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mercoledì, 30 Luglio 2025

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

Graziano Giusti, Antifascismo e lotta di classe nella Resistenza

Mila­no, Ten­den­za inter­na­zio­na­li­sta rivo­lu­zio­na­ria, Asso­cia­zio­ne Egua­glian­za e soli­da­rie­tà, 2024, pp. 216, € 10.00

L’interesse per l’argomento in ogget­to a que­sto volu­me ha avu­to nell’Italia repub­bli­ca­na for­tu­ne alter­ne, in base al muta­re del­le con­di­zio­ni poli­ti­che e cul­tu­ra­li del Pae­se. Non in sé il con­cet­to gene­ri­co di Resi­sten­za tra­di­ta, che potreb­be con­tem­pla­re anche la sola rimo­stran­za per cui non sia­no sta­ti rea­liz­za­ti a pie­no i prin­cì­pi del­la Costi­tu­zio­ne oppu­re che non sia sta­ta com­piu­ta l’epurazione negli orga­ni­smi del­lo Sta­to etc. No, qui si scri­ve di quel­le for­ze che, in un modo o nell’altro, con diver­se pecu­lia­ri­tà e diver­se rica­du­te sul­le scel­te con­cre­te, duran­te la Lot­ta par­ti­gia­na si pose­ro il pro­ble­ma dell’immediata tra­sfor­ma­zio­ne socia­le, poli­ti­ca ed isti­tu­zio­na­le dell’Italia, da non rin­via­re ad un tem­po inde­fi­ni­to a segui­to del­la fine del­la Secon­da guer­ra mon­dia­le, come inve­ce soste­ne­va­no il Pci e, con mol­ti più tra­va­gli a livel­lo diri­gen­zia­le, il Psiup. Un ampio spet­tro di for­ma­zio­ni poli­ti­che, in pre­va­len­za cer­to di orien­ta­men­to comu­ni­sta ma che com­pren­de anche istan­ze socia­li­ste, anar­chi­che, fino a quel­le repub­bli­ca­ne – azio­ni­ste. Tut­te ani­ma­te comun­que dal desi­de­rio di risol­ve­re al momen­to la que­stio­ne socia­le, sem­pre riman­da­ta dall’Unità nazio­na­le, con una solu­zio­ne clas­si­sta e che per­ciò ope­ra­ro­no o diret­ta­men­te fuo­ri dal Cln oppu­re mani­fe­stan­do insof­fe­ren­za al suo inter­no. Un affla­to dif­fu­so usci­to però scon­fit­to dal­la ride­fi­ni­zio­ne degli asset­ti, inter­na­zio­na­li e nazio­na­li, del Secon­do dopo­guer­ra e dall’avvio del­la con­trap­po­si­zio­ne dei bloc­chi, dinan­zi ai qua­li, del resto, mol­te cul­tu­re poli­ti­che scor­se­ro l’inizio del pro­prio tra­mon­to. Un affla­to che, rima­sto nel sot­to­suo­lo del­le ela­bo­ra­zio­ni teo­ri­co – poli­ti­che, sareb­be rie­mer­so con l’avanzare del­la Nuo­va sini­stra, non sen­za un bel cari­co di equi­vo­ci e frain­ten­di­men­ti: si pen­si sol­tan­to alle Bri­ga­te ros­se che, ini­zial­men­te, vole­va­no chia­mar­si Bri­ga­te Gari­bal­di in omag­gio al par­ti­gia­na­to Pci, evi­den­te­men­te inte­so come strut­tu­ral­men­te rivo­lu­zio­na­rio. Scar­ta­ro­no l’ipotesi solo per­ché il riman­do all’Eroe dei due mon­di avreb­be sapu­to trop­po di popu­li­smo pic­co­lo bor­ghe­se. A segui­to del riflus­so, la cosa sareb­be rima­sta lì, con una trat­ta­zio­ne spo­ra­di­ca ed occa­sio­na­le, tut­ta­via soprav­vi­ven­do sino ai gior­ni nostri.

I gior­ni nostri, appun­to. La mono­gra­fia esce, e lo si scri­ve, nel pie­no del Gover­no Melo­ni, dove cioè la Pre­si­den­za del con­si­glio dei mini­stri è rico­per­ta, per la pri­ma vol­ta nel­la sto­ria, da un’esponente diret­ta­men­te pro­ve­nien­te dall’Msi, anche se per ragio­ni ana­gra­fi­che più dal­la sua gio­va­ni­le, il Fron­te del­la gio­ven­tù, soli­ta­men­te più a destra del par­ti­to neo­fa­sci­sta stes­so. L’Antifascismo, qui gene­ri­ca­men­te inte­so, ha recu­pe­ra­to quin­di una sua cen­tra­li­tà nel dibat­ti­to poli­ti­co, rispet­to anche solo a qual­che anno, ormai decen­nio, addie­tro, quan­do real­men­te veni­va­no fat­ti i dan­ni, tut­ti imman­ca­bil­men­te bipar­ti­san, in ter­mi­ni di memo­ria isti­tu­zio­na­liz­za­ta. Un’epoca il cui cul­mi­ne è sicu­ra­men­te rap­pre­sen­ta­to dal­la Leg­ge sul Gior­no del ricor­do (2004), anche se il pro­ces­so si è tutt’altro che esau­ri­to.

Ad ora si guar­da­no per­ciò le vir­go­le nei post sui social, si ana­liz­za se quel salu­to sia roma­no o meno, sen­za un mini­mo di trat­ta­zio­ne strut­tu­ra­le seria sul­la socie­tà. Diven­ta così dif­fi­ci­le por­re la que­stio­ne sto­ri­ca sul­la com­po­si­zio­ne ete­ro­ge­nea del­la Resi­sten­za che va inte­sa come fat­to uni­ta­rio nazio­na­le di tut­te le ten­den­ze par­ti­ti­che nel­la comu­ne lot­ta con­tro l’invasore stra­nie­ro ed il col­la­bo­ra­to­re (ele­men­to, benin­te­so, del tut­to pre­sen­te nei moti par­ti­gia­ni). Get­ta­re sul tavo­lo le vicis­si­tu­di­ni qui resti­tui­te potreb­be gene­ra­re un peri­co­lo­so cor­to­cir­cui­to. Meglio lasciar sta­re: alla fine l’uso del­la sto­ria deve resta­re poli­ti­co, sul­le esi­gen­ze del pre­sen­te. Dif­fi­ci­le che i temi qui affron­ta­ti tro­vi­no infat­ti agio nel­le isti­tu­zio­ni, nel­le fon­da­zio­ni e negli isti­tu­ti cul­tu­ra­li, e gli sto­ri­ci che ne sono espres­sio­ne, se san­no, per­lo­più si auto­cen­su­ra­no. Eppu­re si trat­ta di ele­men­ti sto­rio­gra­fi­ca­men­te inne­ga­bi­li.

Ad edi­ta­re que­sto volu­me è la Ten­den­za inter­na­zio­na­li­sta rivo­lu­zio­na­ria, che ha già un cata­lo­go di tut­to rispet­to per la sto­ria del movi­men­to ope­ra­io. L’Autore, Gra­zia­no Giu­sti, ini­zia la disa­mi­na par­ten­do ovvia­men­te dal 1943, dall’inizio del­le agi­ta­zio­ni ope­ra­ie con­tro la guer­ra, quan­do, qua e là, a mac­chia di leo­par­do, si fan­no lar­go quel­le real­tà comu­ni­ste che ora anda­va­no assu­men­do l’aggettivazione di, appun­to, inter­na­zio­na­li­ste, nel rifiu­to del­la col­la­bo­ra­zio­ne di clas­se e di quel­le che si sareb­be­ro defi­ni­te vie nazio­na­li al socia­li­smo, e ne segue l’iter sino alla fine degli even­ti bel­li­ci e l’inizio del­la Rico­stru­zio­ne. Gran­de impor­tan­za è a tal pro­po­si­to data al Movi­men­to comu­ni­sta d’Italia – Ban­die­ra ros­sa, seb­be­ne non ascri­vi­bi­le a pie­no a quell’internazionalismo.

Il lavo­ro è più di teno­re, per così dire, poli­to­lo­gi­co che sto­rio­gra­fi­co: non ci sono infat­ti fon­ti d’archivio e le risor­se sono di tipo biblio­gra­fi­co, di cui alcu­ne on line. Que­sto può rap­pre­sen­ta­re un limi­te in ter­mi­ni di avan­za­men­to degli stu­di e del­le ricer­che, poi­ché, anche se in modo non dolo­so, si pos­so­no ripro­dur­re impre­ci­sio­ni ed ine­sat­tez­ze, più o meno impor­tan­ti, dal­le pro­du­zio­ni pre­gres­se. E in que­sto testo difat­ti se ne riscon­tra­no, seb­be­ne non a livel­li diri­men­ti per l’economia del discor­so.

Si pren­da ad esem­pio il caso del Lazio. In rela­zio­ne pro­prio a Ban­die­ra ros­sa, a p. 108 si scri­ve: “La Ban­da del Cimi­no, nota per i suoi col­pi di mano, è orga­niz­za­ta dai comu­ni­sti Man­lio Gel­so­mi­ni e Maria­no Burat­ti” (la fon­te spe­ci­fi­ca dell’informazione non è cita­ta). La ban­da, che, a segui­to del Mar­ti­rio di Maria­no Burat­ti, ne avreb­be assun­to il nome, non ave­va lega­mi strut­tu­ra­li con Ban­die­ra ros­sa, per quan­to non si pos­sa­no esclu­de­re con­tat­ti. Burat­ti era del Par­ti­to d’azione; né lui né Gel­so­mi­ni, del Rag­grup­pa­men­to mon­te Sorat­te, Mar­ti­re del­le Ardea­ti­ne, era­no comu­ni­sti.

Riguar­do, inve­ce, a Cele­sti­no Avi­co e al grup­po Arma­ta ros­sa roma­na, si riflet­to­no, in più par­ti, alcu­ni equi­vo­ci. Arma­ta ros­sa, di cui Avi­co era a capo, non era il brac­cio mili­ta­re di Ban­die­ra ros­sa, in quan­to face­va rife­ri­men­to al Pci. Solo dopo la Libe­ra­zio­ne di Roma, nel ten­ta­ti­vo di pro­se­gui­re la Lot­ta resi­sten­zia­le in sen­so rivo­lu­zio­na­rio, essa si sgan­ciò dal­le diret­ti­ve Pci e costi­tuì, assie­me prin­ci­pal­men­te a Ban­die­ra ros­sa, il Coman­do mili­ta­re uni­fi­ca­to Arma­ta ros­sa, di bre­vis­si­ma quan­to tra­va­glia­ta dura­ta, indi­can­do in fine la con­fluen­za nel Pci stes­so, di cui Avi­co sareb­be diven­ta­to diri­gen­te loca­le. A tal pro­po­si­to, potreb­be veni­re in soc­cor­so il sag­gio di Mar­co Tra­scia­ni, usci­to quan­do que­sto lavo­ro era pre­su­mi­bil­men­te anco­ra in ste­su­ra, Una resi­sten­za popo­la­re (Odra­dek, 2024), dove gli orga­ni­gram­mi di Ban­die­ra ros­sa sono esa­mi­na­ti attra­ver­so il fon­do archi­vi­sti­co Ricom­part.

C’è poi, sem­pre a pro­po­si­to di lavo­ri usci­ti subi­to dopo di que­sto, da segna­la­re la resti­tu­zio­ne del­la figu­ra di Car­lo Andreo­ni, già in pri­ma bat­tu­ta, a p. 58, defi­ni­to “avven­tu­rie­ro”, con la ripro­po­si­zio­ne a segui­re di altre infor­ma­zio­ni erra­te sul­la per­so­na, come la con­fu­sio­ne del con­tro­ver­so foglio atten­di­sta cir­co­la­to duran­te l’occupazione nazi­fa­sci­sta di Roma, “Spar­ta­co”, con l’Unione Spar­ta­co, fon­da­ta inve­ce da Andreo­ni nel dicem­bre 1944. Urge qui la let­tu­ra del­la monu­men­ta­le bio­gra­fia di recen­te usci­ta, ad ope­ra di Fabri­zio R. Ama­ti, Anti­to­ta­li­ta­rio (Mime­sis, 2024), anche per trat­ta­re appro­fon­di­ta­men­te i momen­ti di inquie­tu­di­ne e di insu­bor­di­na­zio­ne del par­ti­gia­na­to avu­ti­si dopo la Libe­ra­zio­ne e qui affron­ta­ti in appen­di­ce, come il caso del Movi­men­to di resi­sten­za par­ti­gia­na, che vide a capo pro­prio Andreo­ni.

In linea gene­ra­le va comun­que con­tem­pla­to che, indi­pen­den­te­men­te dall’approccio sog­get­ti­vo, lo stu­dio del­le real­tà poli­ti­che e mili­ta­ri atti­ve nel­la Resi­sten­za si pre­sen­ta come una matas­sa assai più com­pli­ca­ta da sbro­glia­re di quan­to si pen­si. Un insie­me di nomi e sigle cui non è raro sia dif­fi­ci­le veni­re a capo e com­pren­de­re a pie­no il por­ta­to. Anche qui, il pas­sa­to non è linea­re, al con­tra­rio di come si sia spes­so natu­ral­men­te por­ta­ti a cre­de­re. Si aggiun­ga che nel perio­do in ogget­to ci fu, nono­stan­te tut­ti gli impe­di­men­ti, anche il ten­ta­ti­vo di coin­vol­ge­re nel pro­get­to del­la Repub­bli­ca socia­le ita­lia­na que­gli ele­men­ti, soprat­tut­to repub­bli­ca­ni e socia­li­sti, in gene­ra­le cri­ti­ci con l’Urss e gli Allea­ti. L’invito fu, per ovvie ragio­ni, qua­si total­men­te decli­na­to ma non tut­ti i con­tat­ti anda­ro­no a vuo­to per i repub­bli­chi­ni.

Uscen­do poi dall’ambito del­le infor­ma­zio­ni sto­ri­che per adden­trar­si in quel­lo del dibat­ti­to, c’è un pas­sag­gio a paven­ta­re come le posi­zio­ni intran­si­gen­ti e rivo­lu­zio­na­rie pos­sa­no, cer­to incon­sa­pe­vol­men­te, cor­re­re il rischio d’incappare in sti­le­mi cari inve­ce alla rea­zio­ne. Il rife­ri­men­to spe­ci­fi­co è a Tito, per cui “il con­nu­bio tra nazio­na­li­smo e clas­si­smo, soste­nu­to da quest’ultimo, non ter­rà alla pro­va dei fat­ti, facen­do ben pre­sto emer­ge­re la pri­ma com­po­nen­te” (p. 135). Ora, si può dis­ser­ta­re sull’aderenza o meno di Tito al clas­si­smo e alla dot­tri­na ma l’Esercito popo­la­re di libe­ra­zio­ne jugo­sla­vo (Eplj), cui era a capo, era un eser­ci­to mul­tiet­ni­co, com­po­sto da tut­te le nazio­na­li­tà pre­sen­ti sul suo­lo bal­ca­ni­co, com­pre­sa quel­la ita­lia­na, uni­te nel­la comu­ne lot­ta con­tro il nazi­fa­sci­smo, che inve­ce pun­ta­va sull’odio etni­co. Sal­vo non si inten­da per nazio­na­li­smo l’opposizione al Comin­form di Sta­lin, che effet­ti­va­men­te avreb­be mos­so accu­se, pure alquan­to pesan­ti, di que­sto tipo, si dovreb­be par­la­re sem­mai di “jugo­sla­vi­smo”.

Scrit­ti que­sti rilie­vi, l’opera man­tie­ne una sua vali­di­tà strut­tu­ra­le. L’Autore si muo­ve indub­bia­men­te con one­stà, sen­za mai sci­vo­la­re sul ter­re­no del­la pro­vo­ca­zio­ne: cir­co­stan­za che in sag­gi di que­sto teno­re non è neces­sa­ria­men­te scon­ta­ta (ci sareb­be qual­co­sa da opi­na­re a riguar­do per alcu­ni pas­sag­gi in appen­di­ce ma va qui con­si­de­ra­to il testo). Alla Resi­sten­za, com­ples­si­va­men­te inte­sa, è dato il dovu­to rico­no­sci­men­to: com­bat­te­re con­tro i nazi­sti ed i loro col­la­bo­ra­to­ri, sen­za aspet­ta­re rivo­lu­zio­ni astrat­te, era giu­sto e neces­sa­rio. E per quan­to la posi­zio­ne dell’Autore sia ovvia­men­te chia­ra, non vi sono mani­fe­sta­zio­ni di fazio­si­tà di sor­ta: alla fine, in effet­ti, più che asser­ti­vi­tà si coglie pro­ble­ma­tiz­za­zio­ne.

Posta in ter­mi­ni bana­li, la doman­da è: si pote­va fare la rivo­lu­zio­ne? Una rivo­lu­zio­ne da inten­der­si in sen­so mar­xi­sta e leni­ni­sta, di pre­sa del pote­re poli­ti­co e mili­ta­re e ribal­ta­men­to dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne. La let­te­ra­tu­ra a riguar­do è ster­mi­na­ta e, non dispo­nen­do del­la cosid­det­ta pro­va con­tro­fat­tua­le, dal pun­to di vista stret­ta­men­te sto­rio­gra­fi­co si può solo con­sta­ta­re che quel­la rivo­lu­zio­ne da noi non ci sia sta­ta, né i comu­ni­sti han­no in qual­che modo con­qui­sta­to la lea­der­ship dei fron­ti par­ti­gia­ni, come in, appun­to, Jugo­sla­via ed Alba­nia o, dal Dopo­guer­ra, dei movi­men­ti di libe­ra­zio­ne nazio­na­le dal colo­nia­li­smo, a par­ti­re dal­la Cina.

Giu­sti, com­pien­do un’analisi di clas­se sia del­la Lot­ta par­ti­gia­na sia dell’internamento dei mili­ta­ri ita­lia­ni e del­la reni­ten­za alla leva, nota come in lar­ga pre­va­len­za l’attività resi­sten­zia­le nel suo insie­me fos­se por­ta­ta avan­ti da pro­le­ta­ri, che, even­tual­men­te, avreb­be­ro potu­to fare da base socia­le per uno scon­vol­gi­men­to in sen­so rivo­lu­zio­na­rio. D’altro can­to, però, si evi­den­zia­no tut­ti i limi­ti di un’ipotesi che si potes­se ogget­ti­va­men­te muo­ve­re in que­sta dire­zio­ne. E non si pote­va cer­to fare leva sugli inter­na­zio­na­li­sti, a vario tito­lo pre­sen­ti sul ter­ri­to­rio ma in modo diso­mo­ge­neo, e, al net­to del­le loro for­ze effet­ti­ve, sen­za una dire­zio­ne uni­ta­ria a livel­lo nazio­na­le e aggan­ci di qual­si­vo­glia tipo a livel­lo inter­na­zio­na­le.

Resta una sto­ria, qui rico­strui­ta in modo pano­ra­mi­co, di un’umanità gene­ro­sa, su cui sono spes­so gra­va­te calun­nie ed accu­se ingiu­ste, e ad oggi infon­da­te, segna­ta anche da tra­gi­ci epi­lo­ghi, come nel caso degli inter­na­zio­na­li­sti Mario Acqua­vi­va e Fau­sto Atti, che ha inte­so in quei fran­gen­ti dare nel disin­te­res­se quel­la spin­ta di cui a vol­te ha biso­gno la sto­ria.

Sil­vio Anto­ni­ni

 

 

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