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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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La crisi del sindacato - Note per un’inchiesta

La crisi del sindacato - Note per un’inchiesta

La pesante crisi economica che caratterizza l'attuale fase storica sta nuovamente portando in primo piano le tematiche del lavoro dopo decenni di marginalità politica, mediatica e culturale. Condizioni materiali del lavoro, tipologie dei contratti di lavoro, rapporti fra lavoro e vita, salario e reddito stanno riprendendo la scena e chiedono risposte che, oggi, il sindacato non è in grado di dare.

Nello stesso tempo l'intensità della crisi con i suoi effetti mettono a nudo in modo impietoso la debolezza del sindacato e delle sue pratiche difensive e rivendicative. Il sindacato giunge all'appuntamento con la prima grande crisi economica di questo millennio con le armi spuntate, privo di strumenti di lotta adeguati, logorato da un progressivo declino più che ventennale.

In effetti, siamo di fronte ad una crisi di lunga durata che investe un po' tutti i paesi industrializzati e praticamente coinvolge tutti i modelli di sindacato, come dimostra il calo dei tassi di sindacalizzazione che risparmia solo alcuni paesi nordici (Svezia, Finlandia, Danimarca) dove il sindacato gestisce i fondi assicurativi che tutelano la disoccupazione.
Va ancora sottolineato che le cifre complessive degli iscritti, se scomposte, mettono in evidenza il continuo aumento della percentuale dei pensionati e la riduzione dei lavoratori attivi, con una lieve controtendenza che si è registrata negli ultimi anni.

Possiamo datare l'inizio del declino del sindacato in Italia a partire dalla sconfitta del ciclo di lotte degli anni Settanta e dalla grande trasformazione del modello produttivo che ha trainato lo sviluppo economico nei tre decenni successivi alla Seconda Guerra mondiale.

Esaurito quel ciclo d’intensa crescita produttiva e della domanda di mercato, l'impresa si trova a dover fare i conti con un mercato saturo, estremamente variabile, imprevedibile e difficilmente pianificabile. Deve quindi operare per ridurre i costi, aumentare la produttività e introdurre la flessibilità predisponendo una profonda ristrutturazione tecnologica e territoriale, operando su uno scenario sempre più internazionale e disperdendo l'impresa su un territorio più o meno vasto.

Le innovazioni che vengono introdotte si traducono, in ambito produttivo, in tutte quelle forme che oggi ci sono familiari: dimagrimento della grande fabbrica, flessibilità, precarietà, frammentazione ed esternalizzazione, nuovo ruolo dei sub-fornitori, ecc.

Il sistema della fabbrica fordista produceva, con le sue grandi agglomerazioni, prodotti standardizzati ma anche forme di aggregazione sociale, sia pure forzate, meccaniche e dispotiche.
La nuova organizzazione della produzione per svilupparsi deve consumare i legami sociali creando le forme d’insicurezza che ci sono note e un costante vissuto di rischio e di imprevedibilità. Viene minata alle radici la possibilità e la permanenza dei legami sociali che vengono ininterrottamente spezzati.
È proprio a partire da queste profonde trasformazioni e dall'incapacità di produrre delle risposte incisive e complessive che si origina la lunga crisi del sindacato.

Questa grande trasformazione, questa “controrivoluzione del Capitale” che si dispiega fra gli anni ˈ70 e ˈ80, spazza via la grande fabbrica, intesa come uno spazio con grandi capacità di ricomposizione e di socializzazione (sia pure forzata) e travolge il sindacato come strumento di rappresentanza dei bisogni e degli interessi operai.
In questo passaggio molto denso della fine del Novecento, non sono cambiate solamente le condizioni tecniche del lavoro, si è trasformata anche la soggettività dei lavoratori, sono mutati profondamente anche i lavoratori, una “mutazione antropologica” con conseguenze enormi.

Abbiamo di fronte un'avanzata frammentazione del lavoro, un'individualizzazione del rapporto di lavoro che ha contribuito non poco all'erosione e al declino della dimensione collettiva. Questa individualizzazione, maggiormente presente nei lavoratori più giovani, orienta sempre di più i soggetti al lavoro a concentrarsi sui bisogni immediati, a richiedere la soluzione del problema personale, ad avere nei confronti del sindacato un atteggiamento utilitaristico.

Quello che interessa a me (singolo, ma anche azienda) non riguarda gli altri e, d'altra parte, i problemi degli altri non mi riguardano. Come riflesso si sviluppa la tutela “fai-da-te”, la contrattazione individuale che si scontra con un padrone sempre più propenso a fare una contrattazione unilaterale.
La condizione di soggettività individualizzata non è prodotta solamente dalle mutazioni dell'organizzazione della produzione e dall'introduzione di contratti precari, questi da soli non spiegano un fenomeno che investe tutti i rapporti sociali. Il prevalere generalizzato del “modello del mercato” spezza il legame tra individuo e società, mette in discussione, minandola alle fondamenta, la capacità individuale di riferirsi al “bene comune”. Ne risulta una individualità fortemente ripiegata su una dimensione “privata”, sganciata da ogni dimensione collettiva.
Come reagisce il sindacato di fronte a queste trasformazioni oggettive e soggettive? A quale livello è la consapevolezza sindacale di questi problemi?
Nel recente passato il sindacato si è riprodotto nelle sue forme tradizionali, incapace di cogliere l'irreversibilità delle trasformazioni. Si è riprodotto come macchina burocratica, come corpo separato dai lavoratori e, in particolare, dalle nuove figure del lavoro frammentato. Ai lavoratori si presenta sempre più come un'agenzia di servizi, un “grande avvocato” che calamita quindi un'adesione opportunistica, legata al problema immediato e personale del singolo lavoratore.

Attorno a questi nodi, come redazione di Lotta Continua, intendiamo aprire un ragionamento dando voce a quei soggetti che, in modi e con ruoli diversi, vivono i problemi del lavoro e dei bisogni ad esso collegati con l'obiettivo di mettere a fuoco i grandi limiti dell'azione sindacale odierna e individuare ipotesi di nuovi percorsi per sviluppare e gestire i conflitti sul lavoro e sui bisogni sociali.

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