Il corpo di “Che” Guevara

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di Fran­co e Fran­ca Onga­ro Basa­glia *

“Il 17 otto­bre Fidel Castro ha con­fer­ma­to la mor­te di Erne­sto “Che” Gue­va­ra con que­ste paro­le che fac­cia­mo nostre: “Sol­tan­to agli impe­ria­li­sti può inte­res­sa­re che si dif­fon­da il dub­bio che egli sia anco­ra in vita… Non si deve per­de­re tem­po nel lascia­re che l’av­ver­sa­rio assu­ma l’of­fen­si­va psi­co­lo­gi­ca. I rivo­lu­zio­na­ri cre­do­no nel valo­re del­l’e­sem­pio, e un esem­pio come quel­lo di “Che” Gue­va­ra nes­su­no potrà mai eli­mi­nar­lo”.

Sono le paro­le di un rivo­lu­zio­na­rio vivo per un rivo­lu­zio­na­rio che non è più vivo. La “leg­gen­da” è per un rivo­lu­zio­na­rio, un esem­pio. Anche a noi non inte­res­sa il cor­po mor­to di “Che”, ma la sua mor­te rivo­lu­zio­na­ria; e la sua vita, che è una veri­tà pra­ti­ca. Il lin­guag­gio del­la stam­pa impe­ria­li­sta inter­na­zio­na­le (e anche di quel­la comu­ni­sta), in que­sti gior­ni divi­si tra cer­tez­ze e incer­tez­ze “sen­sa­zio­na­li”, è sta­to il lin­guag­gio di chi non sa tra­sfor­ma­re una mor­te impro­pria vit­to­ria “Il mito del­l’e­roe del­la Sier­ra Mae­stra”, il “leg­gen­da­rio guer­rie­ro”, la “leg­gen­da che nasce dal sacri­fi­cio”, il “miti­co per­so­nag­gio fra roman­ti­ci­smo e rivo­lu­zio­ne”, “mez­zo Don Chi­sciot­te e mez­zo Saint Just”. Si pub­bli­ca­no le foto­gra­fie del suo cor­po come un tro­feo di cac­cia, una pre­da ucci­sa. Lo si vuo­le con­se­gna­re, mor­to, al mito per­ché se ne impa­dro­ni­sca, e lo si ucci­da una secon­da vol­ta.

Nes­su­no sa par­la­re di “Che” Gue­va­ra oltre la sua per­so­na, che appa­re fuo­ri dal­la sto­ria, del­la real­tà; lo si è stac­ca­to, lo si sepa­ra dal­la cau­sa per la qua­le è mor­to. Ora che il suo cor­po è mor­to sono dispo­sti a defi­nir­lo secon­do i valo­ri che “Che” da vivo ave­va nega­to nel­la sua azio­ne, nel­l’a­zio­ne dei suoi (e nostri) com­pa­gni di lot­ta. Si pen­sa che la sua mor­te sia la mor­te del­la rivo­lu­zio­ne: e non gli resta­no che la leg­gen­da e il mito. Così è sta­ta con­su­ma­ta — nel giro di que­sti gior­ni — la secon­da, vera mor­te di “Che”; ed è que­sta mor­te che noi rifiu­tia­mo. Il cor­po mor­to di “Che” è offe­so ed espo­sto, tor­tu­ra­to e tra­fu­ga­to. Di que­sto cor­po mor­to nel­la rivo­lu­zio­ne si è volu­to fare un fan­ta­sma ideo­lo­gi­co o una cosa iner­te e per­du­ta: il cor­po mor­to del­la rivo­lu­zio­ne che non fa più pau­ra e può esse­re esor­ciz­za­to, subli­ma­to, misti­fi­ca­to. Si vuo­le inte­gra­re il suo cor­po mor­to nel siste­ma che “Che” con­ti­nua a nega­re.

Fino a ieri era un nemi­co da com­bat­te­re, per­ché ave­va scel­to la nega­zio­ne che lo por­ta­va ad accen­de­re nuo­vi foco­lai, nuo­ve “luci” di ribel­lio­ne e di lot­ta. Ora che è mor­to non si voglio­no più vede­re que­gli incen­di-luci. Ora che è mor­to è più “giu­sto” (secon­do la giu­sti­zia degli oppres­so­ri) fare di lui il per­so­nag­gio per dimo­stra­re dun­que l’am­bi­gui­tà del­la sua azio­ne, e le dif­fi­col­tà del suo pote­re di ribel­lio­ne. Diven­ta così uno dei valo­ri “rea­li” di que­sto nostro siste­ma con­trad­dit­to­rio; per negar­ne la con­trad­dit­to­rie­tà. Infat­ti il nostro siste­ma ha i suoi mar­ti­ri, fab­bri­ca e col­ti­va il necro­lo­gio e il mar­ti­ro­lo­gio dei suoi nemi­ci; e li ono­ra per la mor­te che ha loro decre­ta­to.

Ma è que­sta leg­gen­da che rifiu­tia­mo; come rifiu­tia­mo l’u­so del cor­po dei con­ta­di­ni viet­na­mi­ti, dei neri di Detroit, di tut­ti gli oppres­si che soc­com­bo­no con la vio­len­za alla vio­len­za. La loro mor­te e più che mor­te; que­sto più non può esse­re sot­trat­to, deru­ba­to. Noi voglia­mo che il cor­po di “Che” sia mor­ti­fi­ca­to, vio­len­ta­to e offe­so dai suoi nemi­ci come lo era in vita. Voglia­mo che si con­ti­nui a con­si­de­rar­lo come il cor­po del­la vio­len­za, il cor­po “scan­da­lo­so” del­la rivo­lu­zio­ne che con­ti­nua ad esi­ste­re al di là del­la mor­te, fin­ché c’è sopraf­fa­zio­ne, vio­len­za e oppres­sio­ne. Per­ché si con­ti­nui a rico­no­scer­lo come il rivo­lu­zio­na­rio, il guer­ri­glie­ro, il com­pa­gno che è sta­to in vita, negan­do­lo nel­l’e­sal­ta­zio­ne dei suoi ucci­so­ri. “Che” Gue­va­ra è pre­sen­te come cor­po-vio­len­za e cor­po-rivo­lu­zio­ne fin­ché esi­sto­no i Bar­rien­tos e l’im­pe­ria­li­smo che li inven­ta e i “monu­men­ti” costrui­ti per la mor­te del loro nemi­co.

La mor­te, per “Che” era sem­pre pre­sen­te: una mor­te accet­ta­ta e gio­ca­ta, un suo pro­dot­to, una scel­ta e una sfi­da. Ora le idee e le azio­ni di lui sono le azio­ni e le idee di tut­ti colo­ro che ascol­ta­no, e agi­sco­no: la neces­si­tà di vio­len­za l’u­ni­ver­sa­li­tà degli oppres­si “con­tro il nemi­co del gene­re uma­no”, la real­tà del­la coscien­za rivo­lu­zio­na­ria.

*Scrit­to in occa­sio­ne del­la mor­te di Gue­va­ra — in col­la­bo­ra­zio­ne con Fran­ca Onga­ro Basa­glia — e appar­so ori­gi­na­ria­men­te nel­la rivi­sta «Che fare. Bol­let­ti­no di cri­ti­ca e azio­ne d’avanguardia» N. 2, 8 novem­bre 1967.

Ha scrit­to Ugo Zam­bur­ro: “Due medi­ci, Basa­glia e il Che. Due visio­na­ri che met­te­va­no la liber­tà, i dirit­ti e la giu­sti­zia socia­le al cen­tro del loro agi­re. Ma, come dice­va il Che, entram­bi era­no visio­na­ri pra­ti­ci. Uno ha par­te­ci­pa­to all’incredibile vit­to­ria del­la rivo­lu­zio­ne cuba­na, un pugno di uomi­ni sbar­ca­to dal piro­sca­fo Gran­ma che ha scon­fit­to un eser­ci­to agguer­ri­to, ben arma­to e finan­zia­to dal­la CIA. L’altro, accom­pa­gna­to da un mani­po­lo di gio­va­ni col­la­bo­ra­to­ri, ha cam­bia­to la sto­ria del­la psi­chia­tria e ha san­ci­to la fine di quell’orrendo e vio­len­to luo­go che era il mani­co­mio”.

 

 

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Redazione di Lotta Continua
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