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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

(K. Marx)

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Quando gli emigranti siamo noi

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Iniziamo l'anno prendendo spunto dal bel libro di Enrico Pugliese pubblicato pochi mesi fa (Quelli che se ne vanno edizione Mulino) giusto per non perdere l'abitudine di confutare luoghi comuni e pericolose semplificazioni. Gli emigranti, dai dati statistici, non sono solo i\giovani africani che approdano o attraversano il Bel paese spesso senza rimanervi per dirigersi nel Nord Europa dove la richiesta di manodopera è maggiore, gli emigranti siamo anche noi o siamo tornati ad esserlo come accadeva nella prima metà degli anni sessanta.

La nuova immigrazione non è più quella delle valige di cartone che non esistono ormai da oltre 50 anni, a ragione sarà il caso di confutare, anche in estrema sintesi, la lunga sequela dei luoghi comuni sui quali costruiscono il pregiudizio, il paradosso ma anche l'opinione corrente facendo la fortuna dei Salvini di turno. Saremo volutamente schematici per andare diretti al problema

  • la cancellazione dei dati anagrafici nei comuni di residenza non basta a capire l'esatto numero di quelli che abbandonano il nostro paese, non tutti gli italiani che vanno all'estero cancellano le residenze, ergo il loro numero è statisticamente superiore ai dati ufficiali
  • esistono in Italia diversi processi migratori, anche interni al paese (da Sud al Nord, da Ovest ad Est, flussi causati dall'offerta di lavoro). Il fenomeno migratorio è spesso complesso e soggetto a varie dinamiche e composizioni, per questo si semplifica il problema attraverso luoghi comuni conditi con la solita dose di razzismo
  • i nuovi migranti italiani sono anche, non solo ovviamente, manodopera altamente specializzata, basti ricordare la fuga di cervelli ai quali le università e i centri di ricerca italiana hanno chiuso le porte
  • per rovesciare il ragionamento comune oggi in materia di immigrazioni\emigrazione bisognerebbe, una volta tanto, focalizzare l'attenzione su quanti lasciano il nostro paese e sulle ragioni che spingono molti\e alla fuga, rovesciamo allora il ragionamento comune partendo dalla condizione dell'emigrante rimossa dall'immaginario collettivo italiano
  • conoscere la reale consistenza numerica dei processi migratori e confrontarli tra loro è indispensabile per rompere la gabbia della ignoranza dentro cui si muovono furbescamente i leader politici che parlano di assedio, di insostenibilità dell'accoglienza e per questo hanno colpito i richiedenti asilo con il Pacchetto sicurezza
  • 700 mila cittadini italiani sono emigrati all'estero, 300 mila sono tornati, ne restano fuori dal paese 400 mila e parliamo di un periodo ristretto, 8 anni, tra il 2008 e il 2016, siamo l'ottavo paese per emigrazioni internazionali stando a statistiche internazionali. Più che un paese invaso dai migranti sembriamo una nazione in emigrazione come del resto si evince dall'anagrafe degli italiani residenti all'estero. 
  • Due esempi incontrovertibili: nei 4 anni di riferimento sopra menzionati gli italiani emigrati in Germania sono oltre 60 mila, quelli in Gran Bretagna quasi 40 mila. E ricordiamo che solo una parte, minima, degli emigranti, chiede la cancellazione della residenza nel paese di origine, le reali stime sui fenomeni migratori italici potrebbero essere maggiori dei dati ufficiali. Italia allora paese che accoglie migranti ma a sua volta protagonista attiva di fenomeni migratori
  • Da 14 anni gli italiani espatriati sono assai più numerosi dei rimpatriati, siamo tornati ai numeri di metà anni Sessanta giusto per farsi una idea dello stato di salute del Bel paese. La presenza italiana all'estero meriterebbe di essere analizzata e compresa, per esempio pochi sanno che si parte per andare all'estero dalle regioni italiane più ricche per esempio Lombardia seguita dal Lazio) piuttosto che da quelle dove il reddito pro-capite risulta più basso (pensiamo al Meridione). Se si parte da regioni un tempo piene di fabbriche vuol dire che la delocalizzazione ha colpito duramente parti un tempo altamente produttive del nostro territorio, i migranti sono quindi proletari, e in parte quadri, per i quali non c'è più lavoro. E attenzione: sovente a emigrare sono meridionali che hanno studiato nel Nord o figli di vecchi migranti dal Sud che dopo alcuni anni riprendono la valigia dei loro padri per cercare un impiego all'estero
  • Altro aspetto importante è l'età anagrafica dell'emigrante italiano, per lo più sono di età inferiore ai 35 anni ma cresce sempre più la fascia superiore, dai 35 ai 49\50 a dimostrare che la crisi occupazionale italiana è più seria di quanto si creda con espulsioni di massa dal ciclo produttivo di manodopera per altro specializzata e formata. E rispetto al passato il numero delle donne che emigrano è statisticamente superiore
  • il 70% dei nuovi emigranti ha un titolo di studio inferiore alla laurea, non solo fuga di cervelli (in numero sicuramente elevato) ma anche di manodopera con o senza specializzazioni. Negli ultimi anni tuttavia il numero dei migranti con laurea è in aumento il che dovrebbe indurre a qualche riflessione sul nostro sistema di ricerca e di reclutamento nelle università
  • Per capire i fenomeni migratori dovremmo metterci in testa di seguire la domanda di lavoro e le sue dinamiche, si parta dal dato statistico ma affianchiamolo all'analisi dei rapporti di produzione e dai dati cosiddetti oggettivi, il che dovrebbe indurre a rivalutare\aggiornare l'analisi marxiana della società e non ad archiviarla con suggestive (specie per i post marxisti) analisi di moltitudini circolanti per il vecchio continente. Si parte sempre più per motivi di lavoro verso paesi dove viene richiesta manodopera, si va verso i paesi dove maggiore è il Pil, sarà per questa ragione che molti migranti attraversano l'Italia ma solo per andare in altre nazioni.
  • Altro aspetto interessante è il cosiddetto fenomeno eliotropico, i pensionati italiani vanno in paesi esteri attratti non solo dalle condizioni climatiche ma dalla qualità della vita (in certi paesi con 1200 euro di pensione si conduce una vita agiata, come quella di un pensionato italiano con oltre 2300 euro di pensione). Se poi gli anziani decidono di espatriare (l'anziano per antonomasia dovrebbe essere sinonimo di scarsa mobilità) dovremmo essere indotti a qualche riflessione ulteriore, per esempio sul reale potere di acquisto delle pensioni nell'era del calcolo contributivo
  • Importante sarebbe comprendere quali siano i posti di lavoro destinati agli emigranti italiani, il peso dei servizi ristretto all'industria tradizionale, per esempio la prevalenza di settori produttivi a bassa produttività rispetto alla emigrazione sviluppatasi fino agli anni Sessanta e alimentata dalle richieste di manodopera in miniere e fabbriche. Cambia il mercato del lavoro, cambiano i flussi ma si modifica anche il rapporto tra i cosiddetti settori, non a caso molti servizi oggi sono industrializzati come modalità organizzativa, gestionale e produttiva (Amazon per dirne una)
  • utile sarebbe capire anche le dinamiche salariali e contrattuali dei nostri emigranti, quale salario percepiranno nei paesi dove andranno a lavorare e a vivere, quale sarà il sistema di welfare di cui beneficeranno, del resto la precarietà del lavoro (l'assenza di un contratto a tempo indeterminato) è sempre più diffusa ma a questa precarietà corrisponde una rete di protezione sociale funzionale al sistema capitalistico (in questa ottica andrebbe analizzato il reddito di cittadinanza)
  • chiudiamo sul ruolo dell'Italia come crocevia nel Mediterraneo dei flussi migratori non prima di avere ricordato che gli italiani residenti all'estero sono quasi 5 milioni, 50 mila in meno degli stranieri ospitati nel nostro paese. Basterebbero questi dati per confutare il pregiudizio dell'invasione straniera decritta da certa televisione. La differenza sostanziale è che le partenze degli italiani sono avvenute nel corso degli ultimi decenni mentre l'arrivo nel nostro paese di stranieri è avvenuto solo recentemente. 
  • Un ruolo nevralgico giocano l'ignoranza, la disintegrazione del mercato del lavoro italiano sotto i colpi delle delocalizzazioni produttive , immigrazione ed emigrazione dicevamo prima sono flussi gestiti in base alla richiesta di lavoro e  come tali vanno analizzati intrecciandone i dati. Poi è innegabile che il nostro paese, al pari della Spagna o della Grecia tuttavia, sia investito dai flussi di migranti provenienti dall'Africa (un discorso a parte meriterebbero le migliaia di morti affogati nel Mar Mediterraneo, morti senza nome e dimenticati da tutti\e), poco si parla comunque del fatto che il nostro paese sia luogo di transito e non mancano casi innumerevoli di nuovi cittadini italiani che riprendono, dopo pochi anni, la valigia per emigrare
  • Chiudiamo con una conclusione finale riguardante l'Ue di Maastricht: sono proprio i paesi del Sud i più penalizzati in termini economici e sociali, la mannaia dell'Euro e delle politiche di austerità ha colpito duramente paesi come il nostro. Al Sud non c'è mai fine come del resto le stesse nozioni di confini e di frontiere vanno decisamente ripensate sfuggendo alla orribile e farneticante semplificazione in atto.

Federico Giusti – Pisa

 

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