Il re è morto. Evviva il re!

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Cer­to è mor­to un uomo.

Ma un uomo non è mai solo un uomo. È l’insieme del­le idee che ha per­se­gui­to e del­le azio­ni che ha com­piu­to. Sono quel­le a crea­re il mon­do in cui si ritro­va a vive­re.

E più gran­de il suo pote­re, più aumen­ta il river­be­ro di que­ste azio­ni, più il pic­co­lo mon­do del sin­go­lo diven­ta il mon­do dei mol­ti.

Le idee mani­fe­ste di Sil­vio Ber­lu­sco­ni era­no in par­te quel­le dei ram­pan­ti anni ’80: l’uomo che si fa da sé, il self-made man all’italiana, che non ha biso­gno di soste­gni né del­lo Sta­to; che spin­ge per la pri­va­tiz­za­zio­ne di ogni risor­sa più o meno mate­ria­le; che si gode la vita, con le bel­le don­ne, col buon cibo, con le auto e le squa­dre di cal­cio che com­pra a caro prez­zo; che più che nei pro­gram­mi poli­ti­ci, con­fi­da negli spot, più velo­ci, sem­pli­ci e subli­mi­na­li; che non cre­de nel­la col­let­ti­vi­tà, se non come ser­ba­to­io di qual­sia­si tipo di ener­gia da sfrut­ta­re, ma nei per­so­na­li­smi; che non ha com­pa­gni, né came­ra­ti, ma tut­ti ami­ci, uni­ti dal tin­tin­nio che ridà la vista o la toglie a secon­da dei casi; che usa la cul­tu­ra come orna­men­to, distra­zio­ne o coper­tu­ra; che sa bene quan­to con­ta l’immagine e la comu­ni­ca­zio­ne, per­ché è l’immagine che si ven­de, non il pro­dot­to.

Una par­te del pae­se, del pae­se rea­le come si dice, ha sem­pre sapu­to che Ber­lu­sco­ni non si era fat­to da solo, ma dove­va la sua sca­la­ta da un lato agli appog­gi mafio­si e dall’altro ai favo­ri­ti­smi di per­so­nag­gi, che rico­pri­va­no ruo­li di pri­mo pia­no nell’apparato sta­ta­le e non solo (Cra­xi fu solo uno dei tan­ti). Gli stes­si che gli han­no per­mes­so di occul­ta­re pro­ve, pie­ga­re la leg­ge a pro­prio uso fino al grot­te­sco, evi­ta­re la gale­ra e di rima­ne­re in gio­co fino ai suoi ulti­mi gior­ni di vita.

Que­sta par­te vede­va da subi­to die­tro i colo­ri pastel­lo del pri­mo video récla­me del­la disce­sa in cam­po, il ghi­gno e la vio­len­za del pre­da­to­re. Que­sta par­te non dimen­ti­ca­va i gio­chi a quiz, l’erotismo di secon­da sera­ta, i car­to­ni ani­ma­ti per i più pic­co­li, le soap ope­ra per anzia­ni e casa­lin­ghe, i tele­gior­na­li lec­ca­cu­lo, i tele­film e i for­mat d’esportazione per gli ado­le­scen­ti.

L’american way of life, por­ta­ta fin den­tro ai salot­ti degli ita­lia­ni. Salot­ti che pure gli ope­rai si era­no potu­ti per­met­te­re gra­zie alle lot­te dei decen­ni pre­ce­den­ti. Quel­le lot­te che in par­te era­no deflui­te nei cen­tri socia­li, non tro­van­do più nes­su­na for­ma di acco­glien­za e rap­pre­sen­tan­za all’interno dei palaz­zi. Ed è pro­prio nei cen­tri socia­li, negli ulti­mi grup­pi extra­par­la­men­ta­ri rima­sti, in cer­te asso­cia­zio­ni e coo­pe­ra­ti­ve socia­li che riem­pi­va­no il vuo­to sta­ta­le, nel­le scuo­le e nel­le uni­ver­si­tà che abi­ta­va anco­ra un’alternativa cul­tu­ra­le e poli­ti­ca, che si attac­ca­va agli ulti­mi fili del ‘900. Que­sti luo­ghi sem­bra­va­no inat­tac­ca­bi­li e la coscien­za poli­ti­ca che si nutri­va li ren­de­va imper­mea­bi­li alla nuo­va pro­pa­gan­da. Chi non si face­va per­sua­de­re dal nuo­vo imma­gi­na­rio, ci riu­sci­va per­ché ne ave­va uno pro­prio, anco­ra cal­do, vivo e comu­ni­ta­rio.

Visto che le date pos­so­no faci­li­ta­re a vol­te la com­pren­sio­ne, pur sem­pli­fi­can­do, potrem­mo dire che dopo il 2001, l’annus hor­ri­bi­lis del G8 di Geno­va e dell’attacco alle Tor­ri Gemel­le, si sono sgre­to­la­ti gli ulti­mi pez­zi del vec­chio mon­do e con lui gli equi­li­bri che li tene­va­no insie­me.

La pre­ca­riz­za­zio­ne inne­sta­ta, il sus­se­guir­si del­le cri­si del capi­ta­li­smo, i tagli sem­pre più mas­sic­ci al wel­fa­re, l’aumento del con­trol­lo con la scu­sa del ter­ro­ri­smo, la dif­fu­sio­ne dei social media, la per­di­ta tota­le del pote­re con­trat­tua­le dei sin­da­ca­ti, la depo­li­ti­ciz­za­zio­ne del­la vita in gene­ra­le, l’inizio del­la sosti­tu­zio­ne dei dirit­ti socia­li con quel­li civi­li han­no aumen­ta­to mise­rie e soli­tu­di­ne.

In uno sce­na­rio in cui la cul­tu­ra devi­ta­liz­za­ta diven­ta­va orpel­lo del­le éli­te di siste­ma, la scuo­la azien­da­liz­za­ta non for­ma­va più e l’informazione pro­pul­si­va acca­ta­sta­va dati alla velo­ci­tà del­la luce, l’alienazione è diven­ta­ta pla­ne­ta­ria e inter­clas­si­sta.

Così l’uomo dell’ultimo ven­ten­nio è sta­to sem­pre più per­mea­bi­le a quel­le stes­se idee di ram­pan­ti­smo e di edo­ni­smo di cui sopra. Dico uomo, pro­prio per la natu­ra inter­clas­si­sta del feno­me­no. E anche i pochi baluar­di di lot­ta e cul­tu­ra non era­no più al sicu­ro, pro­prio per­ché ave­va­no ormai per­so le loro fun­zio­ni e si era­no allon­ta­na­ti dal ter­ri­to­rio.

“Lo spet­ta­co­lo è il capi­ta­le a un tal gra­do di accu­mu­la­zio­ne da dive­ni­re imma­gi­ne” — “Nel mon­do real­men­te rove­scia­to, il vero è un momen­to del fal­so.”

Que­sti due con­cet­ti fol­go­ran­ti, che da visio­na­rio, Debord rie­sce a cap­ta­re sessant’anni fa, sono già incar­na­ti nel Ber­lu­sco­ni degli anni ’90. È infat­ti il pri­mo che cura di con­ti­nuo la sua imma­gi­ne e usa quel­la degli altri a suo pia­ci­men­to. Un tra­sfor­mi­sta, che pren­de su di sé l’ombra di un popo­lo, che nel­la dele­ga sem­bra sol­le­var­si, non sapen­do che nel­la sepa­ra­zio­ne si strin­ge da solo il cap­pio.

Il pri­mo a fre­gar­se­ne del­la sto­ria e a sguaz­za­re in un eter­no pre­sen­te, in cui vero e fal­so si fon­do­no. E la rin­cor­sa die­tro i dati non fa che far­ci affan­na­re in un’attualità fuo­ri dal tem­po.

Ber­lu­sco­ni è sta­to l’incarnazione del­lo spet­ta­co­lo che è in gra­do di assor­bi­re qual­sia­si for­ma di oppo­si­zio­ne, facen­do­la pro­pria. Un blob con le pail­let­tes. E gli spet­ta­to­ri non han­no capi­to che era lo spet­ta­co­lo che li con­su­ma­va. Lo stes­so che anco­ra paga­no a caro prez­zo.

Nun­zio Di Sar­no

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