Una posizione di classe sul salario minimo

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Il sala­rio mini­mo intro­du­ce dispa­ri­tà come asse­ri­to da Con­fin­du­stria?

Su un pun­to sem­bre­reb­be­ro tut­ti con­cor­di ossia sul­la neces­si­tà, e la urgen­za, di con­tra­sta­re lavo­ro pove­ro e pre­ca­rie­tà dive­nu­ti sem­pre meno soste­ni­bi­li social­men­te, ma anche e soprat­tut­to osta­co­lo al fun­zio­na­men­to dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­ci.

 I bas­si sala­ri sono tut­ta­via una neces­si­tà per inte­re aree del capi­ta­li­smo e anche nei pae­si avan­za­ti, pro­va ne sia l’af­fi­da­men­to di ser­vi­zi ad appal­ti e subap­pal­ti con paghe ora­rie da fame.

Una dif­fu­sa pre­ca­rie­tà alla lun­ga non per­met­te ai dato­ri di inve­sti­re in for­ma­zio­ne e pro­gram­ma­zio­ne ammes­so, ma non con­ces­so, che voglio­no far­lo e pro­va ne sia il fat­to che per nuo­ve assun­zio­ni e per­cor­si for­ma­ti­vi arri­va­no bonus sta­ta­li alle impre­se oltre ai tan­ti sgra­vi sui qua­li si basa la pros­si­ma Mano­vra di Bilan­cio.

Nel­la Ita­lia del dopo guer­ra è pre­val­so qua­si sem­pre il prin­ci­pio del­la liber­tà eco­no­mi­ca e del­la auto­no­mia di impre­sa sul­le ragio­ni del lavo­ro, anche il prin­ci­pio del­la giu­sta retri­bu­zio­ne pre­vi­sto dagli arti­co­li 36 e 39 del­la Car­ta sono rima­sti let­te­ra mor­ta den­tro una archi­tet­tu­ra giu­ri­di­ca inca­pa­ce anche di affer­ma­re la appli­ca­zio­ne di con­trat­ti nazio­na­li affe­ren­ti alle atti­vi­tà svol­te.

La liber­tà di impre­sa e la mode­ra­zio­ne sala­ria­le ere­di­ta­ta dal Fasci­smo sal­vo for­se negli anni di mag­gior impul­so neo­key­ne­sia­no, le pri­va­tiz­za­zio­ni e il rispar­mio di spe­sa, i tet­ti di Maa­stri­cht han­no san­ci­to nei fat­ti la scon­fit­ta del­la for­za lavo­ro in un perio­do sto­ri­co nel qua­le i dirit­ti sono sta­ti cal­pe­sta­ti e nega­ti nel nome del­la ripre­sa eco­no­mi­ca e del­la lot­ta al debi­to.

Il ruo­lo dei sin­da­ca­ti rap­pre­sen­ta­ti­vi è sta­to deter­mi­nan­te per affer­ma­re una archi­tet­tu­ra giu­ri­di­ca a uso e con­su­mo del­le par­ti padro­na­li, pro­va ne sia che all’in­do­ma­ni del pur imper­fet­to Sta­tu­to dei Lavo­ra­to­ri ini­zia la lun­ga fase di arre­tra­men­to che ha por­ta­to alla svol­ta del­l’Eur e da lì alla can­cel­la­zio­ne di ogni auto­ma­ti­smo che legas­se i sala­ri e le pen­sio­ni al rea­le costo del­la vita.

Era impen­sa­bi­le che all’in­do­ma­ni del­la guer­ra si sce­glies­se la stra­da del sala­rio mini­mo lega­le dive­nu­ta inve­ce una neces­si­tà dopo la sta­gio­ne del­le gran­di pri­va­tiz­za­zio­ni che han­no ali­men­ta­to pre­ca­rie­tà e mise­ria sala­ria­le.

Chi oggi riven­di­ca la Car­ta Costi­tu­zio­na­le dovreb­be spie­ga­re la ragio­ne per la qua­le nono­stan­te gli arti­co­li 36 e 39 si sia affer­ma­ta la mode­ra­zio­ne, anzi la mise­ria, sala­ria­le e con­trat­tua­le e inter­ro­gar­si al con­tem­po sul ruo­lo stes­so del­le orga­niz­za­zio­ni sin­da­ca­li alle qua­li spet­ta­va il com­pi­to di fis­sa­re, o alme­no di riven­di­ca­re, una retri­bu­zio­ne pro­por­zio­na­ta e suf­fi­cien­te nei diver­si­fi­ca­ti set­to­ri pro­dut­ti­vi.

La pro­li­fe­ra­zio­ne dei con­trat­ti nazio­na­li, qua­si 1000 quel­li depo­si­ta­ti al Cnel, dovreb­be inve­ce deter­mi­na­re una diver­sa let­tu­ra a par­ti­re dal ruo­lo col­la­bo­ra­ti­vo dei sin­da­ca­ti fir­ma­ta­ri e da qui pren­de­re atto che ipo­te­si di cam­bia­men­to degli stes­si sono smen­ti­ti dal­la lun­ga e con­so­li­da­ta pras­si con­so­cia­ti­va.

Negli anni dei Gover­ni di cen­tro sini­stra furo­no pro­prio i sin­da­ca­ti a nega­re ogni discus­sio­ne sul sala­rio mini­mo pen­san­do che all’in­ter­no dei con­trat­ti nazio­na­li avreb­be­ro pre­vi­sto livel­li retri­bu­ti­vi digni­to­si sal­vo poi esse­re smen­ti­ti, alla pro­va dei fat­ti, dai con­te­nu­ti degli stes­si e dagli accor­di sul­la rap­pre­sen­tan­za del 2009 e del 2014, dal codi­ce Ipca a deter­mi­na­re rin­no­vi con­trat­tua­li al ribas­so.

Le par­ti dato­ria­li sono da sem­pre osti­li all’applicazione di una nor­ma che impon­ga un mini­mo sala­ria­le gene­ra­liz­za­to, non a caso tor­na­no di moda le gab­bie sala­ria­li in nome del­le dif­fe­ren­ze tra il costo del­la vita tra nord e sud o del­la neces­si­tà di pre­ser­va­re alcu­ni set­to­ri pro­dut­ti­vi da prov­ve­di­men­ti che innal­zan­do il costo del lavo­ro san­ci­reb­be­ro la loro usci­ta dal mer­ca­to.

Sem­pre le par­ti dato­ria­li sosten­go­no che non si tie­ne con­to del secon­do livel­lo di con­trat­ta­zio­ne nel­la quan­ti­fi­ca­zio­ne dei sala­ri, eppu­re sono sta­ti pro­prio gli accor­di azien­da­li in dero­ga ai CCNL a san­ci­re l’ul­te­rio­re aumen­to del­lo sfrut­ta­men­to scam­bian­do sala­rio con bene­fit.

Non è di aiu­to la Diret­ti­va — Ue — 2022/2041 del 2022 anzi alla fine si aggiun­go­no ulte­rio­ri argo­men­ta­zio­ni alle posi­zio­ni dato­ria­li che vor­reb­be­ro inclu­de­re il sala­rio dif­fe­ri­to nel cal­co­lo glo­ba­le del­le retri­bu­zio­ni per lascia­re cam­po libe­ro alle impre­se nel­la con­trat­ta­zio­ne con le par­ti socia­li.

Se costrui­sco una impal­ca­tu­ra che favo­ri­sce il siste­ma del­le dero­ghe ai con­trat­ti nazio­na­li il secon­do livel­lo di con­trat­ta­zio­ne diven­ta un’ar­ma padro­na­le effi­ca­ce per impor­re aumen­ti del­la pro­dut­ti­vi­tà e rit­mi inso­ste­ni­bi­li sen­za per altro ero­ga­re sala­rio aggiun­ti­vo.

Quan­ti invo­ca­no la non inva­den­za del­lo Sta­to nel­le dina­mi­che con­trat­tua­li han­no otte­nu­to pri­ma un varie­ga­to siste­ma di aiu­ti alle impre­se e la cer­tez­za che ogni ulte­rio­re inve­sti­men­to del­le par­ti dato­ria­li sia soste­nu­to eco­no­mi­ca­men­te con sol­di pub­bli­ci, la mano­vra sul taglio al cuneo fisca­le è la dimo­stra­zio­ne elo­quen­te di que­ste poli­ti­che con il mini­stro Gior­get­ti che non esclu­de il ricor­so alle pri­va­tiz­za­zio­ni per fare cas­sa.

Sia­mo davan­ti a una stra­te­gia com­ples­si­va fina­liz­za­ta a sca­ri­ca­re sul­le cas­se pub­bli­che il par­zia­le e con­te­nu­to recu­pe­ro del pote­re di acqui­sto per­du­to, e a mero disca­pi­to del wel­fa­re, sia­mo in pre­sen­za di una poli­ti­ca gover­na­ti­va all’in­se­gna del­la mode­ra­zio­ne sala­ria­le e con dispa­ri­tà di trat­ta­men­to, fisca­le e non, a secon­da del­le cate­go­rie di appar­te­nen­za e pro­va ne sia la tas­sa piat­ta per gli auto­no­mi.

Pen­sa­re allo­ra suf­fi­cien­te il richia­mo alla Car­ta Costi­tu­zio­na­le o ai con­trat­ti nazio­na­li vigen­ti per resti­tui­re digni­tà ai nostri sala­ri è solo una argo­men­ta­zio­ne ideo­lo­gi­ca subal­ter­na al capi­ta­le o, meglio, ci si erge a dife­sa di prin­ci­pi con­di­vi­si per spo­sa­re alla fine poli­ti­che dia­me­tral­men­te oppo­ste.

Ecco la ragio­ne per la qua­le esi­ste in Ita­lia un auten­ti­co con­vi­ta­to di pie­tra tra padro­ni, sin­da­ca­ti e gover­ni all’in­se­gna dei tagli alla sani­tà pub­bli­ca, del­la mode­ra­zio­ne sala­ria­le e del­la disu­gua­glian­za su base regio­na­le den­tro una archi­tet­tu­ra nor­ma­ti­va tra­sfor­ma­ta­si in un’autentica gab­bia del con­flit­to del lavo­ro con­tro il capi­ta­le.

 A cura del­la reda­zio­ne pisa­na di Lot­ta Con­ti­nua

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