Note sul voto americano — prima parte

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Par­tia­mo dai dati. Qual­sia­si valu­ta­zio­ne di un feno­me­no socia­le deve basar­si su una pre­sa d’atto del­le dina­mi­che rea­li se vuo­le sfug­gi­re alla pre­va­len­za del­la com­po­nen­te emo­ti­va e sog­get­ti­vi­sta oggi lar­ga­men­te domi­nan­te. Pur nel­la con­sa­pe­vo­lez­za che il feno­me­no socia­le non è mai un even­to assi­mi­la­bi­le alla sfe­ra fisi­co-natu­ra­le. Uno sguar­do sui dati del­le ele­zio­ni Usa ci con­se­gna una real­tà che, quan­ti­ta­ti­va­men­te, non è quel­lo stra­vol­gi­men­to rap­pre­sen­ta­to del­la gran par­te dei media. La net­ta vit­to­ria di Trump si misu­ra nel nume­ro dei “gran­di elet­to­ri” che sono il risul­ta­to di un siste­ma elet­to­ra­le che sovra­di­men­sio­na il voto del­le cam­pa­gne e dei pic­co­li sta­ti. Al con­tra­rio l’onda media­ti­ca e la dif­fu­sio­ne del­la nar­ra­zio­ne trum­pia­na, con ogni pro­ba­bi­li­tà, sarà desti­na­ta ad ave­re effet­ti non tra­scu­ra­bi­le nel­la real­tà euro­pea.

La geo­gra­fia del voto. La fram­men­ta­zio­ne del­la socie­tà sta­tu­ni­ten­se ren­de non age­vo­le un’analisi accu­ra­ta del­la map­pa socia­le del­la distri­bu­zio­ne del voto pre­si­den­zia­le. Diver­sa la foto­gra­fia che si può rica­va­re dal­la ripar­ti­zio­ne spa­zia­le. Dal­la sca­la sta­to per sta­to si può desu­me­re che sono anda­ti a Clin­ton gli sta­ti loca­liz­za­ti nel­la costa del Paci­fi­co, nel vec­chio Nord-Est cioè nel New England del­la costa atlan­ti­ca. L’enorme spa­zio situa­to fra le due coste è tut­to “ros­so”, il colo­re del par­ti­to repub­bli­ca­no, con l’eccezione del Min­ne­so­ta, del Colo­ra­do, del Min­ne­so­ta e dell’Illinois. Le aree costie­re sono regio­ni con un alto red­di­to pro-capi­te, sede del­le più impor­tan­ti atti­vi­tà del ter­zia­rio avan­za­to e inter­na­zio­na­liz­za­to che com­pren­de la gran­de mega­lo­po­li atlan­ti­ca con i suoi più di 50 milio­ni di abi­tan­ti, qua­si l’equivalente del­la popo­la­zio­ne ita­lia­na. Si trat­ta di situa­zio­ni con un elet­to­ra­to in pos­ses­so di un livel­lo medio-alto di istru­zio­ne, ma anche con una mag­gio­re pre­sen­za del­le mino­ran­ze ispa­ni­che e afroa­me­ri­ca­ne.
Più inte­res­san­te, ai fini di un’analisi accu­ra­ta del­le ele­zio­ni, è l’osservazione del voto sud­di­vi­so per con­tee. Anche in que­sto caso la distri­bu­zio­ne è ben defi­ni­ta. Il voto demo­cra­ti­co si loca­liz­za nel­le gran­di metro­po­li con risul­ta­ti schiac­cian­ti, in diver­si casi supe­rio­ri al 70% e anche oltre. Que­ste iso­le di voto clin­to­nia­no sono cir­con­da­te dal mare trum­pia­no; cam­pa­gne e cen­tri medio pic­co­li sono anda­ti in gran par­te al par­ti­to repub­bli­ca­no. In sostan­za, dal pun­to di vista geo­gra­fi­co, i Repub­bli­ca­ni han­no rac­col­to voti pri­ma di tut­to nel­le pra­te­rie, nel­le pro­vin­ce agri­co­le e nel­le loro roc­ca­for­ti sto­ri­che del Sud. È l’immagine del­le cam­pa­gne che han­no asse­dia­to le “cit­ta­del­le”, avreb­be det­to Lin Piao. Era così anche nel­le pas­sa­te ele­zio­ni, sono cam­bia­ti sola­men­te i nume­ri. Nel­le gran­di metro­po­li l’egemonia cul­tu­ra­le, anche di tipo cosmo­po­li­ta, dei grup­pi domi­nan­ti è mol­to più mar­ca­ta. Nel­le “cam­pa­gne”, nei pic­co­li cen­tri, nel resto del pae­se, dove vivo­no comu­ni­tà più chiu­se, dove la den­si­tà del­la popo­la­zio­ne è poco ele­va­ta, è pre­va­len­te quel­lo che negli Usa va sot­to il nome di “ceto medio” che ha accu­mu­la­to una buo­na dose di ran­co­re con­tro i cam­bia­men­ti pro­dot­ti dall’intensificazione del mer­ca­to glo­ba­le. Inol­tre la cri­si, ini­zia­ta fra il 2007 e il 2008, ha aggra­va­to sia le con­di­zio­ni di vita del­le aree in decli­no indu­stria­le, sia la per­ce­zio­ne del­la minac­cia di sci­vo­la­men­to ver­so il bas­so e di ero­sio­ne dell’identità “ame­ri­ca­na”, in par­ti­co­la­re del­la con­so­li­da­ta supre­ma­zia WASP: Whi­te, Anglo-Saxon, Pro­te­stant  (gli sta­tu­ni­ten­si usa­no diret­ta­men­te l’a­cro­ni­mo WASP, che in ingle­se indi­ca anche la “vespa”), tra­dot­to in ita­lia­no con “Bian­co Anglo-Sas­so­ne Pro­te­stan­te.
La com­po­si­zio­ne socia­le del voto: un voto “di clas­se”? di qua­le clas­se? I dati gene­ra­li indi­ca­no un trend del­la par­te­ci­pa­zio­ne al voto in fles­sio­ne. In sostan­za nel 2008 ave­va­no par­te­ci­pa­to alle ele­zio­ni il 62,2% degli aven­ti dirit­to, nel 2012 il 58,6%, nel 2016 il voto si asse­sta sul 55,6%. Un calo che gli osser­va­to­ri attri­bui­sco­no all’astensione nel­la par­te­ci­pa­zio­ne demo­cra­ti­ca al voto. Infat­ti Clin­ton per­de cir­ca 6 milio­ni di voti nei con­fron­ti dell’ultima ele­zio­ne di Oba­ma. Anche Trump per­de 1,3 milio­ni di voti rispet­to all’opaco Rom­ney del 2012, insom­ma non pro­pria­men­te una valan­ga come è sta­to scrit­to. Clin­ton, nel voto com­ples­si­vo, ottie­ne cir­ca 200.000 voti in più di Trump (un nume­ro desti­na­to a cre­sce­re con i risul­ta­ti defi­ni­ti­vi), ma è net­ta­men­te per­den­te nel nume­ro dei “gran­di elet­to­ri, che si deter­mi­na­no sul­la base del siste­ma elet­to­ra­le USA che sovra-rap­pre­sen­ta elet­to­ral­men­te le zone rura­li. Come suc­ces­so già in pas­sa­to il nuo­vo pre­si­den­te è sta­to elet­to con i voti di cir­ca il 25% degli aven­ti dirit­to.
Il dato gene­ra­zio­na­le, di gene­re e dal pun­to di vista del­la com­po­si­zio­ne socia­le è sta­to rica­va­to dai risul­ta­ti di una inda­gi­ne con­dot­ta dal­la CNN, e da altre fon­ti che sono nel­la sostan­za con­cor­di. Non è la foto­gra­fia del­la real­tà, ma può esse­re indi­ca­ti­va di ten­den­ze rea­li. Gli elet­to­ra­ti dei Demo­cra­ti­ci e dei Repub­bli­ca­ni han­no un segno inter­clas­si­sta che si è mani­fe­sta­to con chia­rez­za anche in que­ste ele­zio­ni con degli spo­sta­men­ti che sono comun­que da indi­vi­dua­re per le indi­ca­zio­ni di ten­den­za che pos­so­no dare per la real­tà euro­pea. Pen­sa­re a un can­di­da­to pre­si­den­te Usa, come Trump, espres­sio­ne del­le “clas­si popo­la­ri”, come pure è sta­to fat­to nel­le pri­me rea­zio­ni, non ha un fon­da­men­to nei dati rea­li. Le fasce di red­di­to infe­rio­ri ai 50.000 dol­la­ri han­no espres­so una mag­gio­ran­za di pre­fe­ren­ze a Clin­ton, quel­le al di sopra di que­sta cifra si sono orien­ta­te ver­so Trump. Il dato da regi­stra­re è l’erosione del soste­gno che Clin­ton ha avu­to pres­so gio­va­ni, ispa­ni­ci e afroa­me­ri­ca­ni rispet­to al soste­gno otte­nu­to da Oba­ma. Il voto gio­va­ni­le per il can­di­da­to demo­cra­ti­co è pas­sa­to dal 60% al 55% dei votan­ti, quel­lo ispa­ni­co dal 71% al 65%, quel­lo afroa­me­ri­ca­no dal 96% all’88%. Da rimar­ca­re anche la mag­gio­re asten­sio­ne nel­le fasce di red­di­to più bas­se, par­ti­co­lar­men­te alta nel­la comu­ni­tà nera e nel­la popo­la­zio­ne gio­va­ne. Chi si col­lo­ca nel­le fasce socia­li meno abbien­ti ha par­te­ci­pa­to al voto in una per­cen­tua­le che si aggi­ra attor­no al 30% degli aven­ti dirit­to.
Soste­ne­re che Trump sia riu­sci­to a cala­mi­ta­re il con­sen­so del­le clas­si subal­ter­ne in rivol­ta con­tro il pote­re eco­no­mi­co-poli­ti­co, con­tro “l’élite”, vor­reb­be dire distor­ce­re la real­tà: Trump è riu­sci­to a spo­sta­re sul­la sua can­di­da­tu­ra un po’ di con­sen­so di que­sti seg­men­ti socia­li meglio di quan­to non abbia­no fat­to Bush, Mc Cain e Rom­ney. La par­ti­ta elet­to­ra­le Usa si gio­ca sul­la capa­ci­tà di mobi­li­ta­re l’elettorato bian­co, per un ovvio fat­to­re nume­ri­co. Gli uni­ci pre­si­den­ti demo­cra­ti­ci vin­cen­ti negli ulti­mi tre decen­ni sono sta­ti quel­li che han­no strap­pa­to elet­to­ri bian­chi ai loro avver­sa­ri (pur non con­qui­stan­do­ne mai la mag­gio­ran­za), così ave­va fat­to Barak Oba­ma, sia nel 2008, sia nel 2012. In sostan­za Trump si è con­fer­ma­to nel tra­di­zio­na­le elet­to­ra­to repub­bli­ca­no, riu­scen­do a ero­de­re alcu­ne posi­zio­ni con­qui­sta­te da Oba­ma, in par­ti­co­la­re nel­le fasce a red­di­to medio-bas­so. Non ci sono ele­men­ti per soste­ne­re che i gio­va­ni che han­no subi­to la cri­si, gli adul­ti che han­no già vis­su­to due decen­ni di pre­ca­riz­za­zio­ne abbia­no fir­ma­to una dele­ga a Trump. A que­sto si deve som­ma­re il distac­co asten­sio­ni­sti­co e l’o­sti­li­tà alla par­te­ci­pa­zio­ne elet­to­ra­le di gio­va­ni, comu­ni­tà ispa­ni­che, don­ne e mino­ran­za afroa­me­ri­ca­na. Trump è riu­sci­to a mobi­li­ta­re, oltre al tra­di­zio­na­le elet­to­ra­to repub­bli­ca­no, quei seg­men­ti medio-bas­si, soprat­tut­to di ceto-medio che ha per­so (o è minac­cia­to dal­la per­di­ta) le pas­sa­te sicu­rez­ze e le posi­zio­ni red­di­tua­li.
E la “clas­se ope­ra­ia” Usa il cui com­por­ta­men­to elet­to­ra­le ha fat­to par­la­re a mol­ti com­men­ta­to­ri di “voto di clas­se”? oggi la wor­king class ame­ri­ca­na rap­pre­sen­ta un seg­men­to esi­guo del tota­le del­la popo­la­zio­ne atti­va. I lavo­ra­to­ri e gli impie­ga­ti nel set­to­re mani­fat­tu­rie­ro si atte­sta­no sot­to il 10% del lavo­ro com­ples­si­vo, un dato che sale al 15% se aggiun­gia­mo i set­to­ri del­le costru­zio­ni, del­l’at­ti­vi­tà estrat­ti­va ed ener­ge­ti­ca. Dopo la cri­si del­la gran­de indu­stria, que­sto seg­men­to del lavo­ro si è spes­so tra­sfe­ri­to dal­le aree metro­po­li­ta­ne in zone rura­li con un assot­ti­glia­men­to del­le sue fon­ti di red­di­to. Que­sta “clas­se ope­ra­ia” bian­ca, maschi­le, di età com­pre­sa fa i 40 e i 60 anni ha indi­riz­za­to il suo voto in pre­va­len­za sul can­di­da­to repub­bli­ca­no. Nel­la sola area indu­stria­le di Detroit, nel­la Way­ne Coun­try, Clin­ton ha per­so qua­si 80.000 voti in soli 4 anni, ma anche per effet­to del­la fuga dal­la cit­tà. In con­clu­sio­ne la vit­to­ria di Trump va let­ta prin­ci­pal­men­te come una ban­ca­rot­ta dell’élite demo­cra­ti­ca rap­pre­sen­ta­ta da Hil­la­ry Clin­ton che ha per­so più elet­to­ri del can­di­da­to repub­bli­ca­no in con­fron­to ai rispet­ti­vi can­di­da­ti del 2012. Addi­rit­tu­ra la can­di­da­ta demo­cra­ti­ca ha capi­ta­liz­za­to 10 milio­ni di voti in meno rispet­to all’Obama del 2008.

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