È uscito da poche settimane l’ultimo libro di Giuseppe Muraca, “Un fare comune. Da “Politecnico a “Diario”. Riviste italiane del secondo Novecento”. Il Convivio Editore, 14 euro.
Giuseppe Muraca oggi può essere considerato il maggiore conoscitore delle culture della sinistra eterodossa, nelle sue diverse espressioni, dei primi decenni del secondo dopoguerra. Lo testimoniano le sue numerose pubblicazioni prodotte nel tempo, in particolare negli ultimi anni. La rassegna delle riviste che vanno da “Politecnico” a “Diario” sviluppata in “Un fare comune” è un ulteriore tassello della pluridecennale ricerca condotta dall’autore.
Una ricerca storica dei fermenti politici e culturali degli anni Sessanta e Settanta, comprendendo il periodo del dopo ’56, non può prescindere dalla valutazione del ruolo fondamentale che hanno svolto le riviste, in quegli anni di straordinaria creatività e innovazione.
In un passo dei Quaderni del carcere, Gramsci scriveva: “Bisogna riconoscere apertamente che le riviste di per sé sono sterili, se non diventano la forza motrice e formatrice di istituzioni culturali a tipo associativo di massa, cioè non a quadri chiusi”. Le riviste esaminate nel saggio di Muraca hanno offerto un valido contributo alla formazione e alla preparazione politico-culturale della generazione della “nuova sinistra”, dei movimenti collettivi.
Muraca sostiene, a ragione, che tutte le riviste della “nuova sinistra” sono state “prodotte e autogestite dai principali animatori”, il che consente di mantenere un’autonomia culturale e politica, diventando in questo modo un riferimento della massima importanza per un crescente pubblico di giovani, spesso militanti politici, che si posizionano alla sinistra dei partiti della sinistra tradizionale. A questo proposito l’autore cita Franco Fortini, quando scrive che gli animatori di quelle riviste “ebbero coscienza, anche se non chiarissima, che un certo tipo di comunicazione non può e non deve necessariamente passare attraverso la convenzione culturale tradizionale (…). E questo proprio per motivata sfiducia nelle forme gerarchiche della comunicazione…”.
Il primo capitolo del testo dedica ampio spazio alla vicenda di “Il Politecnico” e al suo direttore responsabile Elio Vittorini. La prima fase della Rivista riflette lo stato di “ particolare fervore politico-culturale dettato dalla convinzione che si stava vivendo in un momento eccezionale”. Ci troviamo negli anni dell’immediato dopoguerra; il primo numero della rivista esce il 29 settembre del 1945. Dopo 20 anni di dittatura e cultura fascista per Vittorini è giunto il tempo di aggiornare criticamente la cultura italiana, aprirla ai contributi che possono giungere anche dall’estero. Si tratta di sperimentare un percorso di “cultura della prassi”, di volgere lo sguardo in direzione delle nuove generazioni, delle classi subalterne e dei ceti progressisti. L’ambizione è quella di far crescere una cultura che possa contribuire a cambiare la società. Un punto questo che accomuna le riviste della sinistra critica.
Muraca ripercorre le vicende della breve, ma intensa, vita de “Il Politecnico” (la rivista chiude con il numero 39 nel dicembre 1947), con una particolare attenzione alla diatriba con il Partito Comunista, la polemica Alicata-Togliatti con Vittorini accusato di “astrattismo”, “intellettualismo”, “avanguardismo”. Un episodio conflittuale, quest’ultimo, giudicato dall’autore del testo “uno degli episodi cruciali della cultura del nostro dopoguerra”. A proposito di questo contraddittorio, Muraca cita inoltre un illuminante passaggio di Romano Luperini, intellettuale della nuova sinistra e profondo conoscitore di storia della letteratura del Novecento: “Da una parte e dall’altra la questione del rapporto tra politica e cultura fu posta in termini non teorico-politici ma etico-culturali, senza fondarla in un’analisi di classe e in una ridefinizione critica del ruolo degli intellettuali nell’ambito di un processo rivoluzionario”.
Pur nei limiti evidenziati da Muraca, “Il Politecnico” rilancia la riflessione sul rapporto fra intellettuali e politica, intellettuali e movimento operaio, una questione di primaria importanza per gli intellettuali di sinistra nei decenni del dopoguerra.
Per l’autore del saggio, si tratta di una rivista con un carattere “provocatorio, anticonformista e rivoluzionario”, ma anche il fatto di essere “un esempio forse unico di una visione politica rivoluzionaria che si fonde perfettamente con l’avanguardismo culturale e letterario del suo direttore”. Il Politecnico resta in ogni caso “un esempio a cui si ispireranno le successive riviste del marxismo critico: “Discussioni”, “Ragionamenti”, “Quaderni Piacentini”.
Segue la segnalazione di un periodico poco conosciuto come è stata la rivista “Discussioni” su cui hanno scritto giovani interni ai partiti della sinistra tradizionale, alcuni dei quali saranno protagonisti della intellighenzia della sinistra negli anni successivi, pensiamo a Renato Solmi, Claudio Pavone, Cesare Cases, oltre a Franco Fortini già interno alla rivista di Vittorini.
Non si può dimenticare il contesto politico-culturale in cui si collocano le prime riviste trattate dal saggio. Sono gli anni dei “dieci inverni”, secondo la brillante definizione di Fortini. Anni in cui si annoverano eventi che smorzano gli entusiasmi “progressisti” nati in seguito alla Liberazione. Volendo sintetizzare: mancata riforma e continuità con il vecchio Stato, soffocanti condizionamenti internazionali, esclusione dei socialcomunisti dal governo, pesante sconfitta del Fronte Popolare alle elezioni del 18 aprile del ’48, repressione nelle piazze e in fabbrica (“gli anni duri alla Fiat”), la sconfitta della Fiom alle elezioni della Commissione Interna della Fiat nel ’55, mutamenti dei rapporti di forza fra le classi.
La rivista “Ragionamenti” viene fondata a Milano nel 1955. Negli anni Sessanta “con lo sviluppo della nuova sinistra e della contestazione operaia e studentesca, ha acquistato un valore quasi simbolico in quanto legata a quel particolare nodo di problemi di carattere teorico, politico e culturale che fu “l’indimenticabile 1956” “. Come nel caso de Il Politecnico, nonostante un invito al dialogo, l’apparato teorico e la linea politica del Partito Comunista dimostrano di non tollerare critiche, specialmente se provengono dalla sua sinistra. Muraca richiama la dura critica di Alicata agli “sconfinamenti e la linea antitradizionale e antidogmatica dei marxisti critici”, quali sono i redattori e i collaboratori di “Ragionamenti”.
Quindi il 1956 , il XX Congresso del Pcus e i fatti di Ungheria, un “anno di svolta: un’epoca del socialismo si era chiusa per sempre e se ne stava aprendo un’altra”. “L’indimenticabile 1956” apre però anche nuove prospettive agli intellettuali della sinistra eterodossa, nuovi stimoli che trovano un’accoglienza nelle riviste. La rigidità della politica culturale del Partito Comunista spinge alcuni intellettuali a rivolgersi al Partito Socialista al cui interno è presente una consistente ala sinistra e una maggiore apertura.
L’importanza delle riviste dei “dieci inverni” non sta nel numero delle copie vendute, dell’ordine più delle centinaia che delle migliaia, quanto piuttosto dell’essere state strumento di una prima formazione e di esperienze di battaglia culturale.
Il secondo capitolo del saggio sviluppa ragionamenti su riviste volte al rinnovamento culturale e letterario. Si tratta di “Officina”, “Il Menabò”, “Il Verri” e “Quindici”. Quest’ultima nasce come rivista letteraria, per caratterizzarsi in senso sempre più politico con l’emergere della contestazione. Nanni Balestrini, che ha diretto per alcuni anni la rivista, diventerà un intellettuale della sinistra operaista, il suo romanzo-cronaca delle lotte del ’69 a Mirafiori, “Vogliamo tutto”, composto sulla base della testimonianza di un operaio, è un riferimento classico di quegli eventi.
Il terzo capitolo è dedicato alle riviste della nuova sinistra. La loro nascita si colloca nella prima metà degli anni Sessanta. La situazione internazionale ha subito mutamenti importanti: la rottura del movimento comunista internazionale con la crisi fra Cina e Urss fra gli anni Cinquanta e Sessanta, le insorgenze nel Terzo Mondo con la vittoria della rivoluzione castrista e della rivoluzione algerina. In politica interna, dopo la caduta del governo Tambroni, si avvia l’esperimento del centro-sinistra. Eventi quali le grandi manifestazioni antifasciste contro il governo Tambroni, i fatti del giugno ’60 a Genova con il protagonismo dei giovani con le “magliette a strisce” e ancor più il ritorno delle lotte operaie a Milano e a Torino con gli scioperi alla Fiat e gli scontri del luglio ’62 in piazza Statuto, restituiscono l’immagine di una società non pacificata.
Nella prima metà degli anni Sessanta nascono riviste che sono “lo strumento privilegiato di ricerca, d’intervento e di dibattito teorico, politico e culturale”. Come afferma Muraca nella prima metà degli anni Sessanta “si verificò la fusione tra due generazioni di intellettuali della nuova sinistra, tra quella dei “dieci inverni”… e quella dei vari Asor Rosa, Tronti, Rieser, Bellocchio, Fofi, Mottura, Negri, Alquati, Lanzardo, Bologna, Luperini e pochi altri”.
Si tratta ancora di piccoli nuclei di intellettuali militanti che introducono nuovi temi di riflessione orientati anche alla prassi, si pensi ad esempio all’inchiesta operaia, ad un più preciso approfondimento del rapporto fra intellettuali e classe operaia, al rapporto fra teoria e prassi, ad una lettura dell’opera di Marx, in particolare del libro Primo del Capitale, che si distanzia da quella dei partiti del Movimento Operaio ufficiale.
Il numero delle nuove riviste di questo periodo è considerevole, anche se, sottolinea l’autore, si tratta di pubblicazioni che “circolano quasi clandestinamente e raramente superano il migliaio di copie” con l’eccezione dei Quaderni Rossi. Alcune riviste di questo periodo della seconda metà degli anni Sessanta e in concomitanza con le lotte operaie e studentesche del 68–69 cambiano l’originaria natura per caratterizzarsi progressivamente in senso prettamente politico. È il caso di “Giovane critica”, “Nuovo impegno”, i “Quaderni Piacentini”, un discorso analogo si può fare per riviste poco conosciute come “Ideologie” e “Che fare”, mentre “La Sinistra”, diretta inizialmente da Lucio Colletti e sostenuta dall’editore Giangiacomo Feltrinelli, fin dalla nascita è decisamente politicizzata con una particolare attenzione alle lotte del Terzo Mondo. Va ricordato che la rottura fra Cina e Urss ha effetti anche nel panorama dell’area a sinistra del Pci. Fin dalla prima metà degli anni Sessanta nascono gruppi e partitini (con relativi giornali e riviste) che si richiamano alla linea del Partito comunista cinese. Si tratta di un fenomeno poco rilevante quantitativamente i cui sviluppi sono ardui da seguire, d’altra parte in questo caso non si può nemmeno parlare di “sinistra eterodossa”.
Il filone “operaista” trae origine nell’esperienza dei “Quaderni Rossi” il cui primo numero esce nel 1961. Fra i promotori spiccano i nomi di due importanti teorici del marxismo italiano del secondo dopoguerra: Mario Tronti e Raniero Panzieri. Le vicende di questa rivista sono state trattate ampiamente in articoli, saggi, convegni, anche in considerazione degli sviluppi successivi alle divergenze e alla separazione fra Tronti e Panzieri. I “trontiani” fondano “Classe Operaia”, poi “Contropiano”. Volendo semplificare ed etichettare si può affermare che la “destra” e lo stesso Tronti rientrano ufficialmente nel Partito Comunista, Asor Rosa aderisce al Psiup. La “sinistra” sarà determinante nella formazione del Potere Operaio nazionale. Sull’uso dell’etichetta di “operaismo” per comprendere tutti gli intellettuali che hanno partecipato all’esperienza dei Quaderni Rossi la discussione si può dire che non si sia mai chiusa.
Il lavoro di Muraca si sofferma giustamente sulla storia dei Quaderni Piacentini, una rivista che “ha attraversato un ventennio (o poco più) cruciale della storia del nostro paese , durante il quale esso ha conosciuto un tumultuoso, dirompente e radicale processo di trasformazione e si sono manifestati ed esauriti definitamente culture, valori ideali, eventi collettivi e movimenti politici e sociali di singolare portata (marxismo , nuova sinistra, ’68, autunno caldo, femminismo, il ’77). Da questo punto di vista l’itinerario della rivista ha rappresentato proprio la parabola di una generazione di intellettuali che dopo aver vissuto un periodo di entusiasmo e di illusioni ha dovuto fare i conti con la sconfitta e il tracollo del loro progetto politico, delle loro istanze di cambiamento e dell’intera sinistra”. Penso si possa affermare che i Quaderni Piacentini siano stati la più importante rivista degli anni Sessanta e Settanta. Occorre ricordare che Muraca ha pubblicato, presso la casa editrice Ombre Corte, due saggi che trattano le figure di due esponenti di rilievo dei Quaderni Piacentini: Franco Fortini e Piergiorgio Bellocchio. Si tratta di “Piergiorgio Bellocchio e i suoi amici” (2018) e “L’integrità dell’intellettuale. Scritti su Franco Fortini” (2022).
Tra gli altri meriti il saggio di Muraca, ha anche il pregio di tratteggiare alcune note sulle riviste “Ombre Rosse” e “Mondo beat”.
Il primo numero di “Ombre Rosse” esce il 1° maggio del 1967, la prima serie chiude con il numero del dicembre 1969. Nasce a Torino come rivista di cinema, un ambito culturale di notevole importanza in quegli anni. Ha scritto Goffredo Fofi, citato dall’autore: “Il cinema e i film servivano per capire, per allargare gli orizzonti, per cercare suggestioni, indicazioni, conferme, in un dialogo continuo tra la propria condizione e il momento storico”.
Nel gruppo redazionale troviamo Goffredo Fofi e altri giovani cultori del cinema critico, insoddisfatti della “cultura cinematografica dominante” e della politica della sinistra ufficiale, alcuni di loro li troviamo attivi nel Movimento Studentesco torinese, Paolo Bertetto insegnerà “Storia e critica del cinema” all’Università di Torino.
La rivista avvia una nuova serie a partire dal 1971 e uscirà fino al numero 33 (1981). Principale animatore: Goffredo Fofi. Con il passare del tempo si colloca all’interno del movimento esprimendo una vicinanza con le posizioni di Lotta Continua. In “Ombre Rosse” trovano spazio le tematiche sulla condizione giovanile, sul femminismo, sulla scuola, sul movimento dei disoccupati organizzati. Il movimento del 77 entra nel dibattito della rivista, dove prevalgono posizioni vicine alla “teoria dei bisogni”, su questi argomenti la rivista pubblica un quaderno: “Bisogni, crisi della militanza, organizzazione proletaria”. L’ultimo numero è incentrato sul testo di C. Lasch “La cultura del narcisismo” che prefigura l’antropologia dominante nei decenni successivi.
Il 4° capitolo è dedicato a “Mondo beat” e la cultura underground italiana. Si tratta di un passaggio importante della formazione “pre-politica” delle giovani generazioni. Forse a causa della prevalenza di un certo tipo di operaismo, di economicismo, nella ricostruzione storica di quegli anni, risulta sottovalutato il ruolo del fenomeno beat, più in generale direi il peso dei movimenti giovanili americani. Come scrive Muraca “Nella seconda metà degli anni Sessanta il fenomeno beat ebbe una certa rilevanza anche nel nostro paese incidendo su diversi settori dell’attività culturale e artistica (la musica, la letteratura, il cinema, la pittura, il disegno, la moda, sulla mentalità, sul modo di vivere, sul modo di concepire il mondo e la vita e sul costume dei giovani”. In 14 pagine l’autore ricostruisce la vicenda, poco cosciuta, di “Mondo beat”.
Il 5° capitolo è dedicato a riviste che si collocano negli del cosiddetto “riflusso”: “Salvo imprevisti”, “Alfabeta”, “Linea d’ombra”, “Diario”.
L’ultimo capitolo, scritto dalla poetessa Gabriela Fantato, ha per titolo “Un pensiero eretico: il femminismo degli anni Settanta e le sue riviste”.
Il lavoro di Giuseppe Muraca sulle riviste della sinistra critica, per la cui compilazione l’autore dichiara di aver seguito i suoi interessi letterari e politici, è un utile strumento per arricchire la conoscenza del pensiero critico e della sinistra eterodossa dei decenni del secondo dopoguerra. La ricchezza delle note e una “Bibliografia essenziale”, posta nelle ultime pagine del libro, offrono adeguati strumenti per chi volesse approfondire queste tematiche.
EllePi