Fascismo nella Marca Trevigiana: Il Saggio su Treviso 1922–1924

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La Pene­tra­zio­ne del fasci­smo nel­la Mar­ca tre­vi­gia­na, La Mar­cia sul­le ammi­ni­stra­zio­ni comu­na­li, 1922–1924

a cura di Lucio De Bor­to­li e Ame­ri­go Manes­so

Tre­vi­so, Istre­sco, Spi Cgil, 2024, pp. 302, € 20.00

Era il 1999, quan­do i Sen­za sicu­ra, ska – punk da Tre­vi­so, sciol­ti­si ormai da mol­ti anni e tut­ta­via rima­sti nel­la memo­ria, chiu­de­va­no l’ultima trac­cia del loro secon­do album per la Gri­da­lo for­te, Radi­ci sen­za ter­ra, con il coro aggra­zia­to “Gen­ti­li­ni ce lo suca, alé, alé”. La loro cit­tà era, infat­ti, nel bel mez­zo del­la lun­ga sin­da­ca­tu­ra di Gian­car­lo Gen­ti­li­ni, Sin­da­co dal 1994 al 2003, Vice­sin­da­co fino al 2013 e, anco­ra, Con­si­glie­re nel 2018, recen­te­men­te scom­par­so. Il pri­mo sin­da­co – sce­rif­fo, indub­bia­men­te ante­si­gna­no, per cer­ti ver­si assie­me a Gian­car­lo Cito di Taran­to, di un modo disgra­zia­ta­men­te fol­klo­ri­sti­co di inten­de­re la poli­ti­ca ammi­ni­stra­ti­va ed il rap­por­to con la cit­ta­di­nan­za. Un leghi­sta di ori­gi­ni demo­cri­stia­ne che, una vol­ta elet­to, ha mani­fe­sta­to tut­to il suo visce­ra­le anti­co­mu­ni­smo ed il con­tra­sto all’immigrazione nel nome del­le “cit­tà più sicu­re”, rila­scian­do dichia­ra­zio­ni raz­zi­ste che pun­tual­men­te fini­va­no in pri­ma pagi­na. Il suo, di fat­to, filo – fasci­smo lo avreb­be altre­sì por­ta­to a rifiu­ta­re il seces­sio­ni­smo di Bos­si. Un esem­pio che avreb­be fat­to scuo­la, e non esclu­si­va­men­te nel­la sola destra, in una real­tà com­ples­sa ed arti­co­la­ta com’era comun­que quel­la di Tre­vi­so, allo­ra al cen­tro del model­lo di svi­lup­po det­to del Nor­de­st.

Com­ples­sa ed arti­co­la­ta era anche la sto­ria del­la cit­tà vene­ta, fat­ta di pecu­lia­ri ori­gi­ni socio­po­li­ti­che che ave­va­no subi­to una radi­ca­le tra­sfor­ma­zio­ne duran­te il Ven­ten­nio, con quel­la mas­sic­cia ter­zia­riz­za­zio­ne che avreb­be influi­to nel dna di mol­ti cen­tri mino­ri del Pae­se.

Il sag­gio in que­stio­ne rico­strui­sce le cir­co­stan­ze in cui que­sto pro­ces­so ebbe ini­zio. Occor­re, anzi­tut­to, ricor­da­re che nel Tre­vi­gia­no era atte­sta­to il Fron­te del­la Gran­de guer­ra, lì pas­sa il Pia­ve, lì c’è il Comu­ne di Cene­da, ribat­tez­za­to Vit­to­rio Vene­to. Tre­vi­so era quin­di la “Cit­tà di retro­via”, con il pro­ble­ma del­la gestio­ne dei pro­fu­ghi e, imme­dia­ta­men­te dopo, del­la rico­stru­zio­ne dei ter­ri­to­ri dan­neg­gia­ti dal Con­flit­to. Un’area, quin­di, poten­zial­men­te suscet­ti­bi­le alla pro­pa­gan­da nazio­na­li­sta alla qua­le, inve­ce, rispo­se in modo non uni­vo­co.

Tre­vi­so, a tal pro­po­si­to, era assur­ta alle cro­na­che nazio­na­li per i disor­di­ni del luglio 1921, assie­me a Viter­bo, Sar­za­na e Roc­ca­stra­da. Nel mez­zo di quel mese incan­de­scen­te, in una spe­cie di avvi­cen­da­men­to con le Tre gior­na­te di Viter­bo, 10–12 luglio, Tre­vi­so (una curio­si­tà: le sigle del­le due cit­tà sono le stes­se let­te­re capo­vol­te, Tv e Vt), dal 12 al 14 vede l’incursione puni­ti­va dei fasci­sti, su cui gli stes­si auto­ri han­no, per il Cen­te­na­rio dei fat­ti, redat­to un con­tri­bu­to (Squa­dri­sti vene­ti all’assalto di Tre­vi­so, Istre­sco, 2021), col­man­do quel­lo che era un vero e pro­prio vuo­to biblio­gra­fi­co. A chi era mag­gior­men­te rivol­to nei fat­ti quell’assalto? Il prin­ci­pa­le ber­sa­glio era indub­bia­men­te nel­le orga­niz­za­zio­ni par­ti­ti­che, sin­da­ca­li e socio­cul­tu­ra­li cat­to­li­che. E qui venia­mo alla spe­ci­fi­ci­tà del­la sto­ria in ogget­to.

Esi­ste cer­to, qui come altro­ve, una pre­sen­za socia­li­sta, che fa rife­ri­men­to al perio­di­co “Il Lavo­ra­to­re” e che ammi­ni­stra alcu­ni comu­ni ma che sul ter­ri­to­rio si mani­fe­sta in modo discon­ti­nuo. Il gros­so del­la Mar­ca è ege­mo­niz­za­to dai cat­to­li­ci, dal 1919 orga­niz­za­ti nel Par­ti­to popo­la­re ita­lia­no (Ppi), che fan­no rife­ri­men­to ai perio­di­ci “Il Pia­ve” e “L’Idea”, ed è comun­que con­si­sten­te, seb­be­ne più a mac­chia di leo­par­do, la com­po­nen­te repub­bli­ca­na, con il perio­di­co “La Riscos­sa”. Qui, i cogno­mi del­le per­so­na­li­tà di spic­co del­le due ten­den­ze poli­ti­che fini­sco­no ad esse­re fon­te di agget­ti­va­zio­ne per chi si pone al loro segui­to. Per i repub­bli­ca­ni si par­la di “ber­ga­mi­ni”, in base alla figu­ra di Gui­do Ber­ga­mo e, per i popo­la­ri, di “coraz­zi­nia­ni”, per via di Gue­sep­pe Coraz­zin, instan­ca­bi­le agi­ta­to­re poli­ti­co e sin­da­ca­le cat­to­li­co, fon­da­to­re de “Il Pia­ve” e diri­gen­te dell’Unione del lavo­ro. La sua mor­te, avve­nu­ta il 18 novem­bre 1925, a segui­to del bru­ta­le pestag­gio subi­to dal­le cami­cie nere a Tre­vi­so nell’ottobre dell’anno pri­ma, men­tre pas­seg­gia­va con la moglie incin­ta Emi­lia Cal­de­ri­no, che lo ave­va for­te­men­te mina­to nel fisi­co, è indi­ca­ti­va per il sen­so del­la sto­ria qui rico­strui­ta.

Sot­to il pro­fi­lo, per così dire, tec­ni­co, la pre­sa del­le ammi­ni­stra­zio­ni da par­te fasci­sta è avve­nu­ta qui un po’ con le stes­se moda­li­tà riscon­tra­te altro­ve: dimis­sio­ni degli ammi­ni­stra­to­ri e dei con­si­glie­ri a segui­to di minac­ce e coer­ci­zio­ni, con la ver­ba­liz­za­zio­ne di fit­ti­zie moti­va­zio­ni per­so­na­li o d’altro tipo. Un pro­ces­so che avreb­be visto una for­te acce­le­ra­zio­ne a segui­to del­la Mar­cia su Roma, “per il muta­to qua­dro poli­ti­co”, con il con­se­guen­te scio­gli­men­to del­le giun­te, nuo­ve ele­zio­ni con liste di soli fasci­sti, o di nota­bi­li a loro fun­zio­na­li, ed ecco la pre­sa del pote­re. I fasci­sti, anche qui come altro­ve, sono rap­pre­sen­tan­ti dei ceti pos­si­den­ti e pri­vi­le­gia­ti, con qual­che reclu­ta pro­ve­nien­te dal­le for­ze già rivo­lu­zio­na­rie, attra­ver­so il pri­sma dell’interventismo. Non man­ca­no qui gran­di pro­prie­ta­ri di ori­gi­ne austroun­ga­ri­ca minac­cia­ti nei loro beni dal­le espro­pria­zio­ni. Le moda­li­tà di azio­ne sono le stes­se: pri­ma di pas­sa­re alle mani, si minac­cia­no som­mi­ni­stra­zio­ni di olio di rici­no e di “san­to man­ga­nel­lo”, facen­do nomi e cogno­mi, dal­le colon­ne di “Cami­cia nera”, orga­no del Fascio di Tre­vi­so.

La spe­ci­fi­ci­tà è data dal com­por­ta­men­to del­le for­ze poli­ti­che pro­le­ta­rie e popo­la­ri dinan­zi all’avanzata fasci­sta. I repub­bli­ca­ni, poten­zial­men­te i più attrat­ti dal­le sire­ne del­la pro­pa­gan­da mus­so­li­nia­na, vista la sim­bio­si del loro pro­gram­ma con quel­lo ini­zia­le dei Fasci, qui si pon­go­no in una net­ta posi­zio­ne pro­to – anti­fa­sci­sta, cosa che non si veri­fi­ca in tut­te le aree del Pae­se; anche se in que­sto àmbi­to non è del tut­to da esclu­de­re l’indirizzo del­le rispet­ti­ve log­ge mas­so­ni­che di obbe­dien­za.

Di asso­lu­to inte­res­se è la vicen­da dei cat­to­li­ci. Il Ppi nasce nel 1919 e tro­va, per così dire, la pap­pa pron­ta: non deve far­si cono­sce­re e agi­ta­re il pro­prio pro­gram­ma tra le mas­se, poten­do con­ta­re sul­le plu­ri­se­co­la­ri strut­tu­re eccle­sia­sti­che e, in par­ti­co­la­re, sul­le loro arti­co­la­zio­ni di base, vale a dire i par­ro­ci. Si va alle ele­zio­ni ammi­ni­stra­ti­ve e si pren­de tut­to, ma le sole urne non basta­no: ci sono dei fer­men­ti che agi­ta­no la socie­tà ita­lia­na e che vedo­no pro­ta­go­ni­sta il mon­do con­ta­di­no – orga­niz­za­to nel­le leghe bian­che -, nel Tre­vi­gia­no più con­si­sten­te che in altre par­ti, alme­no in rela­zio­ne al com­ples­so del­le atti­vi­tà lavo­ra­ti­ve.

Nel Bien­nio ros­so si veri­fi­ca qui il feno­me­no del cosid­det­to Bol­sce­vi­smo bian­co, per­ché spes­so sono gli asso­cia­ti alle orga­niz­za­zio­ni cat­to­li­che che pren­do­no ini­zia­ti­va e la por­ta­no a ter­mi­ne con una cer­ta vee­men­za. Si par­la di Ardi­ti bian­chi (una deno­mi­na­zio­ne che sareb­be tor­na­ta poco dopo nel Cre­mo­ne­se per defi­ni­re i popo­la­ri vici­ni al Depu­ta­to Gui­do Miglio­li) che com­pio­no azio­ni con­tro il padro­na­to, fino a dare l’assalto alle abi­ta­zio­ni e a far sot­to­scri­ve­re i pat­ti colo­ni­ci ai lati­fon­di­sti con la for­za. Insom­ma, una vera a pro­pria orga­niz­za­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria nel­le azio­ni che, però, riflui­to il Bien­nio ros­so sem­bra dis­sol­ver­si. Nel Bien­nio nero, quel­lo dell’offensiva fasci­sta del 1921–22, lad­do­ve i fasci­sti si ricor­da­no a memo­ria dei bol­sce­vi­chi bian­chi con­tro cui inten­do­no infat­ti com­pie­re la ven­det­ta dei pos­si­den­ti, que­sti Ardi­ti sem­bra­no scom­par­si come enti­tà, e la rispo­sta di stra­da spet­ta agli Ardi­ti del popo­lo, che anche nel­la Mar­ca si orga­niz­za­no ed agi­sco­no, e ai comu­ni­sti, che fan­no rife­ri­men­to a “L’Eco dei soviet”, pub­bli­ca­to a Vene­zia, con tut­ti i limi­ti poli­ti­ci ed orga­niz­za­ti­vi del caso.

Sul­la dis­so­lu­zio­ne di que­sto ardi­ti­smo bian­co, aldi­là dei fat­to­ri ogget­ti­vi ed uni­ver­sa­li, non è da esclu­de­re abbia­no gra­va­to i ten­ten­na­men­ti del­la diri­gen­za Ppi che sta­va, pez­zo per pez­zo, ceden­do ai fasci­sti, accu­san­do i set­to­ri sin­da­ca­li e pro­le­ta­ri di estre­mi­smo. E pro­prio con l’accusa di estre­mi­smo era sta­to espul­so l’esponente Cor­ra­di­no Ita­li­co Cap­pel­lot­to, che, giu­sto nel 1921, fon­da­va quin­di il Par­ti­to cri­stia­no del lavo­ro.

In con­clu­sio­ne, come si vede, una sto­ria loca­le che si dimo­stra espli­ca­ti­va per la com­pren­sio­ne del qua­dro poli­ti­co nazio­na­le, che si sia a cono­scen­za di nomi e loca­li­tà cita­ti o meno. Il volu­me si pre­sen­ta come rac­col­ta di con­tri­bu­ti sull’argomento. Tra gli auto­ri, oltre ai cura­to­ri: Ales­sio Bar­baz­za, Pier Pao­lo Bre­sca­cin, Loren­zo Capo­vil­la, Gia­cin­to Cec­chet­to, Danie­le Ceschin, Isa­bel­la Gia­nel­lo­ni, Simo­ne Mene­gal­do e Iva­no Sar­tor. Han­no com­pi­to un lavo­ro otti­mo nei con­te­nu­ti e nel­la scrit­tu­ra, basan­do­si su con­si­sten­ti fon­ti d’archivio, libra­rie ed eme­ro­te­ca­rie, con la capa­ci­tà di anda­re subi­to al sodo, sen­za tan­ti rag­gi­ri, e di coglie­re, come si deve, la sto­ria sul fat­to.

Sil­vio Anto­ni­ni

 

 

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Redazione di Lotta Continua
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