per rap­pez­za­re la sua memo­ria e difen­der­la dal­le stru­men­ta­liz­za­zio­ni.

In un’occasione ho ten­ta­to di rispon­de­re a uno degli arti­co­li pub­bli­ca­ti da La Stam­pa ma, non ina­spet­ta­ta­men­te, “non sono riu­sci­ti” a pub­bli­ca­re la mia let­te­ra. Curio­so come il tem­po lavo­ri anche sul­le miglio­ri teste di ex espo­nen­ti di una sini­stra, extra­par­la­men­ta­re e non, che un tem­po non avreb­be­ro avu­to ospi­ta­li­tà sul gior­na­le cit­ta­di­no men­tre oggi ne sono abi­tua­li ospi­ti fir­ma­ti. Cer­to Bian­ca non ha godu­to di atten­zio­ne, sia da viva che da mor­ta, da par­te del gior­na­le del­la ex Fiat e vor­rà pur dire qual­co­sa. Ma a lei anda­va bene così. Le basta­va esse­re sti­ma­ta e ama­ta dal cam­po oppo­sto, esse­re fer­ma­ta per stra­da da sco­no­sciu­ti che la rin­gra­zia­va­no per aver­li assi­sti­ti in tri­bu­na­le, per aver­li fat­ti ri-assu­me­re dopo un licen­zia­men­to, per ave­re ricor­da­to un loro fami­glia­re par­ti­gia­no. Il pro­ces­so con­tro la Fiat per le sche­da­tu­re dei lavo­ra­to­ri e per la cor­ru­zio­ne di alti gra­di del­la que­stu­ra, dei cara­bi­nie­ri e dei ser­vi­zi evi­den­te­men­te non è sta­to anco­ra dimen­ti­ca­to in via Luga­ro.

Per veni­re alla stret­ta attua­li­tà, già le cele­bra­zio­ni del Cen­te­na­rio del­la sua nasci­ta, con­dot­te più nell’interesse poli­ti­co per­so­na­le di pochi, anzi di una, e da un Comi­ta­to che, mal­gra­do le dimis­sio­ni del­la fami­glia per dis­sen­so sui meto­di e la con­du­zio­ne del­le cele­bra­zio­ni in modo non con­so­no alla sua iden­ti­tà, ha sem­pre aval­la­to qual­sia­si ini­zia­ti­va in modo sbri­ga­ti­vo e acri­ti­co, espri­men­do­ne nell’insieme un’immagine limi­ta­ta e impre­ci­sa. Quel­la di una don­na i cui con­vin­ci­men­ti risul­ta­va­no appiat­ti­ti sul bana­le con­cet­to di “demo­cra­zia” a tut­to cam­po, in cui gli scon­tri socia­li del secon­do dopo­guer­ra e la par­te che Bian­ca ha in essi avu­to da avvo­ca­to, il suo pen­sie­ro poli­ti­co veni­va appe­na accen­na­to. Allo stes­so tem­po veni­va­no inve­ce oltre­mo­do valo­riz­za­ti i bre­vi momen­ti isti­tu­zio­na­li da Bian­ca par­te­ci­pa­ti, non sem­pre con entu­sia­smo né con par­ti­co­la­ri illu­sio­ni, comun­que sem­pre da indi­pen­den­te.

Due arti­co­li più recen­te­men­te han­no rac­con­ta­to Bian­ca secon­do i cri­te­ri adot­ta­ti dal­la comu­ni­tà intel­let­tua­le e dall’establishment cit­ta­di­no.

L’ultimo, quel­lo di Pie­tro Poli­to, par­te maluc­cio defi­nen­do­la già dal tito­lo “mite ribel­le”. Chi l’ha vera­men­te cono­sciu­ta, sa bene che di “mite” ave­va poco, sia in tri­bu­na­le che nell’impegno socia­le. Era del­la scuo­la di Ada Gobet­ti: idee chia­re, soli­di prin­ci­pi, intran­si­gen­za mora­le, cari­sma ma memo­ra­bi­li ire fune­ste quan­do si indi­gna­va. Ne san­no qual­co­sa illu­stri pre­si­den­ti di tri­bu­na­le, testi­mo­ni reti­cen­ti, agen­ti e cara­bi­nie­ri pro­pen­si ai sopru­si. Dal­la vita di impe­gno di Bian­ca Poli­to trae un “inse­gna­men­to fon­da­men­ta­le”: ”la liber­tà di sce­glie­re e di imma­gi­na­re altri mon­di pos­si­bi­li”, un non det­to che diven­ta bana­li­tà asso­lu­ta. Come lo è l’affermazione pru­den­te che Bian­ca inten­de­va la demo­cra­zia come “par­te­ci­pa­zio­ne dal bas­so”. Per non dire, orro­re! cosa sot­tin­ten­de quel “dal bas­so”…

Poli­to espri­me le sue ansie elet­to­ra­li chie­den­do­si reto­ri­ca­men­te:” Cosa pen­se­reb­be di una demo­cra­zia in cui la metà degli aven­ti dirit­to non par­te­ci­pa alle ele­zio­ni per il par­la­men­to euro­peo?”. Non lo so, ovvia­men­te, ma so che all’ultimo even­to elet­to­ra­le che le si pre­sen­tò ci fu un fit­to pres­sing tele­fo­ni­co da par­te di noti espo­nen­ti del Pd cit­ta­di­no a cui lei rispo­se “No gra­zie, que­sta vol­ta non me la sen­to”. Sape­va valu­ta­re il con­te­sto e le nuo­ve real­tà. Sape­va del­la Val Susa e del ruo­lo del Pd nel repri­me­re le pro­te­ste.

Cer­to per Bian­ca la “demo­cra­zia” era pre­zio­sa per­ché fati­co­sa­men­te con­qui­sta­ta con la guer­ra par­ti­gia­na, per­ché ha gene­ra­to una Costi­tu­zio­ne che garan­ti­sce i dirit­ti fon­da­men­ta­li per i sin­go­li e per le mino­ran­ze. Que­sto le pia­ce­va, i dirit­ti, e vi si dedi­ca­va, rispet­ta­va le leg­gi del­lo Sta­to e le isti­tu­zio­ni ma era ben con­sa­pe­vo­le di quan­to era sta­to tol­to alla demo­cra­zia spe­ra­ta con la man­ca­ta epu­ra­zio­ne dei fasci­sti e il loro rici­clo nell’Italia del­la restau­ra­zio­ne anti-ope­ra­ia. Quel­la situa­zio­ne la man­ten­ne nel Pci fino al 1956 e bene scri­ve Mar­co Sca­vi­no in un edi­to­ria­le del Cen­tro Stu­di P. Gobet­ti del 24 giu­gno 2020: “la scel­ta di non ade­ri­re più a for­ma­zio­ni orga­niz­za­te riflet­te­va un mar­ca­to scet­ti­ci­smo nei con­fron­ti dei tra­di­zio­na­li cano­ni politici…peraltro la sua atti­vi­tà con­ti­nuò comun­que a svol­ger­si in una fit­ta tra­ma di rela­zio­ni con par­ti­ti, sin­da­ca­ti, movi­men­ti e asso­cia­zio­ni del­la sini­stra, con­di­vi­den­do­ne la pro­spet­ti­va di una tra­sfor­ma­zio­ne radi­ca­le in sen­so socia­li­sta dei rap­por­ti eco­no­mi­ci, socia­li e isti­tu­zio­na­li domi­nan­ti”.

Pao­lo Bor­gna inve­ce nel suo arti­co­lo su «La Stam­pa» del 16-12-2023 dal tito­lo “Da anti­fa­sci­sta difen­do anche i dirit­ti del Fuan” (oh già!), rife­ren­do­si alla pro­te­sta degli stu­den­ti uni­ver­si­ta­ri con­tro la pre­sen­za dei neo­fa­sci­sti di qual­che gior­no pri­ma, con­tie­ne un’affermazione riguar­dan­te Bian­ca che richie­de chia­ri­men­to. Bor­gna infat­ti scri­ve di un pre­sun­to “rim­pro­ve­ro” di Bian­ca all’antifascismo mili­tan­te del­la gene­ra­zio­ne dei Set­tan­ta come un mito “fal­sa­men­te con­ser­va­to”, due paro­le a suo dire, estra­po­la­te dal­la sua auto­bio­gra­fia (che in real­tà è una bio­gra­fia). E’ un “rim­pro­ve­ro” che da lei non ho mai sen­ti­to for­mu­la­re e non pos­so­no comun­que esse­re due paro­le total­men­te fuo­ri con­te­sto a distor­ce­re il pen­sie­ro e l’atteggiamento per­so­na­le di Bian­ca in tema di anti­fa­sci­smo. E for­se Bor­gna non sa o non ricor­da che insie­me a Gui­do Quaz­za, Gian­giu­lio Ambro­si­ni, Nor­ber­to Bob­bio, Gasto­ne Cot­ti­no, Det­to Dal­ma­stro, Ales­san­dro Galan­te Gar­ro­ne, Car­lo Mus­sa Ival­di, Pri­mo Levi, Leo­nar­do Mos­so, Giu­sep­pe Rebur­do e Nuto Revel­li, lan­ciò l’appello per il “Msi fuo­ri­leg­ge” nell’anno del­la stra­ge di Bre­scia, dell’Italicus e del ten­ta­to gol­pe di Edgar­do Sogno e del­la sua cric­ca sabau­da. Un appel­lo che con­so­li­da­va una pra­ti­ca già in esse­re nel­le piaz­ze e ne amplia­va la legit­ti­mi­tà a tut­ti gli anti­fa­sci­sti.

Bian­ca non era cer­ta­men­te “favo­re­vo­le” alla vio­len­za in gene­ra­le per­ché ne ave­va vista abba­stan­za duran­te la guer­ra par­ti­gia­na ma era per­fet­ta­men­te con­sa­pe­vo­le del ruo­lo che i fasci­sti, par­la­men­ta­ri e extra, ave­va­no nel più ampio scon­tro socia­le del decen­nio 1967–1977. Le stra­gi, gli omi­ci­di nel­le piaz­ze, gli attac­chi ai pic­chet­ti ope­rai e alle scuo­le sono fat­ti sto­ri­ci inne­ga­bi­li che mol­ti han­no deci­so di dimen­ti­ca­re. Ed era pie­na­men­te con­sa­pe­vo­le del­la dolo­ro­sa ine­lut­ta­bi­li­tà del­la vio­len­za in una fase sto­ri­ca che vede­va un duris­si­mo scon­tro tra le clas­si. Non per altro ha per tut­ta la car­rie­ra dife­so in tri­bu­na­le gli arre­sta­ti ai pic­chet­ti ope­rai, e i pro­ta­go­ni­sti di quel­la sta­gio­ne di lot­te socia­li, e da quel­li è anco­ra ama­ta e ricor­da­ta. Si ren­de­va con­to che quel con­flit­to socia­le com­por­ta­va anche la neces­si­tà di adot­ta­re for­me di auto­di­fe­sa (anche il Pci ave­va il suo Ser­vi­zio d’Ordine) da par­te di chi il fasci­smo lo con­tra­sta­va in nome del­la Costi­tu­zio­ne, e pro­ba­bil­men­te ricor­da­va le paro­le di San­dro Per­ti­ni a Geno­va quel 30 giu­gno 1960: “Io nego la vali­di­tà dell’obiezione secon­do cui il neo­fa­sci­smo avreb­be dirit­to di svol­ge­re il suo con­gres­so. Infat­ti ogni atto, ogni mani­fe­sta­zio­ne, ogni ini­zia­ti­va di quel movi­men­to è una chia­ra esal­ta­zio­ne del fasci­smo e poi­ché il fasci­smo è con­si­de­ra­to rea­to dal­la Costi­tu­zio­ne, l’attività dei mis­si­ni si tra­du­ce in una con­ti­nua e per­se­gui­bi­le apo­lo­gia di rea­to”. Pro­ba­bil­men­te se ne ricor­da­va per­ché in quei gior­ni lei stes­sa, dopo aver­mi affi­da­to alla zia, scen­de­va in piaz­za Sol­fe­ri­no insie­me a sua mam­ma qua­si set­tan­ten­ne per par­te­ci­pa­re alla stes­sa pro­te­sta di Geno­va e del resto d’Italia (e pren­der­si cari­che e lacri­mo­ge­ni). Altri tem­pi? Faci­le argo­men­ta­zio­ne. Il fasci­smo è sem­pre lo stes­so, dice­va, e se avan­za è col­pa di chi lo favo­ri­sce, non di chi lo con­tra­sta. Una lezio­ne in una fra­se.

Soli­da sui dirit­ti fon­da­men­ta­li e dei più debo­li, sape­va distin­gue­re secon­do i suoi cri­te­ri ciò che le pia­ce­va o no anche sui temi più recen­ti. Per esem­pio, rispet­to alla que­stio­ne fem­mi­ni­le rite­ne­va poco oppor­tu­no lo scon­tro di gene­re e soste­ne­va che “l’emancipazione fem­mi­ni­le doves­se anda­re di pari pas­so con l’emancipazione del­la clas­se ope­ra­ia”. Per­ché era anche soli­da­men­te mar­xi­sta. E quin­di sem­pre le con­di­zio­ni eco­no­mi­che e “le con­di­zio­ni gene­ra­li che crea­no le dipen­den­ze” dove­va­no esse­re il pun­to di par­ten­za del­la cri­ti­ca alla con­di­zio­ne fem­mi­ni­le.

Ecco, que­sto ed altro era Bian­ca pri­ma che la malat­tia le offu­scas­se la men­te e riu­scis­se solo più a par­la­re di “demo­cra­zia” e di “ami­ci­zia”. E pri­ma che qual­cu­no si per­met­tes­se di tra­sfor­mar­la in bana­le ico­na del con­for­mi­smo domi­nan­te.

(Fabri­zio Sal­mo­ni 4–7‑2024)

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