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martedì, 3 Dicembre 2024

«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

[K. Marx]

Il re è morto. Evviva il re!

Cer­to è mor­to un uomo.

Ma un uomo non è mai solo un uomo. È l’insieme del­le idee che ha per­se­gui­to e del­le azio­ni che ha com­piu­to. Sono quel­le a crea­re il mon­do in cui si ritro­va a vive­re.

E più gran­de il suo pote­re, più aumen­ta il river­be­ro di que­ste azio­ni, più il pic­co­lo mon­do del sin­go­lo diven­ta il mon­do dei mol­ti.

Le idee mani­fe­ste di Sil­vio Ber­lu­sco­ni era­no in par­te quel­le dei ram­pan­ti anni ’80: l’uomo che si fa da sé, il self-made man all’italiana, che non ha biso­gno di soste­gni né del­lo Sta­to; che spin­ge per la pri­va­tiz­za­zio­ne di ogni risor­sa più o meno mate­ria­le; che si gode la vita, con le bel­le don­ne, col buon cibo, con le auto e le squa­dre di cal­cio che com­pra a caro prez­zo; che più che nei pro­gram­mi poli­ti­ci, con­fi­da negli spot, più velo­ci, sem­pli­ci e subli­mi­na­li; che non cre­de nel­la col­let­ti­vi­tà, se non come ser­ba­to­io di qual­sia­si tipo di ener­gia da sfrut­ta­re, ma nei per­so­na­li­smi; che non ha com­pa­gni, né came­ra­ti, ma tut­ti ami­ci, uni­ti dal tin­tin­nio che ridà la vista o la toglie a secon­da dei casi; che usa la cul­tu­ra come orna­men­to, distra­zio­ne o coper­tu­ra; che sa bene quan­to con­ta l’immagine e la comu­ni­ca­zio­ne, per­ché è l’immagine che si ven­de, non il pro­dot­to.

Una par­te del pae­se, del pae­se rea­le come si dice, ha sem­pre sapu­to che Ber­lu­sco­ni non si era fat­to da solo, ma dove­va la sua sca­la­ta da un lato agli appog­gi mafio­si e dall’altro ai favo­ri­ti­smi di per­so­nag­gi, che rico­pri­va­no ruo­li di pri­mo pia­no nell’apparato sta­ta­le e non solo (Cra­xi fu solo uno dei tan­ti). Gli stes­si che gli han­no per­mes­so di occul­ta­re pro­ve, pie­ga­re la leg­ge a pro­prio uso fino al grot­te­sco, evi­ta­re la gale­ra e di rima­ne­re in gio­co fino ai suoi ulti­mi gior­ni di vita.

Que­sta par­te vede­va da subi­to die­tro i colo­ri pastel­lo del pri­mo video récla­me del­la disce­sa in cam­po, il ghi­gno e la vio­len­za del pre­da­to­re. Que­sta par­te non dimen­ti­ca­va i gio­chi a quiz, l’erotismo di secon­da sera­ta, i car­to­ni ani­ma­ti per i più pic­co­li, le soap ope­ra per anzia­ni e casa­lin­ghe, i tele­gior­na­li lec­ca­cu­lo, i tele­film e i for­mat d’esportazione per gli ado­le­scen­ti.

L’american way of life, por­ta­ta fin den­tro ai salot­ti degli ita­lia­ni. Salot­ti che pure gli ope­rai si era­no potu­ti per­met­te­re gra­zie alle lot­te dei decen­ni pre­ce­den­ti. Quel­le lot­te che in par­te era­no deflui­te nei cen­tri socia­li, non tro­van­do più nes­su­na for­ma di acco­glien­za e rap­pre­sen­tan­za all’interno dei palaz­zi. Ed è pro­prio nei cen­tri socia­li, negli ulti­mi grup­pi extra­par­la­men­ta­ri rima­sti, in cer­te asso­cia­zio­ni e coo­pe­ra­ti­ve socia­li che riem­pi­va­no il vuo­to sta­ta­le, nel­le scuo­le e nel­le uni­ver­si­tà che abi­ta­va anco­ra un’alternativa cul­tu­ra­le e poli­ti­ca, che si attac­ca­va agli ulti­mi fili del ‘900. Que­sti luo­ghi sem­bra­va­no inat­tac­ca­bi­li e la coscien­za poli­ti­ca che si nutri­va li ren­de­va imper­mea­bi­li alla nuo­va pro­pa­gan­da. Chi non si face­va per­sua­de­re dal nuo­vo imma­gi­na­rio, ci riu­sci­va per­ché ne ave­va uno pro­prio, anco­ra cal­do, vivo e comu­ni­ta­rio.

Visto che le date pos­so­no faci­li­ta­re a vol­te la com­pren­sio­ne, pur sem­pli­fi­can­do, potrem­mo dire che dopo il 2001, l’annus hor­ri­bi­lis del G8 di Geno­va e dell’attacco alle Tor­ri Gemel­le, si sono sgre­to­la­ti gli ulti­mi pez­zi del vec­chio mon­do e con lui gli equi­li­bri che li tene­va­no insie­me.

La pre­ca­riz­za­zio­ne inne­sta­ta, il sus­se­guir­si del­le cri­si del capi­ta­li­smo, i tagli sem­pre più mas­sic­ci al wel­fa­re, l’aumento del con­trol­lo con la scu­sa del ter­ro­ri­smo, la dif­fu­sio­ne dei social media, la per­di­ta tota­le del pote­re con­trat­tua­le dei sin­da­ca­ti, la depo­li­ti­ciz­za­zio­ne del­la vita in gene­ra­le, l’inizio del­la sosti­tu­zio­ne dei dirit­ti socia­li con quel­li civi­li han­no aumen­ta­to mise­rie e soli­tu­di­ne.

In uno sce­na­rio in cui la cul­tu­ra devi­ta­liz­za­ta diven­ta­va orpel­lo del­le éli­te di siste­ma, la scuo­la azien­da­liz­za­ta non for­ma­va più e l’informazione pro­pul­si­va acca­ta­sta­va dati alla velo­ci­tà del­la luce, l’alienazione è diven­ta­ta pla­ne­ta­ria e inter­clas­si­sta.

Così l’uomo dell’ultimo ven­ten­nio è sta­to sem­pre più per­mea­bi­le a quel­le stes­se idee di ram­pan­ti­smo e di edo­ni­smo di cui sopra. Dico uomo, pro­prio per la natu­ra inter­clas­si­sta del feno­me­no. E anche i pochi baluar­di di lot­ta e cul­tu­ra non era­no più al sicu­ro, pro­prio per­ché ave­va­no ormai per­so le loro fun­zio­ni e si era­no allon­ta­na­ti dal ter­ri­to­rio.

“Lo spet­ta­co­lo è il capi­ta­le a un tal gra­do di accu­mu­la­zio­ne da dive­ni­re imma­gi­ne” — “Nel mon­do real­men­te rove­scia­to, il vero è un momen­to del fal­so.”

Que­sti due con­cet­ti fol­go­ran­ti, che da visio­na­rio, Debord rie­sce a cap­ta­re sessant’anni fa, sono già incar­na­ti nel Ber­lu­sco­ni degli anni ’90. È infat­ti il pri­mo che cura di con­ti­nuo la sua imma­gi­ne e usa quel­la degli altri a suo pia­ci­men­to. Un tra­sfor­mi­sta, che pren­de su di sé l’ombra di un popo­lo, che nel­la dele­ga sem­bra sol­le­var­si, non sapen­do che nel­la sepa­ra­zio­ne si strin­ge da solo il cap­pio.

Il pri­mo a fre­gar­se­ne del­la sto­ria e a sguaz­za­re in un eter­no pre­sen­te, in cui vero e fal­so si fon­do­no. E la rin­cor­sa die­tro i dati non fa che far­ci affan­na­re in un’attualità fuo­ri dal tem­po.

Ber­lu­sco­ni è sta­to l’incarnazione del­lo spet­ta­co­lo che è in gra­do di assor­bi­re qual­sia­si for­ma di oppo­si­zio­ne, facen­do­la pro­pria. Un blob con le pail­let­tes. E gli spet­ta­to­ri non han­no capi­to che era lo spet­ta­co­lo che li con­su­ma­va. Lo stes­so che anco­ra paga­no a caro prez­zo.

Nun­zio Di Sar­no

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