L’Italia cresce meno di ogni altro paese UE

0

L’I­ta­lia cre­sce meno di ogni altro pae­se Ue La irre­ver­si­bi­le cri­si di un capi­ta­li­smo deca­den­te che pun­ta tut­to sul­la ridu­zio­ne del pote­re di acqui­sto e i bas­si sala­ri

Stra­no a dir­si ma l’I­ta­lia è il fana­li­no di coda dei pae­si del­l’a­rea euro, del resto negli ulti­mi 40 anni i nostri sala­ri sono rima­sti pra­ti­ca­men­te fer­mi men­tre cre­sce­va­no in ogni altra nazio­ne Ue, abbia­mo per­so pote­re di acqui­sto tan­to nel pri­va­to quan­to nel pub­bli­co dove i 9 anni di bloc­co del­la con­trat­ta­zio­ne e del­le assun­zio­ni ci han­no rega­la­to la for­za lavo­ro più vec­chia in asso­lu­to, la meno for­ma­ta e moti­va­ta e anche tra le meno paga­te in asso­lu­to.

Leg­gia­mo testual­men­te dal­la edi­zio­ne de Il Sole 24 ore del 19 Otto­bre

Per il pros­si­mo anno l’Italia met­te in pro­gram­ma la cre­sci­ta più bas­sa dell’Eurozona (1,2%, con­tro l’1,4% del­la Fran­cia, l’1,6% del­la Ger­ma­nia e il 2% del­la Spa­gna), e la spe­sa per inte­res­si di gran lun­ga mag­gio­re dell’area (il 4,2% del Pil, un pun­to un più del­la Gre­cia.

Se il para­me­tro di con­fron­to è quel­lo con la Ger­ma­nia l’I­ta­lia esce deci­sa­men­te con le ossa rot­te visto che i sin­da­ca­ti tede­schi han­no strap­pa­to aumen­ti sala­ria­li nel 2023 supe­rio­ri all’8% riman­dan­do ulte­rio­ri incre­men­ti all’an­no 2024. I sala­ri ita­lia­ni sono a livel­li infi­mi e gli aumen­ti con­trat­tua­li ben lon­ta­ni anche dal con­si­de­ra­re l’au­men­to del­l’in­fla­zio­ne che ormai si atte­sta attor­no all’8 per cen­to. Sem­pre in Ger­ma­nia, dopo la reces­sio­ne del 2023, si annun­cia una cre­sci­ta del PIL pari all’ 1,6% per  l’anno pros­si­mo.

Maga­ri sia­mo davan­ti a pre­vi­sio­ni desti­na­te ad esse­re smen­ti­te ma la situa­zio­ne del capi­ta­li­smo ita­lia­no è vera­men­te pro­ble­ma­ti­ca, basti pen­sa­re che gli aiu­ti sta­ta­li tede­schi sono supe­rio­ri del 10 per cen­to ai miliar­di del PNRR nostra­no. Entra­no in gio­co due fat­to­ri: l’ar­re­tra­tez­za del capi­ta­li­smo ita­lia­no che ha pun­ta­to tut­to sul­le delo­ca­liz­za­zio­ni pro­dut­ti­ve, sul bas­so costo del lavo­ro e sugli aiu­ti pub­bli­ci e la ina­de­gua­tez­za del siste­ma fisca­le nazio­na­le con la tas­sa piat­ta per gli auto­no­mi e aiu­ti a non fini­re alle impre­se.

E par­lan­do del PNRR dimen­ti­chia­mo che buo­na par­te dei finan­zia­men­ti euro­pei all’I­ta­lia com­por­te­ran­no il paga­men­to di one­ro­si inte­res­si.

Il costo del dena­ro potreb­be arri­va­re da qui a due anni al 4,6% con un aggra­vio di costi per impre­se e fami­glie e que­sto dato la dice lun­ga sul­la pre­sun­ta effi­ca­cia del­la mano­vra di Bilan­cio che l’I­ta­lia sta per vara­re.

L’Italia il pros­si­mo anno avrà un defi­cit supe­rio­re al 3% del Pil, in buo­na com­pa­gnia con Bel­gio, Fin­lan­dia, Fran­cia, Slo­vac­chia e Slo­ve­nia, il calo del debi­to non è per altro indi­ca­to da que­sti ed altri pae­si Ue e sap­pia­mo quan­to sia­no diri­men­ti i para­me­tri di Maa­stri­cht da qui nasce la neces­si­tà di rive­de­re il Pat­to di sta­bi­li­tà che sarà ogget­to di con­fron­to, e di divi­sio­ne, tra le eco­no­mie for­ti e domi­nan­ti euro­pee e quel­le in mag­gio­re dif­fi­col­tà come l’I­ta­lia. E sot­to­va­lu­ta­ti resta­no gli effet­ti del­la guer­ra sul­le eco­no­mie nazio­na­li, tut­ti i pae­si euro­pei uni­ti nel­l’a­cri­ti­co soste­gno a Ucrai­na ed Israe­le sen­za mai pren­de­re atto che que­sti con­flit­ti avran­no riper­cus­sio­ni nega­ti­ve soprat­tut­to sul “Vec­chio con­ti­nen­te”.

Non è dato sape­re se saran­no poi rag­giun­ti gli obiet­ti­vi indi­ca­ti nel­la NaDef, è inve­ce pro­ba­bi­le che pro­prio que­sti dati saran­no rivi­sti già nel pros­si­mo inver­no.
Chiu­dia­mo sul­le pen­sio­ni per­ché la Leg­ge For­ne­ro pre­ve­de l’au­men­to del­l’e­tà lavo­ra­ti­va in base alle aspet­ta­ti­ve di vita che dal­la pan­de­mia ad oggi risul­ta­no inve­ce in decre­sci­ta.  Se con­ti­nuia­mo ad anda­re in pen­sio­ne dopo i 67 anni di età alla fine il van­tag­gio del­l’Inps diven­ta elo­quen­te con una aspet­ta­ti­va di vita infe­rio­re alle pre­vi­sio­ni di 3\4 anni or sono. Se la spe­ran­za di vita si allun­ga il coef­fi­cien­te di cal­co­lo del­la pen­sio­ne diven­ta meno favo­re­vo­le per lo Sta­to per­ché avrà da paga­re l’as­se­gno pre­vi­den­zia­le per un nume­ro mag­gio­re di anni ma se inve­ce, come sta acca­den­do, dimi­nui­sce l’a­spet­ta­ti­va di vita i van­tag­gi diven­ta­no elo­quen­ti per le cas­se pub­bli­che ma assai meno nel deter­mi­na­re l’im­por­to del­l’as­se­gno pre­vi­den­zia­le. Que­sta bre­ve descri­zio­ne tec­ni­ca indur­reb­be a pen­sa­re che sia pro­prio la Leg­ge For­ne­ro il vero e insor­mon­ta­bi­le pro­ble­ma, dimi­nui­sce l’a­spet­ta­ti­va di vita ma i requi­si­ti per la pen­sio­ne di vec­chia­ia resta­no inal­te­ra­ti.

Per esse­re chia­ri, anche rive­den­do il coef­fi­cien­te in base alla aspet­ta­ti­va di vita pos­sia­mo pen­sa­re che le pen­sio­ni saran­no ade­gua­te al costo del­la vita?  La rispo­sta è nega­ti­va se pen­sia­mo agli attua­li qua­ran­ten­ni che tra part time e vuo­ti con­tri­bu­ti­vi avran­no un doma­ni asse­gni irri­so­ri costrin­gen­do lo Sta­to ad inter­ven­ti a soste­gno del pote­re di acqui­sto che avran­no un cer­to peso sul­le sem­pre più tra­bal­lan­ti cas­se sta­ta­li.

Nessun commento

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Redazioni di Lotta Continua
Exit mobile version