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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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La riforma del fisco del Governo Meloni, introducendo 3 aliquote al posto di 4, penalizza ceti medio-bassi e bassi. Contro la flat tax.

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La riforma del Fisco negli anni Settanta partiva da un dibattito nel Parlamento attorno alla necessità di costruire un sistema con tassazioni progressive. Tanto più alto era il reddito quanto maggiore sarebbe stata l’aliquota e la tassazione.

Non una idea rivoluzionaria ma senza dubbio avanzata socialmente e attenta alle entrate dello Stato per recuperare risorse a favore del welfare, della sanità e della istruzione.

A distanza di 50 anni gli scenari sono cambiati. Il welfare ridimensionato, le privatizzazioni sempre in auge e dominante l'idea neoliberista che abbassando le tasse, a beneficio soprattutto dei redditi elevati, si possa recare benefici all'economia e al paese. Salvo poi scoprire, quando sarà troppo tardi, di avere costruito una società con disuguaglianze crescenti e uno Stato sociale ridotto ai minimi termini.

Sempre 50 anni fa ci fu un dibattito serio, prevalse l'idea, dell'allora ministro Visentini, che la progressività andasse limitata ai redditi da lavoro mentre altri sostenevano di includere nella tassazione anche i redditi finanziari ed immobiliari. Già allora, erano gli anni della fuga di capitali verso l'estero. Era ben chiaro che una tassazione progressiva avrebbe dovuto considerare anche i redditi derivanti dalla finanza (capitali quotati in borsa, conti in banca e proprietà di immobili), anche se questa ipotesi apparve troppo radicale e venne, con successo, osteggiata da Confindustria e dai grandi capitali.

A prevalere oggi, con il Governo delle destre e la compiacenza di tanti settori del capitale che albergano anche nel centro sinistra, l'idea che si paghino troppe tasse (detto da qualche lavoratore dipendente è credibile ma non certo per chi a casa porta da 70 mila euro l'anno in su). Che l'eccessiva tassazione pesi come un macigno sul lavoro e sulle imprese semplificando al contempo quelle sulle rendite. La semplificazione negli anni è stata una sorta di parola magica finita poi con interventi fiscali che hanno solo favorito i redditi elevati impoverendo nel complesso le entrate a favore dei servizi sociali.

C'è da dire che la progressività nel tempo è stata considerata una sorta di antico retaggio ugualitario e allo stesso tempo sono stati costruiti meccanismi tali da vanificarne l'effetto ad esempio le fatidiche detrazioni. Poi ci sono redditi di natura finanziaria con una cedolare fissa al 26% che scivola al 20 in caso di canone concordato. Inoltre la possibilità dei grandi capitalisti che possono arrivare nel nostro paese di pagare 100 mila euro, che in rapporto ai capitali reali posseduti rappresentano una percentuale irrisoria. Nel corso degli anni anche quanti sventolavano, sempre meno, la bandiera della progressività si sono mossi per vanificarla e hanno raggiunto con i vari Governi il loro obiettivo.

Ma l'idea che sia proprio il meccanismo Flat tax (tassa piatta), come lo definiscono su Il Sole 24 ore esponenti del Governo e del ministero delle Finanze, a dominare il fisco del futuro non sta in piedi perché si criticano le troppe scappatoie dell'odierno sistema fiscale per sradicare invece ogni ipotesi di tassazione progressiva.

Possiamo, anzi dovremmo, lavorare su crediti di imposta, detrazioni e deduzioni, sulle troppe agevolazioni che alla fine rappresentano autentiche scappatoie. Ma non è il meccanismo della tassa piatta la soluzione del problema, anzi rappresenta il problema visto che nei paesi dove è stata approvata ci sono state massicce privatizzazioni e disuguaglianze crescenti che hanno avuto effetti negativi sulla tenuta del sistema pubblico.

Ci viene in mente il primo capitolo del libro di Visco (La guerra delle tasse, edizioni Laterza 2023). Una giovane potrà ereditare la cospicua fortuna familiare, ma alla fine affittando gli immobili pagherà solo una imposta ridotta sui proventi degli affitti, stesso discorso sugli investimenti derivanti dalla eredità in titoli. Questa giovane donna, se ben consigliata da un commercialista, erediterà una fortuna pagando poche tasse e vivendo nel corso della sua esistenza senza mai lavorare.

Gli ultimi 40 anni neoliberisti ci consegnano un paese nel quale non solo è venuto meno quella sorta di patto sociale derivante dai 30 anni “d’oro” neo Keynesiani, ma con interventi parziali dei Governi si sono favoriti i redditi da capitale finanziario ed immobiliare.

E se oggi il Governo Meloni asserisce di volere porre fine a questa disuguaglianza in realtà vuole raggiungere risultati ancor peggiori come una tassa piatta che alla fine favorirà ulteriori e crescenti iniquità e disuguaglianze.

Nell'Italia degli anni Settanta, fino al Governo Craxi, esistevano 32 scaglioni con una aliquota minima al 10% e una massima al 72%, nei 40 anni successivi hanno fatto a gara per eliminare queste tassazioni progressive le quali, aggiunte ai contributi sociali sui redditi da lavoro, avevano consentito la costruzione di un welfare che almeno ha permesso cure sanitarie semi gratuite e un generale accesso alla istruzione.

I paesi a capitalismo avanzato, con la scusa di semplificare, hanno in realtà ridotto il numero degli scaglioni e questo ha solo alimentato disuguaglianze sociali ed economiche impoverendo lo stato sociale.

Le imposte sulle società sono diminuite in maniera rilevante rispetto a quelle imposte ai lavoratori dipendenti, la liberalizzazione dei capitali ha vinto sul lavoro proprio, in virtu' della disarticolazione del sistema progressivo e costruendo meccanismi di detrazioni dei quali hanno beneficiato i redditi elevati. È cambiato il rapporto di forza, 50 anni fa i lavoratori erano forti e combattivi e i padroni pagavano più tasse, oggi i ruoli si sono invertiti e l’idea delle 3 aliquote andrà a rafforzare questo stato di cose.

In 40 anni, i dati solo del FMI, l'aliquota di imposta sulle società è passata dal 50% al 25% circa, praticamente dimezzata, guardate le nostre buste paga e vi accorgerete che un simile trattamento non ci è stato minimamente riservato.

Le democrazie, si fa per dire, occidentali 50 anni fa, ricavavano il 70% delle tasse da redditi derivanti dal lavoro, oggi, tra precarietà e disoccupazione, siamo arrivati a meno del 50%, allora è evidente che i soldi mancanti debbano pagarli i capitali finanziari ed immobiliari che invece da tempo vengono salvaguardati da ogni Governo, tecnico, di centro sinistra o di destra.

Occorre guardare oltre le dichiarazioni di intenti, perché il Governo in teoria ha ragioni da vendere nel rivendicare una profonda revisione degli sconti e delle detrazioni, ma se la soluzione del problema è distruggere lo stesso principio della progressività la soluzione si prospetta catastrofica per una società con sempre maggiori disuguaglianze e  danni per i lavoratori subordinati.

A cura della redazione pisana di Lotta Continua.

 

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