Il giornalista perfetto per un mondo impresentabile: Enrico Mentana e il consenso

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Pub­bli­chia­mo que­sto bel pez­zo di Livia­na Mar­chet­ti, che pro­po­ne un’a­na­li­si appro­fon­di­ta del­la figu­ra di Enri­co Men­ta­na non come cri­ti­ca per­so­na­le, ma come caso di stu­dio emble­ma­ti­co. Il suo lavo­ro, e in par­ti­co­la­re la gestio­ne del­la nar­ra­zio­ne media­ti­ca di even­ti com­ples­si come i con­flit­ti geo­po­li­ti­ci, rive­la i mec­ca­ni­smi raf­fi­na­ti e per­va­si­vi attra­ver­so cui il con­sen­so vie­ne costrui­to e l’e­ge­mo­nia ideo­lo­gi­ca si con­so­li­da nel pano­ra­ma media­ti­co ita­lia­no. Esa­mi­na­re il gior­na­li­smo di Men­ta­na ci per­met­te di disve­la­re le stra­te­gie di sele­zio­ne, fra­ming e mani­po­la­zio­ne del lin­guag­gio che, lun­gi dal­l’es­se­re erro­ri indi­vi­dua­li, sono sin­to­mo di un siste­ma media­ti­co che ha pro­gres­si­va­men­te smes­so di infor­ma­re per abbrac­cia­re la fun­zio­ne di crea­zio­ne di una “fal­sa coscien­za”, ren­den­do accet­ta­bi­le l’i­nac­cet­ta­bi­le.

È fon­da­men­ta­le riba­di­re che il caso Men­ta­na è solo la pun­ta dell’iceberg, l’e­sem­pio più visi­bi­le e ana­liz­za­bi­le di un feno­me­no ben più vasto. Die­tro di lui si muo­ve una mac­chi­na com­ples­sa e per­va­si­va, fat­ta di testa­te, reda­zio­ni, agen­zie stam­pa, inte­res­si ener­ge­ti­ci e accor­di poli­ti­ci. Gran­di grup­pi come Eni, le rela­zio­ni inter­na­zio­na­li con Israe­le, le poli­ti­che gover­na­ti­ve (es. Melo­ni oggi, ma pri­ma Dra­ghi, Con­te ecc.), e l’in­te­ra rete dei media main­stream: tut­to si tie­ne in un siste­ma inter­con­nes­so che tra­scen­de il sin­go­lo gior­na­li­sta o la sin­go­la testa­ta. Il testo di Livia­na è un ten­ta­ti­vo di map­pa­re quel pote­re siste­mi­co, di mostra­re, foto­gram­ma per foto­gram­ma, come l’in­for­ma­zio­ne ita­lia­na nel suo com­ples­so sia diven­ta­ta un’ar­ma di distra­zio­ne e di con­sen­so. Men­ta­na non è l’o­ri­gi­ne del pro­ble­ma, ma la sua epi­fa­nia più chia­ra. Il suo gior­na­li­smo mostra come, nel­l’at­tua­le capi­ta­li­smo cogni­ti­vo, il con­sen­so si costrui­sca non più col man­ga­nel­lo, ma con la sele­zio­ne dei foto­gram­mi, la scel­ta dei ver­bi, la gerar­chia dei cor­pi. Il “buon gior­na­li­smo” diven­ta così for­ma-Sta­to: ripe­te, raf­for­za, pro­teg­ge l’or­di­ne sim­bo­li­co del­l’Oc­ci­den­te. Come ricor­da­va Chom­sky, “La pro­pa­gan­da sta alla demo­cra­zia come la vio­len­za sta alla dit­ta­tu­ra”. In que­sto sen­so, il TG La7, e il pano­ra­ma main­stream in gene­ra­le, sono tra le for­me più sofi­sti­ca­te di que­sta pro­pa­gan­da. Non per­ché men­ta­no sem­pre aper­ta­men­te, ma per­ché scel­go­no.

Que­sto mec­ca­ni­smo di sele­zio­ne e legit­ti­ma­zio­ne incar­na la Fine­stra di Over­ton, agen­do come un moder­no Pif­fe­ra­io Magi­co. La capa­ci­tà dei media main­stream di defi­ni­re i limi­ti del discor­so “accet­ta­bi­le” fa sì che solo un cer­to spet­tro di idee e nar­ra­zio­ni rie­sca a entra­re nel dibat­ti­to pub­bli­co, men­tre tut­to ciò che ne è al di fuo­ri vie­ne siste­ma­ti­ca­men­te emar­gi­na­to o reso “impen­sa­bi­le”. È così che il con­sen­so vie­ne model­la­to non solo su ciò che vie­ne det­to, ma soprat­tut­to su ciò che non vie­ne mai pro­nun­cia­to, rele­ga­to al silen­zio, o abil­men­te spo­sta­to fuo­ri dal­la vista, man­te­nen­do intat­to l’or­di­ne sim­bo­li­co domi­nan­te.

 

IL GIORNALISTA PERFETTO PER UN MONDO IMPRESENTABILE: ENRICO MENTANA E IL CONSENSO.

Di Lavi­nia Mar­chet­ti

C’è un moti­vo per cui abbia­mo scel­to di ana­liz­za­re la figu­ra di Enri­co Men­ta­na come caso di stu­dio esem­pla­re per com­pren­de­re i mec­ca­ni­smi del­l’e­ge­mo­nia media­ti­ca con­tem­po­ra­nea. Non per­ché sia l’u­ni­ca o la peg­gio­re espres­sio­ne di que­sto feno­me­no, ma per­ché nel suo gior­na­li­smo si con­den­sa una sin­tas­si del­l’e­ge­mo­nia così raf­fi­na­ta e per­va­si­va da ren­der­lo il più rap­pre­sen­ta­ti­vo. Per dir­la con la scuo­la di Fran­co­for­te, Men­ta­na è lo spec­chio bril­lan­te, e dun­que defor­man­te, di un siste­ma media­ti­co che ha smes­so di infor­ma­re per ini­zia­re a costrui­re con­sen­so. L’e­ge­mo­nia, oggi, non si annun­cia né si pro­cla­ma: si instal­la. Non è una vera e pro­pria cen­su­ra, ma una sele­zio­ne. Fun­zio­na come una spe­cie di gram­ma­ti­ca segre­ta che ti fa par­la­re la sua lin­gua men­tre cre­di di sce­glie­re la tua, la con­cre­tiz­za­zio­ne di un pen­sie­ro magi­co in atto. Così il fra­me diven­ta desti­no. E Men­ta­na, in que­sto siste­ma, non è il più ser­vi­le, ma il più raf­fi­na­to e, pro­prio per que­sto, il più rap­pre­sen­ta­ti­vo. È lì che risie­de il suo pote­re: nel­la per­fet­ta simu­la­zio­ne del­la liber­tà, nel­la com­pe­ten­za a sele­zio­na­re ciò che può esi­ste­re nel­lo spa­zio del­la paro­la pub­bli­ca.

La doman­da è: “lui ne è con­sa­pe­vo­le?” L’in­tel­let­tua­le che diri­ge ope­ra una spe­cie di sospen­sio­ne del­l’in­cre­du­li­tà. Ci cre­de e non ci cre­de allo stes­so tem­po. Il con­cet­to di sospen­sio­ne dell’incredulità, che nasce in ambi­to este­ti­co, vie­ne qui tra­spo­sto alla poli­ti­ca e al gior­na­li­smo: come lo spet­ta­to­re che deci­de di cre­de­re a una fin­zio­ne cine­ma­to­gra­fi­ca per goder­ne appie­no, Men­ta­na sem­bra strin­ge­re un pat­to ambi­guo con la nar­ra­zio­ne domi­nan­te. È trop­po intel­li­gen­te per non sape­re, ma abba­stan­za fun­zio­na­le da accet­ta­re, for­se anche con sin­ce­ri­tà, il gio­co del­la sele­zio­ne, del­l’e­vo­ca­zio­ne, del fra­me costrui­to. È que­sta ambi­gui­tà mora­le e cogni­ti­va che lo ren­de il caso per­fet­to per mostra­re la fun­zio­ne siste­mi­ca del gior­na­li­smo ita­lia­no in tem­po di guer­ra e geno­ci­dio.

La figu­ra di Men­ta­na, cele­bra­ta per decen­ni come baluar­do del­la “liber­tà di stam­pa” in Ita­lia, meri­ta oggi una rifles­sio­ne radi­ca­le. Per­ché ciò che si dispie­ga nel suo discor­so pub­bli­co non è sem­pli­ce­men­te una linea edi­to­ria­le: è un model­lo ege­mo­ni­co, nel sen­so pie­no e gram­scia­no del ter­mi­ne. Non un’o­pi­nio­ne tra le altre, ma il ten­ta­ti­vo di costrui­re con­sen­so attor­no a un ordi­ne mon­dia­le dove Israe­le vie­ne eret­to a bastio­ne occi­den­ta­le, Gaza a zona d’ec­ce­zio­ne e i cri­mi­ni con­tro il popo­lo pale­sti­ne­se a effet­to col­la­te­ra­le.

L’e­ge­mo­nia che non si vede: Gram­sci nel­l’e­ra del­la post-veri­tà

Nel Qua­der­no 13, Gram­sci defi­ni­va l’e­ge­mo­nia come “dire­zio­ne intel­let­tua­le e mora­le” che il bloc­co sto­ri­co domi­nan­te eser­ci­ta attra­ver­so la cul­tu­ra e i media, pri­ma anco­ra che con la for­za. In que­sta chia­ve, Men­ta­na non è un sem­pli­ce gior­na­li­sta: è un fun­zio­na­rio del­l’e­ge­mo­nia, un atto­re che pro­du­ce sen­so, nor­ma­liz­za lo sta­to del­le cose, ren­de dici­bi­le e accet­ta­bi­le l’i­nac­cet­ta­bi­le.

Non è un caso che nei pri­mi gior­ni dopo il 7 otto­bre 2023, men­tre si con­ta­va­no i mor­ti del rave israe­lia­no, Men­ta­na abbia par­la­to di “cri­mi­ne con­tro l’u­ma­ni­tà” con una rapi­di­tà e una vee­men­za mai riser­va­ta, nei mesi suc­ces­si­vi, ai 37.000 pale­sti­ne­si ucci­si dai bom­bar­da­men­ti israe­lia­ni. La noti­zia dei “bam­bi­ni deca­pi­ta­ti”, mai con­fer­ma­ta, è sta­ta rilan­cia­ta da Men­ta­na con toni dram­ma­ti­ci: “Non vi mostria­mo le imma­gi­ni per­ché sono scioc­can­ti”. Il con­te­nu­to visi­vo, ine­si­sten­te, veni­va così con­ver­ti­to in veri­tà emo­zio­na­le. Non c’è biso­gno di mostra­re ciò che si vuo­le far cre­de­re: basta evo­car­lo con lo sta­tu­to sim­bo­li­co del­la tv.

I silen­zi come stru­men­to ideo­lo­gi­co

La secon­da stra­te­gia è la selet­ti­vi­tà nar­ra­ti­va. La stra­ge di Gaza è sta­ta nar­ra­ta da Men­ta­na come rumo­re di fon­do. Lo spe­cia­le su La7 del pri­mo anni­ver­sa­rio del­l’at­tac­co di Hamas, inti­to­la­to signi­fi­ca­ti­va­men­te L’or­ro­re di un anno, ha mostra­to tre quar­ti d’o­ra di imma­gi­ni del 7 otto­bre sen­za qua­si mai men­zio­na­re l’as­se­dio, le distru­zio­ni, i bam­bi­ni pale­sti­ne­si sepol­ti vivi sot­to le mace­rie.

Que­sta ope­ra­zio­ne non è un erro­re. È una costru­zio­ne. È il vol­to nuo­vo del­la vio­len­za sim­bo­li­ca (Bour­dieu): ciò che non vie­ne det­to, in un con­te­sto di mono­po­lio del discor­so, vale quan­to ciò che vie­ne mostra­to. L’in­qua­dra­tu­ra è già gerar­chia mora­le. Il mon­tag­gio tele­vi­si­vo è già geo­po­li­ti­ca.

Il fra­me del­la demo­cra­zia feri­ta

Anco­ra più signi­fi­ca­ti­va è l’introduzione che Men­ta­na fece all’intervista a Neta­nya­hu tra­smes­sa da La7 nell’ottobre 2023: “È giu­sto ascol­ta­re anche la voce del­la demo­cra­zia feri­ta”. In quel­la fra­se si con­den­sa tut­to il pote­re mito­po­ie­ti­co del discor­so gior­na­li­sti­co come appa­ra­to. Israe­le vie­ne innal­za­to al ran­go di sog­get­to sovra­no del­la feri­ta, tito­la­re legit­ti­mo del dolo­re, men­tre Gaza è dis­sol­ta nel fuo­ri cam­po sim­bo­li­co, ridot­ta a rumo­re mora­le, pri­va di paro­la, di vol­to, di sta­tu­to. È così che ope­ra la sin­tas­si dell’egemonia: costrui­sce il dolo­re sele­zio­na­bi­le e get­ta nell’irrappresentabilità l’eccesso dell’ingiustizia. Il fra­me si fa dispo­si­ti­vo peda­go­gi­co, che adde­stra il pub­bli­co alla com­pas­sio­ne selet­ti­va e all’indifferenza stra­te­gi­ca. Il risul­ta­to è una mac­chi­na affet­ti­va di rimo­zio­ne e nor­ma­liz­za­zio­ne che ricor­da da vici­no ciò che Ador­no chia­ma­va “bar­ba­rie del­la cul­tu­ra”.

Rea­zio­ni, cri­ti­che e l’ef­fet­to di ritor­no del­l’e­ge­mo­nia

A que­sta gestio­ne asim­me­tri­ca del­la real­tà han­no rispo­sto voci dis­si­den­ti. Mario Capan­na, su l’Unità, ha par­la­to di “noti­zie ten­den­zio­sa­men­te anti­pa­le­sti­ne­si e anti­a­ra­be”. Pie­ro San­so­net­ti ha accu­sa­to Men­ta­na di rilan­cia­re bufa­le e di scre­di­ta­re chiun­que pones­se una nar­ra­zio­ne alter­na­ti­va. Il sito Con­tro­pia­no ha defi­ni­to la sua tra­smis­sio­ne una “por­ca­ta” gior­na­li­sti­ca. Ma l’a­spet­to più inte­res­san­te è sta­to il dis­sen­so che è emer­so dal suo stes­so pub­bli­co. Com­men­ti social, let­te­re aper­te, cen­ti­na­ia di uten­ti che accu­sa­va­no Men­ta­na di “par­zia­li­tà mora­le”, di “copri­re i cri­mi­ni israe­lia­ni”, di “far scom­pa­ri­re Gaza dal­la sce­na del dolo­re”.

Ciò rive­la che l’e­ge­mo­nia non è mai tota­le: gene­ra cre­pe, scar­ti, con­tro-nar­ra­zio­ni. Eppu­re, il dispo­si­ti­vo resi­ste. Quan­do a Doglia­ni, nel mag­gio 2025, Men­ta­na affer­mò che “quel­lo che acca­de a Gaza è un cri­mi­ne di guer­ra, ma non un geno­ci­dio”, mise in sce­na l’ul­ti­mo atto del­la sua stra­te­gia: rico­no­sce­re una mini­ma par­te del­la veri­tà per sal­va­re il fra­me domi­nan­te. Il fra­me in cui Israe­le è anco­ra il civi­liz­za­to, e i pale­sti­ne­si anco­ra i sacri­fi­ca­bi­li.

La gerar­chia mora­le del dirit­to: la CPI come ban­co di pro­va

Nel mag­gio 2025, la Cor­te Pena­le Inter­na­zio­na­le ha chie­sto l’arresto di Ben­ja­min Neta­nya­hu per cri­mi­ni con­tro l’umanità. Men­ta­na, nel suo edi­to­ria­le sera­le, ha com­men­ta­to: “Una deci­sio­ne che cer­ta­men­te farà discu­te­re. Ma non dimen­ti­chia­mo­ci da dove è par­ti­to tut­to: dal mas­sa­cro del 7 otto­bre”. È il para­dig­ma per­fet­to del rove­scia­men­to nar­ra­ti­vo: anche quan­do la giu­sti­zia inter­na­zio­na­le pren­de posi­zio­ne, il fra­me media­ti­co resti­tui­sce la paro­la d’ordine che sal­va l’ordine sim­bo­li­co. Il fra­me resta inte­gro, e Gaza rima­ne invi­si­bi­le. Con­cre­tiz­za­zio­ne del pen­sie­ro magi­co.

La gestio­ne del­le paro­le: eufe­mi­smo, ridu­zio­ne, tra­slit­te­ra­zio­ne

Un altro aspet­to deci­si­vo è la gestio­ne les­si­ca­le del con­flit­to. Quan­do Men­ta­na defi­ni­sce i colo­ni che han­no aggre­di­to il regi­sta Ham­dan Bal­lal come “set­tler, per­so­ne che vivo­no una vita di con­fi­ne arma­to”, attua una tra­slit­te­ra­zio­ne con­ci­lian­te. Il ter­mi­ne “colo­ni” vie­ne tra­dot­to in “abi­tan­ti arma­ti”. Il con­cet­to di apar­theid vie­ne sosti­tui­to da “con­flit­to”. L’em­bar­go uma­ni­ta­rio diven­ta “asse­dio mili­ta­re”. Ogni paro­la è depo­ten­zia­ta, e con essa la capa­ci­tà di vede­re.

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Redazione di Lotta Continua
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