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giovedì, 21 Novembre 2024

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

Marco Rossi, Morire non si può in aprile, L’Assassinio di Teresa Galli e l’assalto fascista all’Avanti!, Milano, 15 aprile 1919

Mar­co Ros­si, Mori­re non si può in apri­le, L’Assassinio di Tere­sa Gal­li e l’assalto fasci­sta all’Avanti!, Mila­no, 15 apri­le 1919

Mila­no, Zero in con­dot­ta, 2022, I ed. 2019, pp. 175, € 10.00.

Ter­mi­na­to di leg­ge­re pro­prio a ridos­so del 104° anni­ver­sa­rio del­la gior­na­ta su cui il volu­met­to, qui alla ter­za edi­zio­ne, si con­cen­tra. Un lavo­ro pre­zio­so per­ché riguar­da det­ta­glia­ta­men­te un avve­ni­men­to cro­ce­via per l’Italia con­tem­po­ra­nea, quel­lo pas­sa­to alla sto­ria come l’assalto alla Reda­zio­ne mila­ne­se de “l’Avanti”. L’autore è Mar­co Ros­si, tra i prin­ci­pa­li stu­dio­si in Ita­lia del nes­so tra com­bat­ten­ti­smo di guer­ra e sov­ver­si­vi­smo, san­ci­to dal­la sua ope­ra più cono­sciu­ta a livel­lo nazio­na­le che è, appun­to, Ardi­ti, non gen­dar­mi!

 L’avvenimento è qui, va da sé, inqua­dra­to nel­le gior­na­te mila­ne­si e nel cli­ma dell’immediato Pri­mo dopo­guer­ra in cui ebbe a veri­fi­car­si. Per­ché non si è trat­ta­to, sic et sim­pli­ci­ter, d’un mero ed estem­po­ra­neo raid con­tro il quo­ti­dia­no del Par­ti­to socia­li­sta ma del­la pro­va gene­ra­le, del col­lau­do di quel­la Guer­ra di movi­men­to, di quel­la Con­tro­ri­vo­lu­zio­ne pre­ven­ti­va che avreb­be attra­ver­sa­to il Pae­se scen­den­do man mano ver­so il Sud con l’obiettivo, con­se­gui­to, di con­qui­star­lo.

In quel­le gior­na­te a Mila­no si sta assi­sten­do ad una mobi­li­ta­zio­ne gene­ra­le del­le for­ze pro­le­ta­rie. In tut­ta rispo­sta si va a con­trap­por­si ad esse quel coa­cer­vo, quel mag­ma non anco­ra ben distin­to, di inter­ven­ti­smo di guer­ra, ardi­ti­smo di trin­cea, nazio­na­li­smo e futu­ri­smo, che qui deci­de di pas­sa­re uffi­cial­men­te alle vie di fat­to. Lo sco­po è quel­lo di disper­de­re le mobi­li­ta­zio­ni “spar­ta­chi­ste” armi in pugno: sono quei sol­da­ti smo­bi­li­ta­ti, que­gli stu­den­ti e gio­va­ni del­la buo­na bor­ghe­sia che nel pre­sup­po­sto, tan­to infon­da­to quan­to decla­ma­to, che le for­ze dell’ordine non ne sia­no all’altezza, si fan­no loro stes­si, appun­to, gen­dar­mi. Dal­la loro, la sim­pa­tia dei ceti medi e di quan­ti temes­se­ro uno scon­vol­gi­men­to rivo­lu­zio­na­rio capa­ce di far per­de­re loro pri­vi­le­gi, anche seco­la­ri. Dall’altra par­te del­la bar­ri­ca­ta, il popo­lo dei quar­tie­ri ope­rai mila­ne­si, quell’umanità che si sta bat­ten­do tena­ce­men­te ma che, poli­ti­ca­men­te, è aggrap­pa­ta ad un gigan­te dai pie­di d’argilla, cioè il Par­ti­to socia­li­sta e le strut­tu­re eco­no­mi­che, sin­da­ca­li e socia­li ad esso con­ti­gue. Orga­ni­smi a paro­le, det­te e scrit­te, fau­to­ri del­la Rivo­lu­zio­ne soviet­ti­sta, nei fat­ti inca­pa­ci di for­ni­re ed ado­pe­ra­re gli stru­men­ti neces­sa­ri per­ciò e, come si sareb­be ben visto poco dopo, anche per la dife­sa dal­la vio­len­za rea­zio­na­ria.

In quel 15 apri­le, l’aggressione nazio­na­li­sta ai cor­tei ed ai comi­zi ope­rai stron­ca la vita di tre per­so­ne: Pie­tro Bogni, 18 anni, Giu­sep­pe Luc­cio­ni, 16 anni, e Tere­sa Gal­li, 19 anni. La Gal­li, ope­ra­ia cuci­tri­ce, è la pri­ma a mori­re con la nuca fora­ta da un pro­iet­ti­le, ed è per­ciò la pri­ma vit­ti­ma in Ita­lia del­la Guer­ra di movi­men­to. Sul­la sua memo­ria si sof­fer­ma il libro, con il pri­mo pia­no in coper­ti­na ed un inser­to sul quar­tie­re d’appartenenza, la Bovi­sa, a cura di Ales­san­dro Pel­le­gat­ta.

A con­clu­sio­ne del­la gior­na­ta, il fat­to che l’ha con­se­gna­ta alla sto­ria, cioè l’assalto alla Reda­zio­ne de “l’Avanti”, reso pos­si­bi­le dall’atteggiamento del­le for­ze dell’ordine che, di fat­to, l’avevano lascia­ta sguar­ni­ta. I nazio­na­li­sti si arram­pi­ca­no sui bal­co­ni, fan­no quin­di irru­zio­ne nei loca­li, per­cuo­to­no quan­ti si tro­va­va­no all’interno, distrug­go­no gli stru­men­ti tipo­gra­fi­ci, get­ta­no dal­le fine­stre sup­pel­let­ti­li e mobi­lia e appic­ca­no il fuo­co. Nell’azione è cadu­to un mili­ta­re, Mar­ti­no Spe­ro­ni, col­pi­to da un pro­iet­ti­le nei parag­gi del­la Reda­zio­ne, par­ti­to da dove non si sa ma il mili­te è imme­dia­ta­men­te anno­ve­ra­to tra le vit­ti­me dei ros­si.

L’assalto ha l’encomio del Gover­no: il Mini­stro del­la guer­ra, Con­so­le Enri­co Cavi­glia, si con­vin­ce sem­pre di più che gli Ardi­ti pos­sa­no esse­re adi­bi­ti a guar­die bian­che con­tro il movi­men­to ope­ra­io. Tra gli appro­van­ti anche Alce­ste De Ambris, che inter­ve­ni­va al comi­zio nazio­na­li­sta, poi atte­sta­to­si su posi­zio­ni anti­fa­sci­ste, e Pie­tro Nen­ni, che in un edi­to­ria­le per “Il Gior­na­le del mat­ti­no”, in quei fran­gen­ti espres­sio­ne del­la mas­so­ne­ria bolo­gne­se, plau­di­va al fat­to.

Il libro si ser­ve del­la docu­men­ta­zio­ne d’archivio, segna­ta­men­te di quel­la pre­fet­ti­zia, e del­le fon­ti a stam­pa in rela­zio­ne ai perio­di­ci dell’epoca. Lar­go spa­zio è, indi­ca­ti­va­men­te, dato alla memo­ria­li­sti­ca di tut­te le par­ti coin­vol­te (gusto­sa quel­la anar­chi­ca). I fasci­sti, come si evin­ce qui dai ricor­di di Fer­ruc­cio Vec­chi, rie­vo­che­ran­no bal­dan­zo­sa­men­te l’episodio ridi­co­liz­zan­do­ne gli scon­fit­ti. Come è noto, i Fasci ita­lia­ni di com­bat­ti­men­to, nati da una ven­ti­na di gior­ni appe­na, sen­za aver anco­ra nean­che pub­bli­ca­to il pro­gram­ma, non ave­va­no le for­ze per orga­niz­za­re l’offensiva anti­o­pe­ra­ia, da cui rima­se­ro sostan­zial­men­te estra­nei. Mus­so­li­ni, per l’occasione, tan­to per cam­bia­re, ave­va fat­to Mus­so­li­ni: si era tenu­to lon­ta­no dal­la mischia, rin­ta­na­to nel­la Reda­zio­ne de “Il Popo­lo d’Italia”, sal­vo riven­di­ca­re con­ti­nui­tà ed appog­gi a suc­ces­so avve­nu­to. La man­can­za di corag­gio com­pen­sa­ta da un inne­ga­bi­le fiu­to poli­ti­co: il futu­ro duce ave­va intui­to che quel mag­ma anco­ra indi­stin­to si sareb­be pla­sma­to nel­la mili­zia uti­le a garan­ti­re i suoi pro­po­si­ti.

C’è però for­se un osta­co­lo, desti­na­to di lì ad un paio d’anni a rin­fac­ciar­si e qui solo segna­la­to: dal­le car­te di poli­zia si fa pre­sen­te che in quel 15 apri­le le mostri­ne degli Ardi­ti di guer­ra han­no scin­til­la­to anche alla testa del­le mobi­li­ta­zio­ni ope­ra­ie.

Sil­vio Anto­ni­ni

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