A due anni appena dall’uscita di Via Padova, Nascita di una periferia milanese, 1900–1926, Dino Barra torna sull’argomento per redigere, sempre sotto le insegne editoriali Milieu, quello che ne è di fatto un secondo volume: la trattazione delle vicende sociali, politiche e civili dei quartieri a nordest di Milano, tra il consolidamento del Regime fascista e la sua fine.
Se lì si affrontava la nascita di quei quartieri attraverso, principalmente, l’immigrazione di prossimità e l’inglobamento dei piccoli comuni rurali del circondario, con il loro conseguente portato di insubordinazione e sovversivismo, più o meno coscienti, qui si passa alla relazione con le politiche di intervento del Fascismo.
Una relazione difficile e contraddittoria. Il movimento fascista aveva conquistato il Paese manu militari, pezzo per pezzo, disintegrando il tessuto sociale, economico ed amministrativo creato dal movimento operaio, onde sottrargli agibilità e consenso. Lo aveva fatto attraverso una guerra di movimento sostanzialmente motivata dal fatto che non avesse consenso pregresso sul territorio e che potesse contare sul sovvenzionamento dei ceti proprietari e sulla passività, il più delle volte complicità, degli organismi di polizia. Elementi non da poco, volendo essere eufemistici, ai fini del successo dell’impresa.
Conquistati e sottomessi i territori, ora occorreva crearvi appunto il consenso, in primo luogo debellando la memoria, ormai decennale, di ciò che era stato, di quelle reti di solidarietà e cooperazione intessute dalla classe operaia e di tutte le loro possibili ricadute sulla vita quotidiana delle popolazioni.
È, chiaramente, un processo che riguarda tutta l’Italia. Ci sono le ammonizioni, il carcere, il confino, come misure strettamente repressive, ma nessun sistema politico moderno può reggersi sulla sola coercizione. Servono provvedimenti atti ad avvantaggiare la cittadinanza per conquistarla, o comunque, omologarla ad un dato sistema. Smantellate le strutture del movimento operaio, in particolare quelle politiche, le Case del popolo, quelle sindacali, le Camere del lavoro, e le varie entità di tipo mutualistico, assistenziale e ricreativo, occorre sopperire ad esse creando strutture il più possibile analoghe nelle funzioni mutando, va da sé, le forme di tenore politico.
Così, anche nella periferia nordest di Milano, si cambiano i nomi delle vie, per intestarli ai caduti fascisti, o comunque per mano dei “rossi”, particolarmente durante il Biennio nero del 1921–22, si affiggono targhe, si erigono monumenti in tal senso e si insediano istituti di Regime, come l’Opera nazionale dopolavoro, l’Opera nazionale maternità ed infanzia e, soprattutto, i Gruppi rionali fascisti, che, con il loro “sindacalismo di quartiere”, rappresentano le sedi che più da vicino ricordano le Case del popolo. Questo inquadramento della società, se si vuole, dal basso, si sarebbe, forse, rivelato più controproducente che altro. I ceti subalterni, disorientati dalla scomparsa di quelle che erano ormai le loro istituzioni di riferimento, un po’ per rassegnazione, un po’ per convenzione e un po’, molto in vero, per necessità, abdicano al loro proverbiale sovversivismo e si adeguano grossomodo al nuovo ambiente ma ciò non significa che la loro anima e la loro essenza profonda siano conquistate in via definitiva.
Il fascismo milanese avverte particolarmente il problema. E proprio a Milano, dove del resto il fascismo era nato, c’è a proposito una corrente detta del giampaolismo, dal nome di Mario Giampaoli. Questi, già accesso sovversivo di origine corridoniana – deambrisiana, e quindi interventista rivoluzionaria, era stato tra i fondatori dei Fasci italiani di combattimento e dirigente del Fascio milanese, senza però voler rinunciare alle istanze sansepolcriste della prima ora che, per il fascismo che consolidava il proprio potere, non erano ormai che un pallido ricordo. Figura però tutt’altro che specchiata, Giampaoli avrebbe passato tutto il Ventennio tra emarginazione e periodiche reintegrazioni, sino a risultare disperso nella Repubblica di Salò. Il Giampaolismo, fenomeno ascrivibile alla Sinistra fascista, aveva fatto proprio a Milano un tentativo, per varie ed ovvie ragioni sterile, di affermare i suoi propositi.
Veniamo quindi al territorio di pertinenza specifica della pubblicazione. In generale Milano non subisce le invasive ristrutturazioni urbanistiche, ed architettoniche, che toccano, ad esempio, la Capitale. L’intervento in tal senso è più limitato. Le problematiche sociali ed abitative della sua periferia rimangono pressoché inalterate e a poco servono gli interventi assistenziali e caritatevoli del Regime. La continua immigrazione vanifica le politiche a favore della ruralità e contro l’inurbamento del Fascismo: i quartieri periferici sono sempre più affollati e le loro abitazioni sempre fatiscenti. Non si arresta certo il processo d’industrializzazione, con la vicina Sesto San Giovanni e le varie realtà produttive che qui si stabiliscono o si consolidano, con quei marchi che poi, soprattutto con il boom economico, sarebbero entrati in tutte le case italiane.
Accanto, però, all’industrializzazione, persiste nel nordest milanese uno spaccato sociale ed antropologico a carattere paleoindustriale dato proprio dall’immigrazione, soprattutto pugliese, che si reca a Milano in cerca di fortuna e si stabilisce in questi quartieri. Essa non sempre riesce ad entrare in fabbrica, anzi, volente o nolente, ne resta spesso fuori, si dedica il più delle volte al commercio ambulante o, in seconda istanza, alla piccola criminalità e agli espedienti. Su questa umanità si sofferma particolarmente la trattazione del saggio, perché, rispetto alla figura più inquadrata dell’operaio di fabbrica, conserva maggiormente i segni dell’insubordinazione e della ribellione, magari pre – politica.
L’Autore, come per il precedente lavoro, si basa principalmente sulla documentazione d’archivio, integrata con una bibliografia sull’argomento, risorse on line e fonti a stampa, segnatamente quella locale fascista, così come quella clandestina antifascista. Non manca un corposo quanto esplicativo apparato fotografico con immagini d’epoca, ritratti e riproduzioni di documenti.
In ambito archivistico, troviamo nuovamente un ampio ricorso al Casellario politico centrale: la principale risorsa per conoscere le vicende umane inerenti l’opposizione politica dal periodo postunitario. Il capitolo finale è infatti dedicato proprio ai profili dei personaggi antifascisti menzionati nel testo. Persone di popolo che sotto il Regime fascista avrebbero nella quasi totalità aderito al Partito comunista d’Italia, a discapito delle precedenti culture politiche di provenienza. Persone, con tanto di foto segnaletica, che sarebbero incappate nelle contromisure repressive, alcune rinunciando ai propri princìpi, altre invece espatriando o stringendo i denti fino alla fine. Alcune avrebbero fatto la Resistenza, lasciandoci la vita, anche nei campi di sterminio, altre sarebbero sopravvissute vedendo nascere la Repubblica italiana e, magari, vivendola per qualche decennio.
Silvio Antonini
Dino Barra, Via Padova, Una periferia milanese sotto il Regime fascista, 1926–1943, Milano, Milieu, 2024, pp. 271, € 16,90.