Abbiamo deciso di presentare il libro Vincenti per qualche giorno vincenti per tutta la vita, dedicato agli Arditi del popolo di Parma e alla loro resistenza allo squadrismo fascista, non solo per focalizzare l’attenzione su una pagina di storia fin troppo dimenticata, o relegata agli ambiti della memoria di qualche circolo, ma anche per trarre qualche insegnamento dall’esperienza storica degli anni che vanno dalla fine della Prima Guerra Mondiale all’avvento del Fascismo. Ringraziamo Alberto Pantaloni per la sua presenza e per essere stato tra i curatori di questo libro che potremmo definire, senza retorica, una autoproduzione, ringraziamo chi ci ha ospitato ossia la Libreria Pellegrini di Pisa.
Serve innanzitutto contestualizzare storicamente l’esperienza degli Arditi del Popolo per non trarre conclusioni affrettate e ideologiche ma al contempo riflettere sull’avvento del Fascismo dovrebbe essere anche di aiuto per comprendere come sia avvenuto, negli ultimi 40 anni, lo strapotere del pensiero e dell’azione neoliberista, la devastazione sociale avvenuta con la sconfitta dei movimenti comunisti e radicali nella nostra società.
Allo stesso tempo vogliamo ricordare la scoperta tardiva degli Arditi anche nella storiografia moderna, dopo la pubblicazione del saggio di Pavone sulla Guerra civile perché la Resistenza è stata analizzata dentro un quadro ben diverso da quello agiografico o degli storici del Pci. E fare i conti tanto con gli Arditi quanto con esperienze come la Volante Rossa ci permette di vedere l’antifascismo dentro un contesto diverso da quello tradizionale, analizzarne e valorizzarne i connotati di classe più avanzati, la questione dei rapporti di forza e del potere.
Qualche storico potrebbe subito contestare queste considerazioni avanzando obiezioni di varia natura, è tuttavia indubbio che la sconfitta dei movimenti sociali e sindacali sia avvenuta per innumerevoli ragioni economiche, politiche ma anche per l’assenza di una Resistenza ai processi in atto. Questo accadde con il fascismo, con la sinistra dilaniata da lotte intestine e interpretazioni spesso dottrinali sui testi “sacri” del marxismo salvo poi scoprire che lo sbocco della crisi aveva visto il sopravvento della reazione rispetto a ipotesi riformatrici e rivoluzionarie. E’ importante sottolineare la sottovalutazione da parte delle sinistre di allora di un blocco sociale che stava nascendo attorno al fascismo o meglio della alleanza tra industriali, agrari e fascisti che a loro volta avevano acquistato i favori della piccola borghesia uscita con le ossa rotte dalla Grande guerra oltre al desiderio di rivalsa di migliaia di ex combattenti e reduci che tornati dal Fronte cercavano una affermazione e un riconoscimento sociale. E quel riconoscimento sociale venne negato dalle organizzazioni comuniste e socialiste, nonostante molti fiumani o reduci della Grande guerra abbiano militato nelle fila dell’antifascismo e degli Arditi del Popolo.
Per tornare ai nostri giorni sarebbe fin troppo facile attribuire alla scomparsa del Partito comunista italiano l’inizio della reazione, perché tale è, liberista, ci sono ragioni profonde che andrebbero analizzate fin dalla crisi economica del 1973 e la crisi del modello Neokeynesiano, dal ruolo degli Usa e della Nato.
Abbiamo provato a farlo con un ciclo di seminari sul neoliberismo attraverso l’analisi di alcuni autori come Milanovic, Pikkety, Mazzuccato e Boitani, non soffermandoci solo sulle disuguaglianze globali ma anche sulla crisi del potere di acquisto delle classi operaie e popolari nei paesi a capitalismo avanzato, sulla sconfitta patita dai movimenti sindacali e sulla trasformazione avvenuta del sindacato stesso. E riflettere ancora oggi sulla scomparsa della scala Mobile o sulla svolta dell’Eur non dovrebbe essere compito solo di studiosi e ricercatori ma anche del movimento operaio e sindacale.
La storia degli Arditi del Popolo ci offre l’occasione anche per riflettere sui limiti della storia comunista, sulla pretesa che qualsiasi atto di Resistenza debba essere ricondotto, e in subordine, a fenomeni rivoluzionari, al rovesciamento del modo di produzione capitalistico. E la esperienza degli Arditi dimostra invece la necessità, allora come oggi, di costruire una unità di intenti e di azione attorno a un progetto di Resistenza effettiva alla violenza padronale e statale, una alleanza necessaria per difendere le stesse condizioni di agibilità della classe, del sindacato e delle organizzazioni sociali e politiche.
La sconfitta del movimento comunista e operaio avvenuta con l’avvento del Fascismo è anche il risultato della incomprensione che la crisi determinata dal conflitto della Prima Guerra Mondiale e di come una forza reazionaria, il Fascismo, abbia preso il sopravvento con il beneplacito dei poteri economici e politici allora dominanti.
I comunisti e i socialisti guardarono con sospetto all’esperienza degli Arditi del Popolo, una formazione variegata costituita da soggetti di classe e di appartenenza politica eterogenea nonostante che nelle loro fila ci fossero loro attivisti talvolta anche di rilievo. E nessuno oggi ricorda che pochi mesi prima della Marcia su Roma gli Arditi sfilarono in migliaia a Roma rivendicando un’azione comune a difesa delle classi lavoratrici e contro la crisi economica che faceva pagare costi elevati alle classi sociali meno abbienti.
Ma quella esperienza, che arrivò a organizzare migliaia di uomini anche armati nei mesi precedenti alla marcia su Roma e ad opporsi con le armi allo squadrismo fascista e alla connivente Monarchia, venne di fatto sfiduciata sia dalle correnti moderate del Partito socialista che da quelle rivoluzionarie che avevano dato vita al Partito comunista d’Italia che guardavano con sospetto a una lotta non propriamente rivoluzionaria nel senso che non aveva come obiettivo il rovesciamento della Monarchia e del capitalismo..
Gli Arditi rappresentarono forse la sola risposta militare organizzata in ambito popolare alle violenze del Fascismo, avevano compreso la necessità di misurarsi sullo stesso terreno dei Fascisti per impedire il sistematico saccheggio delle sedi sindacali e politiche, un clima di paura, minacce e aggressioni fisiche ai danni degli attivisti, aggressioni brutali condotte con il beneplacito delle forze dell’ordine, delle autorità statali e monarchiche le quali non esitarono ad affidare, dopo la Marcia su Roma, l’incarico a Benito Mussolini per formare il nuovo Governo.
Nell’arco di pochi mesi furono bruciate centinaia di sedi sindacali e politiche, i giornali vennero dati alle fiamme, decine di attivisti uccisi, migliaia manganellati e ridotti al silenzio, l’obiettivo era quello di togliere ogni agibilità politica ai socialisti e ai comunisti, alle forze sindacali che avevano organizzato per decenni operai e braccianti. Questo era per altro un obiettivo condiviso dai Fascisti con agrari e industriali i quali sostennero economicamente la formazione dei Fasci che divennero il loro braccio armato.
La incomprensione della necessità di costruire una risposta anche armata all’avvento del Fascismo dovrebbe oggi ricordare che le molteplici, spesso contraddittorie, forme di resistenza al neo liberismo sono state spazzate via anche dalla ignavia delle forze politiche organizzate, dalla loro incapacità di cogliere l’importanza di processi di opposizione non necessariamente riconducibili ai loro programmi, sui quali esercitare un asfissiante controllo che finisce con il vanificarne ogni forma di azione. E l’esperienza degli Arditi ebbe invece una influenza decisiva sull’antifascismo militante degli anni Sessanta e Settanta, fino ai primi anni Ottanta, un antifascismo che non realizzava solo battaglie difensive ma rivendicava diritti sociali, salario, casa, una pratica politica non istituzionale e subalterna alle logiche della democrazia borghese.
Allo stesso tempo pensare che la condizione di vita delle classi subalterne possa avvenire solo nel rispetto delle regole imposte dalla democrazia borghese (ricordiamoci le accuse di associazioni a delinquere mosse ad alcune organizzazioni sindacali) è un errore e un limite che dovrebbe anche far riflettere sul rapporto tra organizzazioni sindacali e sociali e la cosiddetta legalità.
Non si tratta a nostro avviso di coltivare un sogno rivoluzionario da salotto o da immortalare il nostro pensiero in qualche libro, dovremmo invece imparare che ogni esperienza di Resistenza ai processi in atto di marca reazionaria va in qualche misura sostenuta ed alimentata se si prefigge anche obiettivi difensivi e parziali, di tutela delle istanze sociali delle classi subalterne.
Oggi non intravediamo all’orizzonte fenomeni di autorganizzazione popolare ma qualsiasi esperienza di resistenza, anche la più piccola, andrebbe in qualche modo sostenuta e rafforzata.
Perché al di là della esperienza storica degli anni antecedenti al Fascismo, ci sono analogie con altri momenti storici nei quali si pensava esistessero le condizioni per un cambiamento radicale salvo poi ritrovarsi in situazioni diametralmente opposte. nelle quali le forze della reazione hanno preso il sopravvento.
Antonio Gramsci scrisse, sempre a proposito degli Arditi del Popolo: “Sono i comunisti contrari al movimento degli Arditi del Popolo? Tutt’altro: essi aspirano all’armamento del proletariato, alla creazione di una forza armata proletaria che sia in grado di sconfiggere la borghesia e di presidiare l’organizzazione e lo sviluppo delle nuove forze produttive generate dal capitalismo.
I comunisti sono anche del parere che per impegnare una lotta non bisogna neppure aspettare che la vittoria sia garantita per atto notarile. Spesse volte nella storia i popoli si sono trovati al bivio: o languire giorno per giorno di inedia, di esaurimento, seminando la propria strada di pochi morti al giorno, che diventano però una folla nelle settimane, nei mesi, negli anni; oppure arrischiare l’alea di morire combattendo in un supremo sforzo di energia, ma anche di vincere, di arrestare d’un colpo il processo dissolutivo, per iniziare l’opera di riorganizzazione e di sviluppo che almeno assicurerà alle generazioni venture un po’ più di tranquillità e di benessere. E si sono salvalti quei popoli che hanno avuto fede in se stessi e nei propri destini e hanno affrontato la lotta, audacemente”.
Ebbene, con il senno di poi, possiamo asserire che il sostegno formale agli Arditi si scontrava con una pratica diametralmente opposto visto che davanti alla crisi la violenza fascista ebbe il sopravvento senza essere adeguatamente contrastata nelle piazze, senza il sostegno diretto delle forze sindacali e politiche di quei tempi. E l’autocritica di Gramsci arriverà a Fascismo già affermato, alla metà degli anni Venti con alcuni scritti che meriterebbero ancora oggi di essere letti e diffusi.
Non si tratta allora di vincere una guerra, quella contro il capitalismo, ma in fasi regressive o quando sussistono gravi minacce per la democrazia e le classi subalterne, per il potere di acquisto salariale e di contrattazione sindacale, occorre resistere alle violenze padronali di vario genere subite dalle classi popolari, violenze che alla lunga portano anche alla dissoluzione delle organizzazioni sociali, sindacali e politiche, alla loro sostanziale delegittimazione agli occhi dei subalterni.
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La Redazione di Lotta Continua