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mercoledì, 20 Novembre 2024

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

Dino Barra, Via Padova, Una periferia milanese sotto il Regime fascista, 1926–1943

A due anni appe­na dall’uscita di Via Pado­va, Nasci­ta di una peri­fe­ria mila­ne­se, 1900–1926, Dino Bar­ra tor­na sull’argomento per redi­ge­re, sem­pre sot­to le inse­gne edi­to­ria­li Milieu, quel­lo che ne è di fat­to un secon­do volu­me: la trat­ta­zio­ne del­le vicen­de socia­li, poli­ti­che e civi­li dei quar­tie­ri a nor­de­st di Mila­no, tra il con­so­li­da­men­to del Regi­me fasci­sta e la sua fine.

Se lì si affron­ta­va la nasci­ta di quei quar­tie­ri attra­ver­so, prin­ci­pal­men­te, l’immigrazione di pros­si­mi­tà e l’inglobamento dei pic­co­li comu­ni rura­li del cir­con­da­rio, con il loro con­se­guen­te por­ta­to di insu­bor­di­na­zio­ne e sov­ver­si­vi­smo, più o meno coscien­ti, qui si pas­sa alla rela­zio­ne con le poli­ti­che di inter­ven­to del Fasci­smo.

Una rela­zio­ne dif­fi­ci­le e con­trad­dit­to­ria. Il movi­men­to fasci­sta ave­va con­qui­sta­to il Pae­se manu mili­ta­ri, pez­zo per pez­zo, disin­te­gran­do il tes­su­to socia­le, eco­no­mi­co ed ammi­ni­stra­ti­vo crea­to dal movi­men­to ope­ra­io, onde sot­trar­gli agi­bi­li­tà e con­sen­so. Lo ave­va fat­to attra­ver­so una guer­ra di movi­men­to sostan­zial­men­te moti­va­ta dal fat­to che non aves­se con­sen­so pre­gres­so sul ter­ri­to­rio e che potes­se con­ta­re sul sov­ven­zio­na­men­to dei ceti pro­prie­ta­ri e sul­la pas­si­vi­tà, il più del­le vol­te com­pli­ci­tà, degli orga­ni­smi di poli­zia. Ele­men­ti non da poco, volen­do esse­re eufe­mi­sti­ci, ai fini del suc­ces­so dell’impresa.

Con­qui­sta­ti e sot­to­mes­si i ter­ri­to­ri, ora occor­re­va crear­vi appun­to il con­sen­so, in pri­mo luo­go debel­lan­do la memo­ria, ormai decen­na­le, di ciò che era sta­to, di quel­le reti di soli­da­rie­tà e coo­pe­ra­zio­ne intes­su­te dal­la clas­se ope­ra­ia e di tut­te le loro pos­si­bi­li rica­du­te sul­la vita quo­ti­dia­na del­le popo­la­zio­ni.

È, chia­ra­men­te, un pro­ces­so che riguar­da tut­ta l’Italia. Ci sono le ammo­ni­zio­ni, il car­ce­re, il con­fi­no, come misu­re stret­ta­men­te repres­si­ve, ma nes­sun siste­ma poli­ti­co moder­no può reg­ger­si sul­la sola coer­ci­zio­ne. Ser­vo­no prov­ve­di­men­ti atti ad avvan­tag­gia­re la cit­ta­di­nan­za per con­qui­star­la, o comun­que, omo­lo­gar­la ad un dato siste­ma. Sman­tel­la­te le strut­tu­re del movi­men­to ope­ra­io, in par­ti­co­la­re quel­le poli­ti­che, le Case del popo­lo, quel­le sin­da­ca­li, le Came­re del lavo­ro, e le varie enti­tà di tipo mutua­li­sti­co, assi­sten­zia­le e ricrea­ti­vo, occor­re sop­pe­ri­re ad esse crean­do strut­tu­re il più pos­si­bi­le ana­lo­ghe nel­le fun­zio­ni mutan­do, va da sé, le for­me di teno­re poli­ti­co.

Così, anche nel­la peri­fe­ria nor­de­st di Mila­no, si cam­bia­no i nomi del­le vie, per inte­star­li ai cadu­ti fasci­sti, o comun­que per mano dei “ros­si”, par­ti­co­lar­men­te duran­te il Bien­nio nero del 1921–22, si affig­go­no tar­ghe, si eri­go­no monu­men­ti in tal sen­so e si inse­dia­no isti­tu­ti di Regi­me, come l’Opera nazio­na­le dopo­la­vo­ro, l’Opera nazio­na­le mater­ni­tà ed infan­zia e, soprat­tut­to, i Grup­pi rio­na­li fasci­sti, che, con il loro “sin­da­ca­li­smo di quar­tie­re”, rap­pre­sen­ta­no le sedi che più da vici­no ricor­da­no le Case del popo­lo. Que­sto inqua­dra­men­to del­la socie­tà, se si vuo­le, dal bas­so, si sareb­be, for­se, rive­la­to più con­tro­pro­du­cen­te che altro. I ceti subal­ter­ni, diso­rien­ta­ti dal­la scom­par­sa di quel­le che era­no ormai le loro isti­tu­zio­ni di rife­ri­men­to, un po’ per ras­se­gna­zio­ne, un po’ per con­ven­zio­ne e un po’, mol­to in vero, per neces­si­tà, abdi­ca­no al loro pro­ver­bia­le sov­ver­si­vi­smo e si ade­gua­no gros­so­mo­do al nuo­vo ambien­te ma ciò non signi­fi­ca che la loro ani­ma e la loro essen­za pro­fon­da sia­no con­qui­sta­te in via defi­ni­ti­va.

Il fasci­smo mila­ne­se avver­te par­ti­co­lar­men­te il pro­ble­ma. E pro­prio a Mila­no, dove del resto il fasci­smo era nato, c’è a pro­po­si­to una cor­ren­te det­ta del giam­pao­li­smo, dal nome di Mario Giam­pao­li. Que­sti, già acces­so sov­ver­si­vo di ori­gi­ne cor­ri­do­nia­na – deam­bri­sia­na, e quin­di inter­ven­ti­sta rivo­lu­zio­na­ria, era sta­to tra i fon­da­to­ri dei Fasci ita­lia­ni di com­bat­ti­men­to e diri­gen­te del Fascio mila­ne­se, sen­za però voler rinun­cia­re alle istan­ze san­se­pol­cri­ste del­la pri­ma ora che, per il fasci­smo che con­so­li­da­va il pro­prio pote­re, non era­no ormai che un pal­li­do ricor­do. Figu­ra però tutt’altro che spec­chia­ta, Giam­pao­li avreb­be pas­sa­to tut­to il Ven­ten­nio tra emar­gi­na­zio­ne e perio­di­che rein­te­gra­zio­ni, sino a risul­ta­re disper­so nel­la Repub­bli­ca di Salò. Il Giam­pao­li­smo, feno­me­no ascri­vi­bi­le alla Sini­stra fasci­sta, ave­va fat­to pro­prio a Mila­no un ten­ta­ti­vo, per varie ed ovvie ragio­ni ste­ri­le, di affer­ma­re i suoi pro­po­si­ti.

Venia­mo quin­di al ter­ri­to­rio di per­ti­nen­za spe­ci­fi­ca del­la pub­bli­ca­zio­ne. In gene­ra­le Mila­no non subi­sce le inva­si­ve ristrut­tu­ra­zio­ni urba­ni­sti­che, ed archi­tet­to­ni­che, che toc­ca­no, ad esem­pio, la Capi­ta­le. L’intervento in tal sen­so è più limi­ta­to. Le pro­ble­ma­ti­che socia­li ed abi­ta­ti­ve del­la sua peri­fe­ria riman­go­no pres­so­ché inal­te­ra­te e a poco ser­vo­no gli inter­ven­ti assi­sten­zia­li e cari­ta­te­vo­li del Regi­me. La con­ti­nua immi­gra­zio­ne vani­fi­ca le poli­ti­che a favo­re del­la rura­li­tà e con­tro l’inurbamento del Fasci­smo: i quar­tie­ri peri­fe­ri­ci sono sem­pre più affol­la­ti e le loro abi­ta­zio­ni sem­pre fati­scen­ti. Non si arre­sta cer­to il pro­ces­so d’industrializzazione, con la vici­na Sesto San Gio­van­ni e le varie real­tà pro­dut­ti­ve che qui si sta­bi­li­sco­no o si con­so­li­da­no, con quei mar­chi che poi, soprat­tut­to con il boom eco­no­mi­co, sareb­be­ro entra­ti in tut­te le case ita­lia­ne.

Accan­to, però, all’industrializzazione, per­si­ste nel nor­de­st mila­ne­se uno spac­ca­to socia­le ed antro­po­lo­gi­co a carat­te­re paleoin­du­stria­le dato pro­prio dall’immigrazione, soprat­tut­to puglie­se, che si reca a Mila­no in cer­ca di for­tu­na e si sta­bi­li­sce in que­sti quar­tie­ri. Essa non sem­pre rie­sce ad entra­re in fab­bri­ca, anzi, volen­te o nolen­te, ne resta spes­so fuo­ri, si dedi­ca il più del­le vol­te al com­mer­cio ambu­lan­te o, in secon­da istan­za, alla pic­co­la cri­mi­na­li­tà e agli espe­dien­ti. Su que­sta uma­ni­tà si sof­fer­ma par­ti­co­lar­men­te la trat­ta­zio­ne del sag­gio, per­ché, rispet­to alla figu­ra più inqua­dra­ta dell’operaio di fab­bri­ca, con­ser­va mag­gior­men­te i segni dell’insubordinazione e del­la ribel­lio­ne, maga­ri pre – poli­ti­ca.

L’Autore, come per il pre­ce­den­te lavo­ro, si basa prin­ci­pal­men­te sul­la docu­men­ta­zio­ne d’archivio, inte­gra­ta con una biblio­gra­fia sull’argomento, risor­se on line e fon­ti a stam­pa, segna­ta­men­te quel­la loca­le fasci­sta, così come quel­la clan­de­sti­na anti­fa­sci­sta. Non man­ca un cor­po­so quan­to espli­ca­ti­vo appa­ra­to foto­gra­fi­co con imma­gi­ni d’epoca, ritrat­ti e ripro­du­zio­ni di docu­men­ti.

In ambi­to archi­vi­sti­co, tro­via­mo nuo­va­men­te un ampio ricor­so al Casel­la­rio poli­ti­co cen­tra­le: la prin­ci­pa­le risor­sa per cono­sce­re le vicen­de uma­ne ine­ren­ti l’opposizione poli­ti­ca dal perio­do postu­ni­ta­rio. Il capi­to­lo fina­le è infat­ti dedi­ca­to pro­prio ai pro­fi­li dei per­so­nag­gi anti­fa­sci­sti men­zio­na­ti nel testo. Per­so­ne di popo­lo che sot­to il Regi­me fasci­sta avreb­be­ro nel­la qua­si tota­li­tà ade­ri­to al Par­ti­to comu­ni­sta d’Italia, a disca­pi­to del­le pre­ce­den­ti cul­tu­re poli­ti­che di pro­ve­nien­za. Per­so­ne, con tan­to di foto segna­le­ti­ca, che sareb­be­ro incap­pa­te nel­le con­tro­mi­su­re repres­si­ve, alcu­ne rinun­cian­do ai pro­pri prin­cì­pi, altre inve­ce espa­trian­do o strin­gen­do i den­ti fino alla fine. Alcu­ne avreb­be­ro fat­to la Resi­sten­za, lascian­do­ci la vita, anche nei cam­pi di ster­mi­nio, altre sareb­be­ro soprav­vis­su­te veden­do nasce­re la Repub­bli­ca ita­lia­na e, maga­ri, viven­do­la per qual­che decen­nio.

Sil­vio Anto­ni­ni

Dino Bar­ra, Via Pado­va, Una peri­fe­ria mila­ne­se sot­to il Regi­me fasci­sta, 1926–1943, Mila­no, Milieu, 2024, pp. 271, € 16,90.

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