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martedì, 1 Luglio 2025

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

Il giornalista perfetto per un mondo impresentabile: Enrico Mentana e il consenso

Pub­bli­chia­mo que­sto bel pez­zo di Livia­na Mar­chet­ti, che pro­po­ne un’a­na­li­si appro­fon­di­ta del­la figu­ra di Enri­co Men­ta­na non come cri­ti­ca per­so­na­le, ma come caso di stu­dio emble­ma­ti­co. Il suo lavo­ro, e in par­ti­co­la­re la gestio­ne del­la nar­ra­zio­ne media­ti­ca di even­ti com­ples­si come i con­flit­ti geo­po­li­ti­ci, rive­la i mec­ca­ni­smi raf­fi­na­ti e per­va­si­vi attra­ver­so cui il con­sen­so vie­ne costrui­to e l’e­ge­mo­nia ideo­lo­gi­ca si con­so­li­da nel pano­ra­ma media­ti­co ita­lia­no. Esa­mi­na­re il gior­na­li­smo di Men­ta­na ci per­met­te di disve­la­re le stra­te­gie di sele­zio­ne, fra­ming e mani­po­la­zio­ne del lin­guag­gio che, lun­gi dal­l’es­se­re erro­ri indi­vi­dua­li, sono sin­to­mo di un siste­ma media­ti­co che ha pro­gres­si­va­men­te smes­so di infor­ma­re per abbrac­cia­re la fun­zio­ne di crea­zio­ne di una “fal­sa coscien­za”, ren­den­do accet­ta­bi­le l’i­nac­cet­ta­bi­le.

È fon­da­men­ta­le riba­di­re che il caso Men­ta­na è solo la pun­ta dell’iceberg, l’e­sem­pio più visi­bi­le e ana­liz­za­bi­le di un feno­me­no ben più vasto. Die­tro di lui si muo­ve una mac­chi­na com­ples­sa e per­va­si­va, fat­ta di testa­te, reda­zio­ni, agen­zie stam­pa, inte­res­si ener­ge­ti­ci e accor­di poli­ti­ci. Gran­di grup­pi come Eni, le rela­zio­ni inter­na­zio­na­li con Israe­le, le poli­ti­che gover­na­ti­ve (es. Melo­ni oggi, ma pri­ma Dra­ghi, Con­te ecc.), e l’in­te­ra rete dei media main­stream: tut­to si tie­ne in un siste­ma inter­con­nes­so che tra­scen­de il sin­go­lo gior­na­li­sta o la sin­go­la testa­ta. Il testo di Livia­na è un ten­ta­ti­vo di map­pa­re quel pote­re siste­mi­co, di mostra­re, foto­gram­ma per foto­gram­ma, come l’in­for­ma­zio­ne ita­lia­na nel suo com­ples­so sia diven­ta­ta un’ar­ma di distra­zio­ne e di con­sen­so. Men­ta­na non è l’o­ri­gi­ne del pro­ble­ma, ma la sua epi­fa­nia più chia­ra. Il suo gior­na­li­smo mostra come, nel­l’at­tua­le capi­ta­li­smo cogni­ti­vo, il con­sen­so si costrui­sca non più col man­ga­nel­lo, ma con la sele­zio­ne dei foto­gram­mi, la scel­ta dei ver­bi, la gerar­chia dei cor­pi. Il “buon gior­na­li­smo” diven­ta così for­ma-Sta­to: ripe­te, raf­for­za, pro­teg­ge l’or­di­ne sim­bo­li­co del­l’Oc­ci­den­te. Come ricor­da­va Chom­sky, “La pro­pa­gan­da sta alla demo­cra­zia come la vio­len­za sta alla dit­ta­tu­ra”. In que­sto sen­so, il TG La7, e il pano­ra­ma main­stream in gene­ra­le, sono tra le for­me più sofi­sti­ca­te di que­sta pro­pa­gan­da. Non per­ché men­ta­no sem­pre aper­ta­men­te, ma per­ché scel­go­no.

Que­sto mec­ca­ni­smo di sele­zio­ne e legit­ti­ma­zio­ne incar­na la Fine­stra di Over­ton, agen­do come un moder­no Pif­fe­ra­io Magi­co. La capa­ci­tà dei media main­stream di defi­ni­re i limi­ti del discor­so “accet­ta­bi­le” fa sì che solo un cer­to spet­tro di idee e nar­ra­zio­ni rie­sca a entra­re nel dibat­ti­to pub­bli­co, men­tre tut­to ciò che ne è al di fuo­ri vie­ne siste­ma­ti­ca­men­te emar­gi­na­to o reso “impen­sa­bi­le”. È così che il con­sen­so vie­ne model­la­to non solo su ciò che vie­ne det­to, ma soprat­tut­to su ciò che non vie­ne mai pro­nun­cia­to, rele­ga­to al silen­zio, o abil­men­te spo­sta­to fuo­ri dal­la vista, man­te­nen­do intat­to l’or­di­ne sim­bo­li­co domi­nan­te.

 

IL GIORNALISTA PERFETTO PER UN MONDO IMPRESENTABILE: ENRICO MENTANA E IL CONSENSO.

Di Lavi­nia Mar­chet­ti

C’è un moti­vo per cui abbia­mo scel­to di ana­liz­za­re la figu­ra di Enri­co Men­ta­na come caso di stu­dio esem­pla­re per com­pren­de­re i mec­ca­ni­smi del­l’e­ge­mo­nia media­ti­ca con­tem­po­ra­nea. Non per­ché sia l’u­ni­ca o la peg­gio­re espres­sio­ne di que­sto feno­me­no, ma per­ché nel suo gior­na­li­smo si con­den­sa una sin­tas­si del­l’e­ge­mo­nia così raf­fi­na­ta e per­va­si­va da ren­der­lo il più rap­pre­sen­ta­ti­vo. Per dir­la con la scuo­la di Fran­co­for­te, Men­ta­na è lo spec­chio bril­lan­te, e dun­que defor­man­te, di un siste­ma media­ti­co che ha smes­so di infor­ma­re per ini­zia­re a costrui­re con­sen­so. L’e­ge­mo­nia, oggi, non si annun­cia né si pro­cla­ma: si instal­la. Non è una vera e pro­pria cen­su­ra, ma una sele­zio­ne. Fun­zio­na come una spe­cie di gram­ma­ti­ca segre­ta che ti fa par­la­re la sua lin­gua men­tre cre­di di sce­glie­re la tua, la con­cre­tiz­za­zio­ne di un pen­sie­ro magi­co in atto. Così il fra­me diven­ta desti­no. E Men­ta­na, in que­sto siste­ma, non è il più ser­vi­le, ma il più raf­fi­na­to e, pro­prio per que­sto, il più rap­pre­sen­ta­ti­vo. È lì che risie­de il suo pote­re: nel­la per­fet­ta simu­la­zio­ne del­la liber­tà, nel­la com­pe­ten­za a sele­zio­na­re ciò che può esi­ste­re nel­lo spa­zio del­la paro­la pub­bli­ca.

La doman­da è: “lui ne è con­sa­pe­vo­le?” L’in­tel­let­tua­le che diri­ge ope­ra una spe­cie di sospen­sio­ne del­l’in­cre­du­li­tà. Ci cre­de e non ci cre­de allo stes­so tem­po. Il con­cet­to di sospen­sio­ne dell’incredulità, che nasce in ambi­to este­ti­co, vie­ne qui tra­spo­sto alla poli­ti­ca e al gior­na­li­smo: come lo spet­ta­to­re che deci­de di cre­de­re a una fin­zio­ne cine­ma­to­gra­fi­ca per goder­ne appie­no, Men­ta­na sem­bra strin­ge­re un pat­to ambi­guo con la nar­ra­zio­ne domi­nan­te. È trop­po intel­li­gen­te per non sape­re, ma abba­stan­za fun­zio­na­le da accet­ta­re, for­se anche con sin­ce­ri­tà, il gio­co del­la sele­zio­ne, del­l’e­vo­ca­zio­ne, del fra­me costrui­to. È que­sta ambi­gui­tà mora­le e cogni­ti­va che lo ren­de il caso per­fet­to per mostra­re la fun­zio­ne siste­mi­ca del gior­na­li­smo ita­lia­no in tem­po di guer­ra e geno­ci­dio.

La figu­ra di Men­ta­na, cele­bra­ta per decen­ni come baluar­do del­la “liber­tà di stam­pa” in Ita­lia, meri­ta oggi una rifles­sio­ne radi­ca­le. Per­ché ciò che si dispie­ga nel suo discor­so pub­bli­co non è sem­pli­ce­men­te una linea edi­to­ria­le: è un model­lo ege­mo­ni­co, nel sen­so pie­no e gram­scia­no del ter­mi­ne. Non un’o­pi­nio­ne tra le altre, ma il ten­ta­ti­vo di costrui­re con­sen­so attor­no a un ordi­ne mon­dia­le dove Israe­le vie­ne eret­to a bastio­ne occi­den­ta­le, Gaza a zona d’ec­ce­zio­ne e i cri­mi­ni con­tro il popo­lo pale­sti­ne­se a effet­to col­la­te­ra­le.

L’e­ge­mo­nia che non si vede: Gram­sci nel­l’e­ra del­la post-veri­tà

Nel Qua­der­no 13, Gram­sci defi­ni­va l’e­ge­mo­nia come “dire­zio­ne intel­let­tua­le e mora­le” che il bloc­co sto­ri­co domi­nan­te eser­ci­ta attra­ver­so la cul­tu­ra e i media, pri­ma anco­ra che con la for­za. In que­sta chia­ve, Men­ta­na non è un sem­pli­ce gior­na­li­sta: è un fun­zio­na­rio del­l’e­ge­mo­nia, un atto­re che pro­du­ce sen­so, nor­ma­liz­za lo sta­to del­le cose, ren­de dici­bi­le e accet­ta­bi­le l’i­nac­cet­ta­bi­le.

Non è un caso che nei pri­mi gior­ni dopo il 7 otto­bre 2023, men­tre si con­ta­va­no i mor­ti del rave israe­lia­no, Men­ta­na abbia par­la­to di “cri­mi­ne con­tro l’u­ma­ni­tà” con una rapi­di­tà e una vee­men­za mai riser­va­ta, nei mesi suc­ces­si­vi, ai 37.000 pale­sti­ne­si ucci­si dai bom­bar­da­men­ti israe­lia­ni. La noti­zia dei “bam­bi­ni deca­pi­ta­ti”, mai con­fer­ma­ta, è sta­ta rilan­cia­ta da Men­ta­na con toni dram­ma­ti­ci: “Non vi mostria­mo le imma­gi­ni per­ché sono scioc­can­ti”. Il con­te­nu­to visi­vo, ine­si­sten­te, veni­va così con­ver­ti­to in veri­tà emo­zio­na­le. Non c’è biso­gno di mostra­re ciò che si vuo­le far cre­de­re: basta evo­car­lo con lo sta­tu­to sim­bo­li­co del­la tv.

I silen­zi come stru­men­to ideo­lo­gi­co

La secon­da stra­te­gia è la selet­ti­vi­tà nar­ra­ti­va. La stra­ge di Gaza è sta­ta nar­ra­ta da Men­ta­na come rumo­re di fon­do. Lo spe­cia­le su La7 del pri­mo anni­ver­sa­rio del­l’at­tac­co di Hamas, inti­to­la­to signi­fi­ca­ti­va­men­te L’or­ro­re di un anno, ha mostra­to tre quar­ti d’o­ra di imma­gi­ni del 7 otto­bre sen­za qua­si mai men­zio­na­re l’as­se­dio, le distru­zio­ni, i bam­bi­ni pale­sti­ne­si sepol­ti vivi sot­to le mace­rie.

Que­sta ope­ra­zio­ne non è un erro­re. È una costru­zio­ne. È il vol­to nuo­vo del­la vio­len­za sim­bo­li­ca (Bour­dieu): ciò che non vie­ne det­to, in un con­te­sto di mono­po­lio del discor­so, vale quan­to ciò che vie­ne mostra­to. L’in­qua­dra­tu­ra è già gerar­chia mora­le. Il mon­tag­gio tele­vi­si­vo è già geo­po­li­ti­ca.

Il fra­me del­la demo­cra­zia feri­ta

Anco­ra più signi­fi­ca­ti­va è l’introduzione che Men­ta­na fece all’intervista a Neta­nya­hu tra­smes­sa da La7 nell’ottobre 2023: “È giu­sto ascol­ta­re anche la voce del­la demo­cra­zia feri­ta”. In quel­la fra­se si con­den­sa tut­to il pote­re mito­po­ie­ti­co del discor­so gior­na­li­sti­co come appa­ra­to. Israe­le vie­ne innal­za­to al ran­go di sog­get­to sovra­no del­la feri­ta, tito­la­re legit­ti­mo del dolo­re, men­tre Gaza è dis­sol­ta nel fuo­ri cam­po sim­bo­li­co, ridot­ta a rumo­re mora­le, pri­va di paro­la, di vol­to, di sta­tu­to. È così che ope­ra la sin­tas­si dell’egemonia: costrui­sce il dolo­re sele­zio­na­bi­le e get­ta nell’irrappresentabilità l’eccesso dell’ingiustizia. Il fra­me si fa dispo­si­ti­vo peda­go­gi­co, che adde­stra il pub­bli­co alla com­pas­sio­ne selet­ti­va e all’indifferenza stra­te­gi­ca. Il risul­ta­to è una mac­chi­na affet­ti­va di rimo­zio­ne e nor­ma­liz­za­zio­ne che ricor­da da vici­no ciò che Ador­no chia­ma­va “bar­ba­rie del­la cul­tu­ra”.

Rea­zio­ni, cri­ti­che e l’ef­fet­to di ritor­no del­l’e­ge­mo­nia

A que­sta gestio­ne asim­me­tri­ca del­la real­tà han­no rispo­sto voci dis­si­den­ti. Mario Capan­na, su l’Unità, ha par­la­to di “noti­zie ten­den­zio­sa­men­te anti­pa­le­sti­ne­si e anti­a­ra­be”. Pie­ro San­so­net­ti ha accu­sa­to Men­ta­na di rilan­cia­re bufa­le e di scre­di­ta­re chiun­que pones­se una nar­ra­zio­ne alter­na­ti­va. Il sito Con­tro­pia­no ha defi­ni­to la sua tra­smis­sio­ne una “por­ca­ta” gior­na­li­sti­ca. Ma l’a­spet­to più inte­res­san­te è sta­to il dis­sen­so che è emer­so dal suo stes­so pub­bli­co. Com­men­ti social, let­te­re aper­te, cen­ti­na­ia di uten­ti che accu­sa­va­no Men­ta­na di “par­zia­li­tà mora­le”, di “copri­re i cri­mi­ni israe­lia­ni”, di “far scom­pa­ri­re Gaza dal­la sce­na del dolo­re”.

Ciò rive­la che l’e­ge­mo­nia non è mai tota­le: gene­ra cre­pe, scar­ti, con­tro-nar­ra­zio­ni. Eppu­re, il dispo­si­ti­vo resi­ste. Quan­do a Doglia­ni, nel mag­gio 2025, Men­ta­na affer­mò che “quel­lo che acca­de a Gaza è un cri­mi­ne di guer­ra, ma non un geno­ci­dio”, mise in sce­na l’ul­ti­mo atto del­la sua stra­te­gia: rico­no­sce­re una mini­ma par­te del­la veri­tà per sal­va­re il fra­me domi­nan­te. Il fra­me in cui Israe­le è anco­ra il civi­liz­za­to, e i pale­sti­ne­si anco­ra i sacri­fi­ca­bi­li.

La gerar­chia mora­le del dirit­to: la CPI come ban­co di pro­va

Nel mag­gio 2025, la Cor­te Pena­le Inter­na­zio­na­le ha chie­sto l’arresto di Ben­ja­min Neta­nya­hu per cri­mi­ni con­tro l’umanità. Men­ta­na, nel suo edi­to­ria­le sera­le, ha com­men­ta­to: “Una deci­sio­ne che cer­ta­men­te farà discu­te­re. Ma non dimen­ti­chia­mo­ci da dove è par­ti­to tut­to: dal mas­sa­cro del 7 otto­bre”. È il para­dig­ma per­fet­to del rove­scia­men­to nar­ra­ti­vo: anche quan­do la giu­sti­zia inter­na­zio­na­le pren­de posi­zio­ne, il fra­me media­ti­co resti­tui­sce la paro­la d’ordine che sal­va l’ordine sim­bo­li­co. Il fra­me resta inte­gro, e Gaza rima­ne invi­si­bi­le. Con­cre­tiz­za­zio­ne del pen­sie­ro magi­co.

La gestio­ne del­le paro­le: eufe­mi­smo, ridu­zio­ne, tra­slit­te­ra­zio­ne

Un altro aspet­to deci­si­vo è la gestio­ne les­si­ca­le del con­flit­to. Quan­do Men­ta­na defi­ni­sce i colo­ni che han­no aggre­di­to il regi­sta Ham­dan Bal­lal come “set­tler, per­so­ne che vivo­no una vita di con­fi­ne arma­to”, attua una tra­slit­te­ra­zio­ne con­ci­lian­te. Il ter­mi­ne “colo­ni” vie­ne tra­dot­to in “abi­tan­ti arma­ti”. Il con­cet­to di apar­theid vie­ne sosti­tui­to da “con­flit­to”. L’em­bar­go uma­ni­ta­rio diven­ta “asse­dio mili­ta­re”. Ogni paro­la è depo­ten­zia­ta, e con essa la capa­ci­tà di vede­re.

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Redazione di Lotta Continua