a cura di Calusca city lights e del Collettivo Adespota
Milano, Colibrì, 2024, pp. 399, € 25.00
“Fascismo, antifascismo e rivoluzione, ieri e oggi”, recita per completezza il sotto – sottotitolo di quello che è, si specifica nelle note di edizione, uno sviluppo dei temi trattati in un ciclo di incontri su Biennio rosso ed avvento del Fascismo svoltosi a Saronno nell’aprile 2022 ed intitolato Cent’anni appena, 1922 – 2022. Un saggio, nei risultati, in bilico tra storia politica e letteratura, arricchito dalle illustrazioni di Giandante X.
Non si può, di per sé, scrivere di lavoro storiografico, poiché ciò necessiterebbe la consultazione delle fonti d’archivio, qui assenti, per lo meno in modo diretto, ed il relativo confronto con il materiale di altra provenienza. È, nei fatti, una rassegna di contributi redatti in larghissima parte negli anni presi in considerazione o in quelli immediatamente successivi su periodici facenti capo alla Sinistra comunista, nelle sue diverse ramificazioni e denominazioni: frazione rivoluzionaria, internazionalista, etc., con qualche pezzo di provenienza anarchica. È l’Appendice storico – documentaria che, di fatto, occupa i 3/4 del libro.
L’oggi cui si accenna sopra, in concreto, non c’è, giacché l’ultimo intervento di analisi ripreso risale al 1995 e, al netto di qualche intuizione azzeccata, una trattazione di trent’anni fa non può che considerarsi inesorabilmente datata, per il naturale incedere dei fatti, in merito al presente, e per gli sviluppi della ricerca storica, se si studia il passato. Infatti, molti elementi ora centrali per le tematiche qui affrontate sono del tutto assenti, poiché entrati nella speculazione storiografica successivamente.
Veniamo dunque al movente politico della pubblicazione, cioè agli impulsi che hanno invitato autori e curatori ad editarla. Il sottotitolo, con una parafrasi certo rischiosa, soprattutto oggi, avrebbe potuto essere La Grande truffa dell’Antifascismo. Batti e ribatti, gira che ti rigira, condannati certo nazismo e fascismo, è lì che si va a parare. Infatti, ad apertura del contributo La Controrivoluzione “antifascista”, datato 1975, la citazione — sintesi del pensiero di Amadeo Bordiga: “L’antifascismo è il peggior prodotto del fascismo”. Eccolo lì! Ma è già nell’introduzione di Gilles Dauvé che si scrive, a proposito del 25 luglio 1943, un passaggio assai significativo: “Il 25 luglio, messo in minoranza al Gran Consiglio del Fascismo (con 19 voti contro 17), Mussolini si dimette. Raramente si è visto un dittatore inchinarsi al pari del Duce alla regola della maggioranza”. Si deduce tra le righe che il Regime fascista non avesse nulla di diverso da un sistema liberaldemocratico qualsiasi. Ne consegue perciò che non vi fossero ragioni specifiche nell’opporvisi con maggiore tenacia rispetto a quanto si debba contro un qualsivoglia regime democratico. Dietro al rigore dottrinario, alla coerenza con le astrazioni ideologiche non confrontate con la realtà effettuale, passato e presente rischiano così di apparire come la notte in cui tutti i gatti sono bigi. Tanto vale non far nulla. Costante, difatti, l’equiparazione nazifascismo – comunismo, questo chiamato o stalinismo o con la nota formula ossimorica di capitalismo di stato. Due sistemi del tutto speculari ed interscambiabili. E la condanna non parte da Stalin – troppo facile — ma dal bolscevismo stesso: la degenerazione era già tutta in Lenin e Trotskij.
Dopodiché, nessuno si salva: nella Guerra civile e sociale spagnola tutti hanno imbrogliato, compresi gli anarchici (che, indubbiamente, lì caddero in belle contraddizioni) e Il Poum, che pure delle involuzioni autoritarie della II Repubblica fu la principale vittima. E che dire, in fine, della Resistenza? Un vero e proprio equivoco del tutto funzionale al capitale e all’imperialismo. In vero qui la Lotta partigiana del 1943–45 non gode d’una trattazione specifica, forse, chissà, destinata ad un lavoro successivo ma i rimandi che qua e là se ne fanno bastano ed avanzano a confermare la posizione espressa nel volume. E a proposito di equivoci, sempre nel contributo di cui sopra, il Cln è definito repubblicano (p. 340), confuso evidentemente con un fronte popolare, mentre vi erano, notoriamente a pieno titolo, le componenti monarchiche. Non una parola per quelle formazioni che condussero i moti resistenziali fuori dal Cln, in un’ottica antidinastica e rivoluzionaria. Un’omissione forse dettata dal fatto che gli internazionalisti avrebbero accusato d’ingenuità quelle forze che, pur ideologicamente assimilabili a loro, avevano, per così dire, disperso energie potenzialmente rivoluzionarie nella battaglia partigiana.
Figurarsi ora un futuro volume dedicato ai movimenti di liberazione nazionale dal Secondo dopoguerra in poi!
Chi si salva in tutto ciò? Il proletariato. Una sorta di convitato di pietra, una categoria dell’anima, un mito (e nulla alimenta la mitologia meglio della distanza), un gigante buono immutabile nel tempo e nello spazio, omogeneo nel suo insieme, che non ha altre necessità se non quella di fare la rivoluzione all’istante ma che viene puntualmente buggerato da tutti. Il resto, pare non avere senso.
Si intuisce bene che con queste astratte schematizzazioni, del tutto intellettualistiche, sia difficile applicarsi nella realtà. Per fare un esempio che riporta drammaticamente all’attualità: se si è convinti che non esistano popoli, culture e nazioni, non si può sventolare la bandiera palestinese.
Va comunque affermato che le organizzazioni facenti storicamente capo alla Sinistra comunista, senza entrare ora nelle specifiche entità, non sono del tutto unanimi in termini sia tattici sia strategici, anzi sono a tal proposito spesso in conflitto tra loro. E che si tratta comunque d’un filone di pensiero importante nella sinistra rivoluzionaria, uno tra i più influenti nel fare da retroterra per le elaborazioni politiche esplose con il Sessantotto, sebbene surclassate quasi immediatamente dalle suggestioni maoiste.
Quando muoiono le insurrezioni è a tal proposito un valido strumento in termini di informazione, con un apparato critico e delle schede didascaliche molto utili alla comprensione del testo.
Di notevole interesse, all’apertura dell’appendice documentaria, la trascrizione integrale dell’intervista a Bordiga, che egli stesso aveva dettato alla moglie, per la trasmissione Rai Nascita di una dittatura, nel 1970, pubblicata poi nel 1973 (perché non tutto era andato in onda), con la testimonianza a riguardo di Edek Osser.
Spicca poi la questione tedesca: gli ultimi frangenti prima della presa del potere del nazismo non dispongono di una bibliografia sterminata per cui ogni cronaca è indispensabile. È a riguardo riproposto un reportage per il periodico parigino “Masses” dal titolo La Tragedia del proletariato tedesco, a firma di Rustico. Un resoconto dalla Berlino del 1932 dai ritmi sostenuti e dall’alto tenore narrativo, per un’efficace descrizione della vita di quartiere e del conflitto di strada, con la menzione delle milizie facenti capo all’Spd, cioè L’Eiserne front e il Reichsbanner, e al Kpd, cioè la Roter frontkämpferbund.
A chiudere la raccolta un racconto, presumibilmente immaginario, di Jan, portuale amburghese classe 1901, che prende parte alla rivoluzione tedesca del 1918 e a tutti gli sconvolgimenti successivi, con le rivoluzioni mancate e l’adesione al Kapd, il Partito comunista operaio di Germania, nato nell’aprile 1920 con una scissione dal Kpd. Questo Jan pare trasferirsi in Italia, racconta del G20 di Amburgo del 2017, cita Zombie di tutto il mondo di Gianfranco Manfredi e chiude canticchiando L’Internazionale di Franco Fortini.
Silvio Antonini