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giovedì, 21 Novembre 2024

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

Note sul voto americano — prima parte

Par­tia­mo dai dati. Qual­sia­si valu­ta­zio­ne di un feno­me­no socia­le deve basar­si su una pre­sa d’atto del­le dina­mi­che rea­li se vuo­le sfug­gi­re alla pre­va­len­za del­la com­po­nen­te emo­ti­va e sog­get­ti­vi­sta oggi lar­ga­men­te domi­nan­te. Pur nel­la con­sa­pe­vo­lez­za che il feno­me­no socia­le non è mai un even­to assi­mi­la­bi­le alla sfe­ra fisi­co-natu­ra­le. Uno sguar­do sui dati del­le ele­zio­ni Usa ci con­se­gna una real­tà che, quan­ti­ta­ti­va­men­te, non è quel­lo stra­vol­gi­men­to rap­pre­sen­ta­to del­la gran par­te dei media. La net­ta vit­to­ria di Trump si misu­ra nel nume­ro dei “gran­di elet­to­ri” che sono il risul­ta­to di un siste­ma elet­to­ra­le che sovra­di­men­sio­na il voto del­le cam­pa­gne e dei pic­co­li sta­ti. Al con­tra­rio l’onda media­ti­ca e la dif­fu­sio­ne del­la nar­ra­zio­ne trum­pia­na, con ogni pro­ba­bi­li­tà, sarà desti­na­ta ad ave­re effet­ti non tra­scu­ra­bi­le nel­la real­tà euro­pea.

La geo­gra­fia del voto. La fram­men­ta­zio­ne del­la socie­tà sta­tu­ni­ten­se ren­de non age­vo­le un’analisi accu­ra­ta del­la map­pa socia­le del­la distri­bu­zio­ne del voto pre­si­den­zia­le. Diver­sa la foto­gra­fia che si può rica­va­re dal­la ripar­ti­zio­ne spa­zia­le. Dal­la sca­la sta­to per sta­to si può desu­me­re che sono anda­ti a Clin­ton gli sta­ti loca­liz­za­ti nel­la costa del Paci­fi­co, nel vec­chio Nord-Est cioè nel New England del­la costa atlan­ti­ca. L’enorme spa­zio situa­to fra le due coste è tut­to “ros­so”, il colo­re del par­ti­to repub­bli­ca­no, con l’eccezione del Min­ne­so­ta, del Colo­ra­do, del Min­ne­so­ta e dell’Illinois. Le aree costie­re sono regio­ni con un alto red­di­to pro-capi­te, sede del­le più impor­tan­ti atti­vi­tà del ter­zia­rio avan­za­to e inter­na­zio­na­liz­za­to che com­pren­de la gran­de mega­lo­po­li atlan­ti­ca con i suoi più di 50 milio­ni di abi­tan­ti, qua­si l’equivalente del­la popo­la­zio­ne ita­lia­na. Si trat­ta di situa­zio­ni con un elet­to­ra­to in pos­ses­so di un livel­lo medio-alto di istru­zio­ne, ma anche con una mag­gio­re pre­sen­za del­le mino­ran­ze ispa­ni­che e afroa­me­ri­ca­ne.
Più inte­res­san­te, ai fini di un’analisi accu­ra­ta del­le ele­zio­ni, è l’osservazione del voto sud­di­vi­so per con­tee. Anche in que­sto caso la distri­bu­zio­ne è ben defi­ni­ta. Il voto demo­cra­ti­co si loca­liz­za nel­le gran­di metro­po­li con risul­ta­ti schiac­cian­ti, in diver­si casi supe­rio­ri al 70% e anche oltre. Que­ste iso­le di voto clin­to­nia­no sono cir­con­da­te dal mare trum­pia­no; cam­pa­gne e cen­tri medio pic­co­li sono anda­ti in gran par­te al par­ti­to repub­bli­ca­no. In sostan­za, dal pun­to di vista geo­gra­fi­co, i Repub­bli­ca­ni han­no rac­col­to voti pri­ma di tut­to nel­le pra­te­rie, nel­le pro­vin­ce agri­co­le e nel­le loro roc­ca­for­ti sto­ri­che del Sud. È l’immagine del­le cam­pa­gne che han­no asse­dia­to le “cit­ta­del­le”, avreb­be det­to Lin Piao. Era così anche nel­le pas­sa­te ele­zio­ni, sono cam­bia­ti sola­men­te i nume­ri. Nel­le gran­di metro­po­li l’egemonia cul­tu­ra­le, anche di tipo cosmo­po­li­ta, dei grup­pi domi­nan­ti è mol­to più mar­ca­ta. Nel­le “cam­pa­gne”, nei pic­co­li cen­tri, nel resto del pae­se, dove vivo­no comu­ni­tà più chiu­se, dove la den­si­tà del­la popo­la­zio­ne è poco ele­va­ta, è pre­va­len­te quel­lo che negli Usa va sot­to il nome di “ceto medio” che ha accu­mu­la­to una buo­na dose di ran­co­re con­tro i cam­bia­men­ti pro­dot­ti dall’intensificazione del mer­ca­to glo­ba­le. Inol­tre la cri­si, ini­zia­ta fra il 2007 e il 2008, ha aggra­va­to sia le con­di­zio­ni di vita del­le aree in decli­no indu­stria­le, sia la per­ce­zio­ne del­la minac­cia di sci­vo­la­men­to ver­so il bas­so e di ero­sio­ne dell’identità “ame­ri­ca­na”, in par­ti­co­la­re del­la con­so­li­da­ta supre­ma­zia WASP: Whi­te, Anglo-Saxon, Pro­te­stant  (gli sta­tu­ni­ten­si usa­no diret­ta­men­te l’a­cro­ni­mo WASP, che in ingle­se indi­ca anche la “vespa”), tra­dot­to in ita­lia­no con “Bian­co Anglo-Sas­so­ne Pro­te­stan­te.
La com­po­si­zio­ne socia­le del voto: un voto “di clas­se”? di qua­le clas­se? I dati gene­ra­li indi­ca­no un trend del­la par­te­ci­pa­zio­ne al voto in fles­sio­ne. In sostan­za nel 2008 ave­va­no par­te­ci­pa­to alle ele­zio­ni il 62,2% degli aven­ti dirit­to, nel 2012 il 58,6%, nel 2016 il voto si asse­sta sul 55,6%. Un calo che gli osser­va­to­ri attri­bui­sco­no all’astensione nel­la par­te­ci­pa­zio­ne demo­cra­ti­ca al voto. Infat­ti Clin­ton per­de cir­ca 6 milio­ni di voti nei con­fron­ti dell’ultima ele­zio­ne di Oba­ma. Anche Trump per­de 1,3 milio­ni di voti rispet­to all’opaco Rom­ney del 2012, insom­ma non pro­pria­men­te una valan­ga come è sta­to scrit­to. Clin­ton, nel voto com­ples­si­vo, ottie­ne cir­ca 200.000 voti in più di Trump (un nume­ro desti­na­to a cre­sce­re con i risul­ta­ti defi­ni­ti­vi), ma è net­ta­men­te per­den­te nel nume­ro dei “gran­di elet­to­ri, che si deter­mi­na­no sul­la base del siste­ma elet­to­ra­le USA che sovra-rap­pre­sen­ta elet­to­ral­men­te le zone rura­li. Come suc­ces­so già in pas­sa­to il nuo­vo pre­si­den­te è sta­to elet­to con i voti di cir­ca il 25% degli aven­ti dirit­to.
Il dato gene­ra­zio­na­le, di gene­re e dal pun­to di vista del­la com­po­si­zio­ne socia­le è sta­to rica­va­to dai risul­ta­ti di una inda­gi­ne con­dot­ta dal­la CNN, e da altre fon­ti che sono nel­la sostan­za con­cor­di. Non è la foto­gra­fia del­la real­tà, ma può esse­re indi­ca­ti­va di ten­den­ze rea­li. Gli elet­to­ra­ti dei Demo­cra­ti­ci e dei Repub­bli­ca­ni han­no un segno inter­clas­si­sta che si è mani­fe­sta­to con chia­rez­za anche in que­ste ele­zio­ni con degli spo­sta­men­ti che sono comun­que da indi­vi­dua­re per le indi­ca­zio­ni di ten­den­za che pos­so­no dare per la real­tà euro­pea. Pen­sa­re a un can­di­da­to pre­si­den­te Usa, come Trump, espres­sio­ne del­le “clas­si popo­la­ri”, come pure è sta­to fat­to nel­le pri­me rea­zio­ni, non ha un fon­da­men­to nei dati rea­li. Le fasce di red­di­to infe­rio­ri ai 50.000 dol­la­ri han­no espres­so una mag­gio­ran­za di pre­fe­ren­ze a Clin­ton, quel­le al di sopra di que­sta cifra si sono orien­ta­te ver­so Trump. Il dato da regi­stra­re è l’erosione del soste­gno che Clin­ton ha avu­to pres­so gio­va­ni, ispa­ni­ci e afroa­me­ri­ca­ni rispet­to al soste­gno otte­nu­to da Oba­ma. Il voto gio­va­ni­le per il can­di­da­to demo­cra­ti­co è pas­sa­to dal 60% al 55% dei votan­ti, quel­lo ispa­ni­co dal 71% al 65%, quel­lo afroa­me­ri­ca­no dal 96% all’88%. Da rimar­ca­re anche la mag­gio­re asten­sio­ne nel­le fasce di red­di­to più bas­se, par­ti­co­lar­men­te alta nel­la comu­ni­tà nera e nel­la popo­la­zio­ne gio­va­ne. Chi si col­lo­ca nel­le fasce socia­li meno abbien­ti ha par­te­ci­pa­to al voto in una per­cen­tua­le che si aggi­ra attor­no al 30% degli aven­ti dirit­to.
Soste­ne­re che Trump sia riu­sci­to a cala­mi­ta­re il con­sen­so del­le clas­si subal­ter­ne in rivol­ta con­tro il pote­re eco­no­mi­co-poli­ti­co, con­tro “l’élite”, vor­reb­be dire distor­ce­re la real­tà: Trump è riu­sci­to a spo­sta­re sul­la sua can­di­da­tu­ra un po’ di con­sen­so di que­sti seg­men­ti socia­li meglio di quan­to non abbia­no fat­to Bush, Mc Cain e Rom­ney. La par­ti­ta elet­to­ra­le Usa si gio­ca sul­la capa­ci­tà di mobi­li­ta­re l’elettorato bian­co, per un ovvio fat­to­re nume­ri­co. Gli uni­ci pre­si­den­ti demo­cra­ti­ci vin­cen­ti negli ulti­mi tre decen­ni sono sta­ti quel­li che han­no strap­pa­to elet­to­ri bian­chi ai loro avver­sa­ri (pur non con­qui­stan­do­ne mai la mag­gio­ran­za), così ave­va fat­to Barak Oba­ma, sia nel 2008, sia nel 2012. In sostan­za Trump si è con­fer­ma­to nel tra­di­zio­na­le elet­to­ra­to repub­bli­ca­no, riu­scen­do a ero­de­re alcu­ne posi­zio­ni con­qui­sta­te da Oba­ma, in par­ti­co­la­re nel­le fasce a red­di­to medio-bas­so. Non ci sono ele­men­ti per soste­ne­re che i gio­va­ni che han­no subi­to la cri­si, gli adul­ti che han­no già vis­su­to due decen­ni di pre­ca­riz­za­zio­ne abbia­no fir­ma­to una dele­ga a Trump. A que­sto si deve som­ma­re il distac­co asten­sio­ni­sti­co e l’o­sti­li­tà alla par­te­ci­pa­zio­ne elet­to­ra­le di gio­va­ni, comu­ni­tà ispa­ni­che, don­ne e mino­ran­za afroa­me­ri­ca­na. Trump è riu­sci­to a mobi­li­ta­re, oltre al tra­di­zio­na­le elet­to­ra­to repub­bli­ca­no, quei seg­men­ti medio-bas­si, soprat­tut­to di ceto-medio che ha per­so (o è minac­cia­to dal­la per­di­ta) le pas­sa­te sicu­rez­ze e le posi­zio­ni red­di­tua­li.
E la “clas­se ope­ra­ia” Usa il cui com­por­ta­men­to elet­to­ra­le ha fat­to par­la­re a mol­ti com­men­ta­to­ri di “voto di clas­se”? oggi la wor­king class ame­ri­ca­na rap­pre­sen­ta un seg­men­to esi­guo del tota­le del­la popo­la­zio­ne atti­va. I lavo­ra­to­ri e gli impie­ga­ti nel set­to­re mani­fat­tu­rie­ro si atte­sta­no sot­to il 10% del lavo­ro com­ples­si­vo, un dato che sale al 15% se aggiun­gia­mo i set­to­ri del­le costru­zio­ni, del­l’at­ti­vi­tà estrat­ti­va ed ener­ge­ti­ca. Dopo la cri­si del­la gran­de indu­stria, que­sto seg­men­to del lavo­ro si è spes­so tra­sfe­ri­to dal­le aree metro­po­li­ta­ne in zone rura­li con un assot­ti­glia­men­to del­le sue fon­ti di red­di­to. Que­sta “clas­se ope­ra­ia” bian­ca, maschi­le, di età com­pre­sa fa i 40 e i 60 anni ha indi­riz­za­to il suo voto in pre­va­len­za sul can­di­da­to repub­bli­ca­no. Nel­la sola area indu­stria­le di Detroit, nel­la Way­ne Coun­try, Clin­ton ha per­so qua­si 80.000 voti in soli 4 anni, ma anche per effet­to del­la fuga dal­la cit­tà. In con­clu­sio­ne la vit­to­ria di Trump va let­ta prin­ci­pal­men­te come una ban­ca­rot­ta dell’élite demo­cra­ti­ca rap­pre­sen­ta­ta da Hil­la­ry Clin­ton che ha per­so più elet­to­ri del can­di­da­to repub­bli­ca­no in con­fron­to ai rispet­ti­vi can­di­da­ti del 2012. Addi­rit­tu­ra la can­di­da­ta demo­cra­ti­ca ha capi­ta­liz­za­to 10 milio­ni di voti in meno rispet­to all’Obama del 2008.

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