Fabrizio R. Amati, Antitotalitario, Carlo Andreoni: il caso storiografico del comandante partigiano socialista (1901–1957)

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Mila­no — Udi­ne, Mime­sis, 2024, pp. 780, € 42.00

«Pri­ma che i comu­ni­sti pos­sa­no con­su­ma­re per inte­ro il loro tra­di­men­to, pri­ma che arma­te stra­nie­re pos­sa­no giun­ge­re sul nostro suo­lo per con­fe­ri­re ad essi il mise­ra­bi­le pote­re “qui­sling” al qua­le aspi­ra­no, il Gover­no del­la Repub­bli­ca e la mag­gio­ran­za degli ita­lia­ni avran­no il corag­gio, l’energia, la deci­sio­ne suf­fi­cien­ti per inchio­da­re al muro del loro tra­di­men­to Togliat­ti e i suoi com­pli­ci. E per inchio­dar­ve­li non meta­fo­ri­ca­men­te».

La pole­mi­ca era diret­ta all’intervento di Togliat­ti alla Came­ra dell’8 luglio 1948 con­tro la rati­fi­ca dell’Accordo di coo­pe­ra­zio­ne eco­no­mi­ca Usa – Ita­lia. La fac­cen­da avreb­be potu­to risol­ver­si in que­re­le o con una scher­ma­glia attra­ver­so gli orga­ni di stam­pa, inve­ce le paro­le di cui sopra sono in un edi­to­ria­le del quo­ti­dia­no dell’allora Par­ti­to socia­li­sta dei lavo­ra­to­ri ita­lia­ni, poi Socia­li­sta demo­cra­ti­co ita­lia­no, “L’Umanità”, usci­to il 13 luglio 1948. Alle 11.30 del mat­ti­no suc­ces­si­vo, in via del­la Mis­sio­ne, il man­ca­to omi­ci­dio di Togliat­ti, ad ope­ra di Anto­nio Pal­lan­te, gio­va­ne anti­co­mu­ni­sta, allo­ra fre­quen­tan­te gli ambien­ti qua­lun­qui­sti. Il Pae­se spro­fon­da nel caos del­le pro­te­ste, anche nel­la con­vin­zio­ne che l’attentato fos­se par­te di un dise­gno di restau­ra­zio­ne rea­zio­na­ria in atto, con le car­ce­ri che, a segui­to di una vio­len­ta repres­sio­ne dei moti, tor­na­no effet­ti­va­men­te a riem­pir­si di mili­tan­ti social­co­mu­ni­sti, come nel Ven­ten­nio.

A scri­ve­re l’editoriale del gior­no pri­ma, da poco alla Dire­zio­ne de “L’Umanità” dopo un lun­go, inquie­to e acci­den­ta­to per­cor­so, è Car­lo Andreo­ni. E tan­to basta. Aldi­là del­la com­pren­si­bi­le indi­gna­zio­ne sul momen­to per quel­la sor­ta di ana­te­ma che vole­va esse­re fuor di meta­fo­ra, su una per­so­na­li­tà cer­to com­ples­sa sì ma impor­tan­te e signi­fi­ca­ti­va come quel­la di Andreo­ni, cala irre­vo­ca­bil­men­te la dam­na­tio memo­riae. Anche in sede sto­rio­gra­fi­ca, nel cor­so dei decen­ni e indi­pen­den­te­men­te dall’orientamento degli auto­ri, si sono rei­te­ra­te le stes­se defi­ni­zio­ni: “vol­ta­gab­ba­na”, “ex anar­chi­co fini­to nel­la social­de­mo­cra­zia su posi­zio­ni anti­co­mu­ni­ste” etc., non facen­do ricer­ca sto­ri­ca ma ripe­ten­do for­mu­le.

Insom­ma, sono dovu­ti pas­sa­re ben 67 anni dal­la mor­te di Andreo­ni per aver­ne di fat­to la pri­ma bio­gra­fia, con ogni pro­ba­bi­li­tà tra le più inte­res­san­ti pub­bli­ca­zio­ni di Sto­ria con­tem­po­ra­nea usci­te di recen­te. L’Autore è Fabri­zio Roma­no Ama­ti, lau­rea­to in Scien­ze poli­ti­che alla Sapien­za di Roma, con all’attivo la mono­gra­fia Il Movi­men­to di uni­tà pro­le­ta­ria, 1943 – 1945 (2005), men­tre l’argomento del volu­me in ogget­to è sta­to intro­dot­to con un con­tri­bu­to di due anni fa sul­la “Rivi­sta sto­ri­ca del socia­li­smo”, Car­lo Andreo­ni e il Par­ti­to socia­li­sta dei lavo­ra­to­ri ita­lia­ni, sin qui, emble­ma­ti­ca­men­te, l’unica vera e pro­pria risor­sa biblio­gra­fi­ca espli­ci­ta­men­te sul­la figu­ra.

Con que­sto libro sia­mo così pas­sa­ti da nien­te a tut­to e oltre: ben 760 pagi­ne di testo, con un appa­ra­to cri­ti­co di anno­ta­zio­ne che ne potreb­be riem­pi­re un altro d’uguale spes­so­re. Infi­ni­te le risor­se con­sul­ta­te: archi­vi pub­bli­ci, di fon­da­zio­ni, isti­tu­ti cul­tu­ra­li e di pri­va­ti, fon­ti biblio­gra­fi­che e a stam­pa, dell’epoca e suc­ces­si­va, e testi­mo­nian­ze indi­vi­dua­li. Tut­to per la gran par­te, va da sé, ine­di­to.

Chi era, dun­que, que­sta per­so­na­li­tà oblia­ta? Car­lo Andreo­ni vie­ne al mon­do nel 1901, a Gia­ve­no (Tori­no), da una fami­glia facol­to­sa: il padre, Lui­gi, è un inge­gne­re, di osser­van­za mas­so­ni­ca, che la fami­glia segue negli spo­sta­men­ti per ragio­ni lavo­ra­ti­ve. Car­lo assor­be il repub­bli­ca­ne­si­mo degli ambien­ti fami­lia­ri e, quin­di, sim­pa­tiz­za per l’interventismo al cospet­to del­la Gran­de guer­ra. Per fisio­no­mia poli­ti­ca e cul­tu­ra­le, e per indo­le, Andreo­ni, che in quel perio­do si tro­va­va in Cala­bria, e che già si face­va nota­re per com­por­ta­men­ti tur­bo­len­ti, potreb­be tran­quil­la­men­te esse­re nel nove­ro di quei gio­va­ni par­ti­ti volon­ta­ri in Ser­bia e Fran­cia pri­ma dell’entrata in guer­ra dell’Italia, i cosid­det­ti pre­cur­so­ri, cosa che a lui non rie­sce. È in linea con il socia­li­smo inter­ven­ti­sta e, cir­co­stan­za non con­sue­ta per la gio­ven­tù del­la sua estra­zio­ne, con la Scis­sio­ne di Livor­no ade­ri­sce al Par­ti­to comu­ni­sta d’Italia, dive­nen­do­ne subi­to atti­vi­sta. Ora si tro­va a Roma, stu­den­te in Medi­ci­na, nel tur­bi­ne del­la guer­ra di movi­men­to sca­te­na­ta dai fasci­sti, quan­do entra nell’apparato ille­ga­le capi­to­li­no del Par­ti­to, tal­vol­ta det­to del­le Guar­die ros­se, al fian­co di figu­re pro­ve­nien­ti dagli Ardi­ti del popo­lo, a segui­to del­la loro mes­sa fuo­ri­leg­ge. Tra que­sti, Nesto­re Tur­si, già mem­bro del Diret­to­rio nazio­na­le degli ardi­to – popo­la­ri.

Pro­prio in seno agli appa­ra­ti clan­de­sti­ni del Par­ti­to, Andreo­ni si ren­de pro­ta­go­ni­sta di un tra­gi­co fat­to assur­to alle cro­na­che nazio­na­li.

Feu­zi Nou­ri Has­sen, ex uffi­cia­le otto­ma­no ade­ren­te alla Lega dei popo­li oppres­si, era fug­gi­to dal­la Rus­sia sovie­ti­ca con docu­men­ta­zio­ne riser­va­ta. La Ceka non era riu­sci­ta a bloc­car­lo ma ave­va avvi­sa­to le sezio­ni este­re del Komin­tern, tra cui quel­la di Roma, dove Nou­ri era appro­da­to in dire­zio­ne di Ber­li­no. L’apparato ille­ga­le del Par­ti­to si era assun­to il com­pi­to di fer­mar­lo, sot­trar­gli la docu­men­ta­zio­ne incri­mi­na­ta e veri­fi­ca­re i suoi pro­po­si­ti onde lasciar­lo anda­re. Tale com­pi­to è diret­ta­men­te affi­da­to ad Andreo­ni, all’ex ardi­to – popo­la­re Tur­si e a cer­to Ange­lo Valen­te. Il pia­no deve espli­car­si sul Diret­to Roma – Mila­no, in par­ten­za dal­la sta­zio­ne Ter­mi­ni alle 23.30 del 30 otto­bre 1921 — men­tre la Capi­ta­le era in agi­ta­zio­ne per l’arrivo del­la sal­ma del Mili­te igno­to -, con la nar­co­tiz­za­zio­ne di tut­ti i viag­gia­to­ri del vago­ne dove si tro­va­va il pre­sun­to fug­gia­sco per pro­ce­de­re con la per­qui­si­zio­ne in tran­quil­li­tà. Le cose van­no diver­sa­men­te. Il pia­no scat­ta all’altezza di Arez­zo ma la nar­co­tiz­za­zio­ne dei viag­gia­to­ri non fun­zio­na come pre­vi­sto. Uno di loro, Egi­dio Toma­si, com­mer­cian­te resi­den­te a Pisto­ia, si avven­ta con­tro i due, pro­ba­bil­men­te pen­san­do­li rapi­na­to­ri, Tur­si lo fred­da spa­ran­do­gli e poi, nel ten­ta­ti­vo di disce­sa dal tre­no in cor­sa, si feri­sce gra­ve­men­te ad una gam­ba che gli vie­ne ampu­ta­ta. Feu­zi Nou­ri, trat­te­nu­to nel­le pri­me fasi dell’istruttoria come testi­mo­ne chia­ve, poco dopo ripren­de­va il viag­gio ver­so Ber­li­no facen­do per­de­re le sue trac­ce. È il Delit­to del Diret­to 38: una per­fet­ta sto­ria di spio­nag­gio che la stam­pa, sul­le pri­me con­vin­ta anch’essa che si trat­tas­se d’un ten­ta­ti­vo di fur­to anda­to a male, segue e ripor­ta con dovi­zia di par­ti­co­la­ri per tut­ta la fase pro­ces­sua­le.

Così, per Andreo­ni, si era­no aper­te le por­te del car­ce­re, e dei mani­co­mi cri­mi­na­li, pre­via peri­zia psi­chia­tri­ca, in anti­ci­po sull’avvento del Regi­me fasci­sta. La sen­ten­za, pro­nun­cia­ta dal­la Cor­te d’assise di Arez­zo il 9 mar­zo 1926, con­dan­na­va Andreo­ni e Tur­si a, rispet­ti­va­men­te, 25 e 20 anni di reclu­sio­ne, per “delit­to di cor­rei­tà in omi­ci­dio volon­ta­rio qua­li­fi­ca­to”.

Andreo­ni è dete­nu­to in diver­si isti­tu­ti di pena, quan­do, l’8 giu­gno 1935, anche gra­zie alla vedo­va del com­mer­cia­te Toma­si, Chec­chi Giu­sep­pi­na, dichia­ra­ta­si dispo­ni­bi­le al per­do­no, vie­ne scar­ce­ra­to in anti­ci­po, in liber­tà vigi­la­ta.

Frat­tan­to, sul fini­re degli anni Ven­ti, Andreo­ni era usci­to dal Par­ti­to comu­ni­sta d’Italia. Per i diri­gen­ti del Pci si sareb­be trat­ta­to di espul­sio­ne; Andreo­ni avreb­be inve­ce par­la­to di una scel­ta volon­ta­ria det­ta­ta dal­le noti­zie che arri­va­va­no dall’Urss. Come per mol­ti fuo­riu­sci­ti dal Par­ti­to comu­ni­sta con moti­va­zio­ni idea­li si pro­spet­ta­va l’opzione socia­li­sta, nel­la con­vin­zio­ne che nei ran­ghi socia­li­sti non si osser­vas­se, quan­to­me­no rigi­da­men­te, il cen­tra­li­smo demo­cra­ti­co e che la mag­gio­re liber­tà dia­let­ti­ca inter­na con­sen­tis­se un cer­to mar­gi­ne di mano­vra. L’afflato liber­ta­rio com­por­ta­va però alcu­ne con­tro­par­ti­te, tra cui: la fram­men­ta­zio­ne in cor­ren­ti di pen­sie­ro, l’impossibilità di costi­tui­re strut­tu­re di mas­sa dure­vo­li dinan­zi all’incedere degli even­ti, da cui una serie infi­ni­ta di scis­sio­ni, riu­ni­fi­ca­zio­ni e di nuo­vo scis­sio­ni. Per­ciò, aldi­là del­la riu­ni­fi­ca­zio­ne, appun­to, avve­nu­ta nel Psi in esi­lio, il socia­li­smo ita­lia­no con­si­ste­va in una sor­ta di sin­to­nia sen­ti­men­ta­le tra la vec­chia guar­dia rifor­mi­sta ed i dis­si­den­ti, per­lo­più gio­va­ni di ten­den­ze rivo­lu­zio­na­rie, del comu­ni­smo. Andreo­ni, ascri­vi­bi­le ai secon­di, si accin­ge quin­di a fare ingres­so in que­sta sfor­tu­na­ta sto­ria, per restar­vi sino alla fine dei suoi gior­ni.

A riguar­do, il 10 gen­na­io 1943, rag­giun­ta Mila­no da Roa­sio, dove si era sta­bi­li­to, Andreo­ni par­te­ci­pa alla fon­da­zio­ne, ovvia­men­te clan­de­sti­na, del Movi­men­to d’unità pro­le­ta­ria (Mup), con la con­ver­gen­za di istan­ze social — rivo­lu­zio­na­rie e luxem­bur­ghia­ne di cui Lelio Bas­so è la figu­ra di mag­gior rilie­vo.

E a Roma, tra il 22 ed il 25 ago­sto di quell’anno, in perio­do bado­glia­no, la fusio­ne tra Psi, Mup e for­ma­zio­ni mino­ri dà vita al Par­ti­to socia­li­sta ita­lia­no di uni­tà pro­le­ta­ria (Psiup), con Segre­ta­rio Pie­tro Nen­ni, in cui Andreo­ni è chia­ma­to a Vice­se­gre­ta­rio, inca­ri­co con­di­vi­so con un cer­to San­dro Per­ti­ni.

Soprag­giun­ge l’8 Set­tem­bre, la tra­sfor­ma­zio­ne del Comi­ta­to del­le oppo­si­zio­ni in Comi­ta­to di libe­ra­zio­ne nazio­na­le (Cln) e la Resi­sten­za. Non era per nul­la scon­ta­to che la Lot­ta di libe­ra­zio­ne si doves­se con­dur­re nel Cln, accan­to alle for­ze monar­chi­che, con­ser­va­tri­ci o che, comun­que, si era­no rese respon­sa­bi­li dell’avvento del Fasci­smo. Un po’ in tut­te le sen­si­bi­li­tà anti­fa­sci­ste si mani­fe­sta que­sta insof­fe­ren­za che ten­de di più ad espli­car­si nel­le fila socia­li­ste ove Andreo­ni, frat­tan­to tra­sfe­ri­to­si con la fami­glia a Roma, se ne fa inter­pre­te. Ciò lo por­ta alla rot­tu­ra con Nen­ni, inten­zio­na­to inve­ce ad un discor­so comun­que uni­ta­rio, che si con­su­ma a fine novem­bre con l’esautorazione di fat­to dell’incarico di Andreo­ni da Vice­se­gre­ta­rio, pur rima­nen­do for­mal­men­te nel­la Dire­zio­ne.

Si entra così nel vivo dei moti resi­sten­zia­li. E su ciò che vede impe­gna­to Andreo­ni da qui alla Libe­ra­zio­ne, occor­re pre­met­te­re alcu­ne cir­co­stan­ze sto­rio­gra­fi­che per quan­to riguar­da Roma. La ricer­ca sto­ri­ca sull’occupazione nazi­sta del­la Capi­ta­le è in gene­re al palo sul­la que­stio­ne ine­ren­te il nes­so via Rasel­la – fos­se Ardea­ti­ne, per le for­ti pole­mi­che stru­men­ta­li sor­te attor­no allo stes­so, per cui è risul­ta­to sem­pre dif­fi­ci­le scri­ve­re e par­la­re d’altro. Anche lad­do­ve l’oggetto del­la trat­ta­zio­ne non lo com­por­ti neces­sa­ria­men­te, ci deve imman­ca­bil­men­te esse­re una par­te, spes­so con­si­sten­te, in cui si riba­di­sce la legit­ti­mi­tà dell’azione gap­pi­sta di via Rasel­la. Sem­bra che a schio­dar­si da ciò si rechi un’offesa alla cor­ret­ta rico­stru­zio­ne di quel­le vicen­de sto­ri­che. In base a que­sto è faci­le poi imma­gi­na­re la con­se­guen­te cen­su­ra su tut­to quan­to di par­ti­gia­no si fos­se mos­so fuo­ri dal Cln e, maga­ri, in un’ottica rivo­lu­zio­na­ria, per­ché vi si potreb­be met­te­re a repen­ta­glio l’idea di Resi­sten­za uni­ta­ria sen­za distin­zio­ni di par­te con­tro lo stra­nie­ro inva­so­re. In que­sta sog­ge­zio­ne, si badi bene, non fan­no ecce­zio­ne sto­ri­ci ora tra i più accre­di­ta­ti sul­la Lot­ta par­ti­gia­na a Roma, che non pos­so­no non sape­re in meri­to, le cui affer­ma­zio­ni sono infat­ti con­fu­ta­te in più ripre­se da Ama­ti.

Venen­do al dun­que, Andreo­ni, a fine novem­bre, a segui­to del­la sostan­zia­le rot­tu­ra con i ver­ti­ci Psiup, si impe­gna per la costi­tu­zio­ne d’un sog­get­to mili­ta­re se non osti­le al Cln, comun­que in gra­do di rac­co­glie­re tut­te le for­ze che si pones­se­ro in modo cri­ti­co dinan­zi alla Monar­chia, che nell’Antifascismo di Roma e del Lazio, in ter­mi­ni quan­ti­ta­ti­vi, sono addi­rit­tu­ra mag­gio­ri­ta­rie. Il rife­ri­men­to in par­ti­co­la­re è alla Fede­ra­zio­ne repub­bli­ca­na socia­le, orga­ni­smo poli­ti­co plu­ra­le frat­tan­to sor­to in con­cor­ren­za con il Cln, dove spic­ca la pre­sen­za del Movi­men­to comu­ni­sta d’Italia – Ban­die­ra ros­sa, accan­to ai Cri­stia­no – socia­li e ad altri fram­men­ti del mon­do socia­li­sta, repub­bli­ca­no e liber­ta­rio. Ne nasce­va il Coman­do supe­rio­re par­ti­gia­no (Csp), con a capo Andreo­ni stes­so, che altre­sì fon­da­va e diri­ge­va “Il Par­ti­gia­no”, sostan­zial­men­te orga­no del Coman­do.

Qui occor­re inve­ce fare una pre­mes­sa con­cer­nen­te la ricer­ca sto­ri­ca. La defi­ni­zio­ne degli orga­ni­gram­mi par­ti­gia­ni è sta­ta fat­ta in par­te note­vo­le ex post, dopo la Libe­ra­zio­ne, con un peso sicu­ra­men­te non indif­fe­ren­te degli orien­ta­men­ti poli­ti­ci con­tin­gen­ti, men­tre maga­ri, al momen­to del­la Resi­sten­za, l’adesione ad un grup­po par­ti­gia­no dei sin­go­li era avve­nu­ta casual­men­te, sen­za neces­sa­ria­men­te la pie­na con­sa­pe­vo­lez­za di qua­li fos­se­ro i refe­ren­ti poli­ti­ci di que­sta o quel­la ban­da. Si aggiun­ga a ciò il fat­to che la cor­sa all’attestato par­ti­gia­no non può non aver fal­si­fi­ca­to i nume­ri rea­li nel con­teg­gio com­ples­si­vo. Per ovvia­re, pos­si­bil­men­te, a ciò, oggi, all’Archivio cen­tra­le del­lo Sta­to, c’è a dispo­si­zio­ne del­la ricer­ca il fon­do Ricom­part, cioè la docu­men­ta­zio­ne pro­dot­ta dal­la Com­mis­sio­ne per il rico­no­sci­men­to del­la qua­li­fi­ca dei com­bat­ten­ti par­ti­gia­ni, infat­ti amplia­men­te com­pul­sa­ta dall’Autore che, tra l’altro, è attual­men­te impe­gna­to pro­prio in una mono­gra­fia spe­ci­fi­ca sul Csp.

Il Csp risul­ta aver fat­to da coor­di­na­men­to del­le ban­de par­ti­gia­ne a Roma e nel Lazio, e qual­co­sa in Abruz­zo, con in atti­vo diver­se azio­ni con­tro i nazi­fa­sci­sti. Andreo­ni è chia­ra­men­te in pri­ma linea e rie­sce addi­rit­tu­ra ad orga­niz­za­re del­le ven­di­te clan­de­sti­ne di qua­dri per finan­zia­re l’attività del Coman­do.

Il 26 feb­bra­io 1944, però, deve lascia­re Roma, per cui sareb­be sta­to assen­te duran­te le ter­ri­bi­li vicen­de capi­to­li­ne di quel­la pri­ma­ve­ra, alla vol­ta di Mila­no, in mis­sio­ne segre­ta per con­to del­la Dire­zio­ne Psiup e con il nome di bat­ta­glia di Deme­trio Ser­gi. Il 10 mar­zo è arre­sta­to dal­le Ss e con­dot­to a S. Vit­to­re, dove si tro­va al momen­to del­lo scop­pio del­la “Bom­ba Erco­li”, vale a dire la Svol­ta di Saler­no, quan­do Pal­mi­ro Togliat­ti annun­cia­va l’accantonamento del­la que­stio­ne isti­tu­zio­na­le e quin­di l’abbandono del­la pre­giu­di­zia­le anti­mo­nar­chi­ca da par­te del Pci.

Andreo­ni è libe­ra­to il 13 giu­gno 1944, for­se, come ipo­tiz­za­to da egli stes­so, in ragio­ne del ten­ta­ti­vo di coin­vol­gi­men­to dei socia­li­sti nel pro­gram­ma repub­bli­chi­no. Al momen­to dell’uscita si era con­ge­da­to da un com­pa­gno di pri­gio­nia, sve­lan­do la sua vera iden­ti­tà, e que­sti si era ricor­da­to del nome dal Delit­to del tre­no. Quel pri­gio­nie­ro era Indro Mon­ta­nel­li e Andreo­ni si sareb­be pro­di­ga­to per pro­cu­ra­re anche a lui la scar­ce­ra­zio­ne.

Andreo­ni fa così ritor­no nel­la Roma libe­ra­ta, e tro­va il Psiup sta­gnan­te in meri­to al da far­si, soprat­tut­to in ter­mi­ni di allean­ze gover­na­ti­ve e di stra­te­gie isti­tu­zio­na­li da adot­ta­re. Un’empas­se che pro­vo­ca le dimis­sio­ni di Andreo­ni dal­la Dire­zio­ne e la crea­zio­ne, nel­la pre­oc­cu­pa­zio­ne di non far sva­ni­re l’eredità resi­sten­zia­le, del Movi­men­to par­ti­gia­no, in con­ti­nui­tà con il Csp clan­de­sti­no ed in con­trap­po­si­zio­ne al Gover­no regio. La vita del Movi­men­to si pre­sen­ta ben pre­sto tra­va­glia­ta, soprat­tut­to riguar­do la gestio­ne de “Il Par­ti­gia­no”, dal­le cui colon­ne, l’11 dicem­bre 1944 Andreo­ni lan­cia­va il Mani­fe­sto dell’Unione Spar­ta­co, sem­pre nell’ottica di coin­vol­ge­re tut­ti i dis­si­den­ti in un pro­get­to uni­ta­rio. Al suo fian­co per l’occasione, tra gli altri, il redat­to­re del “Il Par­ti­gia­no” Rober­to Secon­da­ri, fra­tel­lo di Argo, fon­da­to­re e pri­mo Capo — diret­to­rio nazio­na­le degli Ardi­ti del popo­lo.

A tal pro­po­si­to si sareb­be inge­ne­ra­to un equi­vo­co su cui i detrat­to­ri di Andreo­ni avreb­be­ro ben pre­sto fat­to leva: la con­fu­sio­ne dell’Unione Spar­ta­co con “Spar­ta­co”, uno stra­no foglio atten­di­sta cir­co­la­to duran­te l’occupazione di Roma lascian­do per­ples­sa la stes­sa poli­zia fasci­sta, in cui si esor­ta­va­no i rivo­lu­zio­na­ri a non disper­de­re ener­gie nel­la lot­ta con­tro i nazi­fa­sci­sti onde con­ser­var­le per il momen­to buo­no, cioè la rivo­lu­zio­ne che sareb­be ine­vi­ta­bil­men­te scoc­ca­ta con l’imminente fine del­la guer­ra.

A pochi gior­ni dal 25 Apri­le, cioè il 6 mag­gio 1945, Andreo­ni è trat­to in arre­sto dal­la Poli­zia mili­ta­re allea­ta con l’accusa di col­la­bo­ra­zio­ni­smo con i nazi­sti, col­le­ga­ta alla sua scar­ce­ra­zio­ne da S. Vit­to­re. Il rila­scio dopo 14 gior­ni di deten­zio­ne, a segui­to d’una cam­pa­gna stam­pa e di pre­se di posi­zio­ne pub­bli­che per rimar­ca­re l’infondatezza dell’accusa.

L’arresto lascia­va comun­que intui­re le dif­fi­col­tà di Andreo­ni nell’adattarsi alla nor­ma­liz­za­zio­ne in atto con la fine del­la Guer­ra. Egli teme che con l’organizzazione del gros­so del par­ti­gia­na­to nell’Anpi si rischi una deri­va redu­ci­sti­ca e com­me­mo­ra­ti­va del por­ta­to resi­sten­zia­le, nel­la con­vin­zio­ne che il suo com­pi­to fos­se tutt’altro che assol­to. Così, il 30 ago­sto 1946, a die­ci gior­ni dal­la sol­le­va­zio­ne di San­ta Libe­ra, in cui alcu­ni par­ti­gia­ni, pro­te­stan­do con­tro l’Amnistia Togliat­ti e con varie riven­di­ca­zio­ni eco­no­mi­che e di car­rie­ra per i com­bat­ten­ti, ave­va­no ripre­so la stra­da del­la mon­ta­gna per poi riflui­re a segui­to di accor­di, con la media­zio­ne di Pci e Psiup, Andreo­ni lan­cia­va, con appo­si­to mani­fe­sto, il Movi­men­to di resi­sten­za par­ti­gia­na (Mrp). All’iniziativa, di con­tra­sto al Gover­no e di sfi­du­cia ver­so la Costi­tuen­te, pro­mos­sa da par­ti­gia­ni social­co­mu­ni­sti dis­si­den­ti. ave­va­no ade­ri­to soprat­tut­to ambien­ti liber­ta­ri mila­ne­si.

L’Mrp pas­sa all’azione il 23 otto­bre quan­do a Curi­no, pic­co­lo cen­tro del­le Pre­al­pi biel­le­si, arri­va­va la i Divi­sio­ne Cesa­re Bat­ti­sti. I pro­po­si­ti pote­va­no ricor­da­re quel­li di San­ta Libe­ra ma i par­ti­gia­ni con­ve­nu­ti attua­no una for­ma di pro­te­sta disar­ma­ta, una sor­ta di scio­pe­ro alla rove­scia, come quel­li che sta­va­no avve­nen­do per l’occupazione del­le ter­re, in cui si lavo­ra­va­no i ter­re­ni. La pro­te­sta ha la dif­fi­da di Pci e Psiup e dell’Anpi: in un fran­gen­te in cui i social­co­mu­ni­sti era­no al Gover­no, si era con­qui­sta­ta la Repub­bli­ca e quan­to altro, l’iniziativa veni­va facil­men­te bol­la­ta come pro­vo­ca­to­ria. L’Anpi di Biel­la, a tal pro­po­si­to, man­da­va, come invia­to di “Bai­ta”, Fran­ce­sco Mora­ni­no, il Coman­dan­te Gemi­sto, che ben altre gra­ne avreb­be dovu­to affron­ta­re, e pro­prio a pro­po­si­to di par­ti­gia­ni nell’Italia libe­ra­ta, il qua­le reso­con­ta­va l’esperienza stig­ma­tiz­zan­do­la. Ai fat­ti di Curi­no si pose fine a stret­tis­si­mo giro con l’arresto degli orga­niz­za­to­ri, tra cui ovvia­men­te Andreo­ni che, comun­que, rice­ve­va la soli­da­rie­tà di San­dro Per­ti­ni. Infrut­tuo­se si era­no rive­la­te le per­qui­si­zio­ni in cer­ca di armi pres­so le sedi Mrp a Mila­no.

Si con­clu­de­va così l’ultima mani­fe­sta­zio­ne di insof­fe­ren­za par­ti­gia­na in Ita­lia. E per Andreo­ni, come per tut­ti gli espo­nen­ti di quel­le cul­tu­re poli­ti­che che sta­va­no per esse­re taglia­te fuo­ri dal­la divi­sio­ne del mon­do in bloc­chi, si apre un perio­do incer­to, che non di rado coin­ci­de con la via del tra­mon­to. In Andreo­ni l’insofferenza ver­so il Pci e ver­so l’Urss si tra­sfor­ma in anti­co­mu­ni­smo, chia­ra­men­te non con­tro il comu­ni­smo nei suoi prin­cì­pi in astrat­to ma con­tro la sua rea­liz­za­zio­ne ed i suoi rap­pre­sen­tan­ti. Ciò lo por­ta ad ade­ri­re alla Scis­sio­ne di palaz­zo Bar­be­ri­ni l’11 gen­na­io 1947, a segui­to di Giu­sep­pe Sara­gat, con la fon­da­zio­ne del Par­ti­to socia­li­sta dei lavo­ra­to­ri ita­lia­ni (Psli), fina­liz­za­to a rac­co­glie­re tut­te le sen­si­bi­li­tà socia­li­ste a vario tito­lo volen­te­ro­se di rom­pe­re l’unità d’azione con il Pci. Anco­ra una vol­ta, vec­chi rifor­mi­sti accan­to a gio­va­ni rivo­lu­zio­na­ri. Un’unione rap­pre­sen­ta­ta dal sim­bo­lo del par­ti­to: la fal­ce e mar­tel­lo comu­ni­sta, in Ita­lia pre­sen­te anche nel sim­bo­lo Psi, sovrap­po­sta alle Tre frec­ce, il logo idea­to dal bio­so­cio­lo­go rus­so – tede­sco Ser­gei Tscha­cho­tin con fina­li­tà anti­na­zi­ste, e adot­ta­to da diver­si par­ti­ti socia­li­sti nel mon­do.

Dive­nu­to, come det­to, Diret­to­re dell’organo “L’Umanità”, il 13 ago­sto 1948, Andreo­ni fa lo sci­vo­lo­ne che ne avreb­be per sem­pre segna­to la fama.

Il par­ti­to di Sara­gat si sareb­be tra­sfor­ma­to in Par­ti­to socia­li­sta demo­cra­ti­co ita­lia­no (Psdi), appiat­ti­to su posi­zio­ni gover­na­ti­ve al cospet­to di un mode­stis­si­mo segui­to elet­to­ra­le. Sareb­be sta­to but­ta­to defi­ni­ti­va­men­te fuo­ri dal­la sce­na poli­ti­ca con Tan­gen­to­po­li, anche se for­mal­men­te esi­ste anco­ra oggi.

Intuen­do que­sta deri­va, Andreo­ni, sem­pre impe­gna­to a tro­va­re una ter­za via che con­ci­lias­se giu­sti­zia socia­le e liber­tà civi­li, se ne era allon­ta­na­to. Nel 1953 si face­va pro­mo­to­re dell’Unione socia­li­sta indi­pen­den­te (Usi), il par­ti­to pro­mos­so da Aldo Cuc­chi e Val­do Magna­ni che rac­co­glie­va diver­se figu­re sto­ri­che di dis­si­den­ti incro­cia­ti nel­la sto­ria qui rico­strui­ta e che espri­me­va sim­pa­tie ver­so il Socia­li­smo plu­ra­le auto­ge­sti­to del­la Jugo­sla­via.

Rot­to il pat­to d’azione Pci – Psi, Andreo­ni si fa soste­ni­to­re del­la con­fluen­za dell’Usi in quest’ultimo, sta­bi­li­ta al II Con­gres­so, quel­lo di scio­gli­men­to, del feb­bra­io 1957, ma egli non fa in tem­po a vede­re com­piu­to il suo pro­po­si­to. Alle ore 20.00 dell’8 mar­zo suc­ces­si­vo, men­tre si tro­va­va a bor­do dell’autobus del­la linea cele­re E, nel trat­to tra piaz­za Bolo­gna e via Livor­no, Car­lo Andreo­ni vie­ne còl­to da para­li­si car­dia­ca e muo­re.

Sil­vio Anto­ni­ni

 

 

 

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Redazione di Lotta Continua
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