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«Il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente»

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Verso la lotta generale: lottiamo per vivere!

Verso la lotta generale: lottiamo per vivere!

(da Lotta Continua  2 febbraio 1972)

Introduzione
Lavoro o no vogliamo un salario garantito
Vogliamo lavorare di meno: non vogliamo portar via il lavoro ad altri proletari
Vogliamo un aumento uguale per tutti, e che sia grosso
Vogliamo la categoria unica
Vogliamo la casa per tutti
Vogliamo una riduzione dei prezzi dei generi di prima necessità
Vogliamo scuola, trasporti, assistenza gratis
Vogliamo che fascisti e polizia se ne stiano ben lontani dalla nostra lotta

Introduzione

Alla fine dell'anno scadono i contratti per tre milioni di operai. Ma già nei prossimi mesi ci sarà un grosso sviluppo delle lotte nelle fabbriche, nelle piazze, nelle campagne, nelle scuole. La crisi unifica le condizioni di vita di tutti i proletari; e la repressione che il padrone ci scatena contro rende necessario rispondere con una lotta sempre più generale. D'altronde già oggi nelle lotte che ci sono, gli operai e i proletari vedono chiaro che i problemi che ci troviamo di fronte non possono venire risolti, e nemmeno affrontati, con una lotta particolare, di una sola fabbrica, di un solo quartiere, di una sola scuola, anche se molto dura. La risposta giusta all'attacco del padrone è sempre l'estensione e la generalizzazione della lotta, e oggi questo è tanto più urgente quanto più la crisi e la repressione sono dure e generali. Prepararsi ai contratti, vuol dire organizzarsi in vista di una lotta generale che coinvolge tutto il proletariato: gli operai, i disoccupati, i braccianti, gli studenti e le donne proletarie, le masse sfruttate del nord e del meridione. Nelle lotte particolari di oggi e in quelle dei prossimi mesi, dobbiamo saper individuare e proporre degli obiettivi di carattere generale, che fin da ora devono orientare tutto il nostro lavoro di propaganda, di agitazione e di organizzazione delle masse. Questi obiettivi non devono venir calati dall'alto, come una piattaforma già bella e pronta, ma devono dimostrare di essere, in ogni momento, la risposta giusta ai problemi che le masse si trovano di fronte, e per cui già oggi lottano. Questi obiettivi cioè, non hanno senso senza la prospettiva di una lotta generale, ma devono orientare tutte le lotte particolari che ci sono oggi. Ancora una volta il nostro punto di riferimento sono le grandi fabbriche del nord, gli operai che in questi anni sono stati alla testa della riscossa proletaria. Perché il modo in cui i problemi, (cioè la crisi e l'attacco dei padroni e dello stato) si presentano in queste situazioni, ci indica già la strada per affrontarli in modo generale; contando sulle forze di tutto il proletariato, ma utilizzando a fondo la forza e l'esperienza che gli operai si sono conquistati negli ultimi tre anni.



Lavoro o no vogliamo il salario garantito


Nell'autunno del '69, non riuscendo più a tenere sotto controllo la lotta operaia, Agnelli ha cominciato a sospendere e mandare a casa migliaia di operai: preferiva che non lavorassero, piuttosto che correre il rischio che in fabbrica ci venissero soltanto per lottare e organizzarsi contro di lui. I sindacati gli vennero incontro firmando un accordo sulle "ore di scivolamento" in base al quale, dopo un'ora che una linea restava ferma per lo sciopero in qualche altra parte della fabbrica, il padrone poteva mandare a casa gli operai "inattivi" senza pagarli. Questo accordo è diventato la più formidabile arma del padrone contro gli scioperi autonomi degli operai (cioè decisi senza i sindacati) e contro le forme più incisive di lotta, quelle che costano poco agli operai e bloccano tutta la produzione. Da allora, alla FIAT, non passa quasi settimana senza che migliaia di operai vengano mandati a casa da Agnelli, senza essere pagati, per impedire che una lotta che parte da una squadra o da un reparto si generalizzi in tutta la fabbrica. Gli altri padroni hanno imparato da Agnelli: l'anno scorso Pirelli aveva provato a punire gli operai che lottavano autonomamente tagliando il salario a quelli che "riducevano i punti", cioè si autolimitavano la produzione; ma gli è andata male: gli operai hanno intentato un processo al padrone, lo hanno vinto e si son fatti restituire tutti i soldi che il padrone voleva rubargli. Adesso anche Pirelli ha adottato gli stessi metodi di Agnelli: quando un reparto è in lotta, il padrone manda a casa gli operai di un altro reparto senza pagarli, anzi, non li fa nemmeno entrare in fabbrica. La stessa cosa cominciano a fare i padroni dell'Alfa, e presto lo faranno tutti i padroni. Questa vera e propria manovra antisciopero che padroni e sindacati, con il loro linguaggio da farabutti chiamano "messa in libertà" non è molto differente da quello che migliaia di padroni e padroncini stanno facendo in tutta Italia con la "cassa integrazione". Le ore a cassa integrazione aumentano vertiginosamente, ma le statistiche ci dicono poco: i padroni riducono l'orario degli operai molto spesso, ma non sempre la cassa integrazione interviene a "integrare" il salario degli operai che lavorano ad orario ridotto. La cassa poi paga con molto ritardo, e molto spesso gli operai nella loro busta sempre più leggera e sempre più piena di calcoli e "ricalcoli" incomprensibili, non riescono a capire se quelle ore sono state pagate oppure no. I padroni la cassa integrazione la usano come usano in generale tutta la crisi: si sbarazzano di un pò di operai, per poter sfruttare di più quelli che restano, e aspettano che gli operai pieghino la testa per riprendere a produrre a pieno ritmo. I padroni vogliono trasformare le fabbriche come sono le piazze del sud: un posto dove al mattino gli operai vengono per sapere se il padrone li vuole, se per loro c'è lavoro oppure no; e se non c'è se ne vadano pure a casa, se c'è, devono accettare le condizioni del padrone. A questo gli serve la crisi, la cassa integrazione, lo "scivolamento". Ma gli operai non stanno a guardare. Se nelle piccole fabbriche, per ora, è ancora difficile lottare contro la smobilitazione, contro la cassa integrazione, contro i furti sul salario, perché le forze sono poche e divise, nelle grandi fabbriche la risposta c'è, ed è durissima. Alla FIAT è più di un anno che gli operai lottano per farsi pagare le ore di scivolamento, e con la sua "messa in libertà" Agnelli non è riuscito ad impedire agli operai di continuare a fermarsi e a lottare. Per farsi pagare queste ore, gli operai devono essere organizzati in modo che quando il padrone cerca di mandare a casa gli operai di una linea si fermino anche gli operai delle altre linee; così Agnelli, prima di mandare a casa qualcuno, ci penserà due volte. Per far questo ci vogliono dei collegamenti molto solidi tra gli operai di tutte le linee, che sono migliaia, decine di migliaia: è un lavoro immenso ma nella lotta contro lo "scivolamento" cresce un'organizzazione interna che quando avrà la forza per imporsi, metterà in grado gli operai di dirigere completamente le loro lotte dentro e fuori la fabbrica. Alla Pirelli di Settimo gli operai, con una lotta durissima e completamente autonoma, hanno vinto, hanno ottenuto che il salario venisse pagato per intero anche quando restano "inattivi". All'Alfa Romeo di Milano anche gli operai sono entrati negli uffici e hanno detto ai dirigenti: o ci pagate le ore di "scivolamento" oppure vi buttiamo giù dalla finestra: gliele hanno pagate. I sindacalisti, e molti delegati con i piedi in due staffe, cercano di infilarsi in queste lotte per fregarle: non chiedono che gli operai vengano pagati lo stesso, ma che possano lavorare lo stesso: in questo modo cercano di mettere gli operai "inattivi" a causa di uno sciopero a monte o a valle, contro gli operai che con la loro lotta hanno bloccato tutto. Questa linea è perdente e sconfitta in partenza: se gli operai ottengono di "lavorare lo stesso", vuol dire che in fabbrica è tornato l'ordine del padrone, che gli scioperi autonomi non sono più permessi, e che ad impedirli dovranno essere proprio quegli operai che il padrone vuole mandare a casa. L'obiettivo giusto è quello di farsi pagare il salario per intero comunque, e di arrivare ad una lotta generale per imporre l'"abrogazione" di questo accordo truffa sul "non pagamento delle ore di scivolamento" che i sindacati hanno firmato. Perché questo obiettivo, il salario garantito, non riguarda solo le grandi fabbriche: è lo stesso obiettivo per cui lottano, o sono pronti a lottare, le migliaia e migliaia di operai che il padrone, per un motivo o per l'altro, ha messo a orario ridotto o a cassa integrazione; è l'obiettivo di tutti gli operai, gli edili, i braccianti che sono stati licenziati negli ultimi tempi, e che sono disposti a battersi non certo per tornare ad essere sfruttati come una volta, ma per poter vivere, per avere un salario come gli operai che il lavoro sotto padrone ce l'hanno ancora. È l’obiettivo per cui già oggi si battono i disoccupati e i proletari, che la crisi ha ridotto alla fame, nelle piazze dei paesi del sud, come Castellammare; i proletari che fanno la coda davanti agli uffici di collocamento o che sprecano la loro vita nei "cantieri scuola" e in altre truffe del genere, in cambio di una miseria. È l'obiettivo di migliaia di giovani - e non più giovani proletari - che non vogliono più emigrare, o che sono costretti a studiare in cambio di un diploma inutile, perché per loro non c'è lavoro. Sono questi i proletari a cui gli operai delle grandi fabbriche devono saper dire delle parole chiare:
LAVORO O NO, VOGLIAMO MANGIARE, VOGLIAMO VIVERE, VOGLIAMO ESSERE PAGATI.



Vogliamo lavorare di meno non vogliamo portare via il lavoro ad altri proletari


A che cosa serve la disoccupazione lo abbiamo capito in questi anni: a far lavorare di più quelli che restano sotto padrone con la minaccia di perdere il posto. Nelle grandi fabbriche ormai la minaccia di venire licenziato comincia a farsi sentire, tre anni fa non era così: gli operai dicevano "A me se la FIAT mi licenzia, mi fa solo un piacere". Adesso invece trovare un altro posto diventa sempre più difficile, anche perché la FIAT, e tutte le fabbriche, quando licenziano qualcuno passano il suo nome alla questura e in pochi giorni tutti i padroni lo vengono a sapere. Nelle piccole fabbriche poi, se pianti casino, il padrone minaccia addirittura di chiudere tutta la baracca. Perché lo vediamo bene che cos'è la crisi per i padroni: licenziano un bel po’ di operai, ma poi non si produce molto di meno; la produzione la fanno fare tutta a quella metà di operai che sono rimasti: tagliano i tempi, ti impongono lo straordinario, ti levano il tempo per andare a pisciare, e ti fregano pure sulla busta paga. E se protesti ti dicono che puoi anche andartene. Lavorare di meno è nell'interesse dell'operaio: innanzitutto perché ogni ora che si fa sotto padrone è un po’ di salute che se ne va, e più lavori, più stai male. In secondo luogo perché la produzione è la forza del padrone, perché dallo sfruttamento della classe operaia i padroni ricavano tutta la ricchezza che gli permette di comandare su tutto il proletariato, per mezzo dello stato. Se oggi i padroni sono in crisi è perché gli operai li hanno colpiti nella produzione. In terzo luogo perché più l'operaio lavora, più il padrone si può permettere di ridurre il personale, licenziando degli operai, o non assumerne di nuovi, e così continuare a usare i disoccupati per ricattare quelli che sono in fabbrica. È così che la crisi, invece di essere un danno per il padrone, comincia a diventare un elemento di debolezza per la classe operaia. Solo con gli straordinari che si fanno ogni giorno a Milano, si fa il lavoro che richiederebbe altrimenti 100.000 occupati in più. Per questo la lotta contro la produzione, contro l'intensificazione dello sfruttamento, contro il taglio dei tempi, contro lo straordinario, per un accorciamento effettivo della giornata lavorativa, continua ad essere l'arma principale nelle mani della classe operaia per combattere il padrone, anche nei periodi di crisi. Per questo la maniera in cui finirà questa crisi, se i padroni ne usciranno rafforzati, dopo aver piegato la schiena alla classe operaia, o se invece questa crisi sarà proprio l'inizio della fine per tutti i padroni e per il loro sistema di sfruttamento, dipende in gran parte da come gli operai sapranno continuare la loro lotta contro la produzione. Anche con la mutua padroni e sindacati ci hanno fregati. Gli operai hanno lottato per avere la mutua come gli impiegati, cioè di potersene stare a casa quando non si sentono di lavorare, e venir pagati lo stesso al cento per cento. I sindacati, nell'autunno caldo, ci avevano detto che avevamo vinto e adesso salta fuori che la mutua al cento per cento ce l'abbiamo solo i primi due mesi, e poi ci pagano solo a metà, cioè meno di prima. Questo è un provvedimento padronale contro l'assenteismo, così anche la mutua diventa un imbroglio per farci lavorare di più e per toglierci la nostra libertà. Allora la lotta contro la produzione, contro l'intensificazione dello sfruttamento, contro il tentativo di far lavorare di più quelli che restano in fabbrica per licenziare gli altri, deve avere degli obiettivi precisi: NO ALL'AUMENTO DELLA PRODUZIONE, NO ALLO STRAORDINARIO, RIDUZIONE DI ORARIO A PARITA' DI SALARIO PER TUTTI (E SOPRATTUTTO NELLE FABBRICHE DOVE GLI OPERAI VENGONO MESSI A CASSA INTEGRAZIONE), MUTUA PAGATA AL 100 PER CENTO TUTTO L'ANNO. Licenziano e mettono a cassa integrazione perché dicono che non c'è lavoro per tutti: molti padri di famiglia restano a casa e intanto devono mandare le loro mogli, i loro figli a sgobbare per una miseria perché per chi non avanza nessun diritto i padroni trovano sempre da lavorare. In Italia ci sono più di un milione di disoccupati e più di un milione di bambini sotto i 14 anni che lavorano, più di un milione di donne che lavorano a domicilio e nessun proletario anziano riesce a sopravvivere senza lavorare se deve contare solo sulla sua pensione. Nessun padrone deve più sfruttare dei bambini o degli anziani e usarli per creare disoccupazione tra i proletari che hanno famiglia.

 


Vogliamo un aumento salariale per tutti e che sia grosso


Il costo della vita aumenta continuamente. Non ci libereremo mai della schiavitù del salario, cioè dal lavoro sotto padrone, finché lotteremo soltanto per aumentare le nostre paghe. Perché appena i padroni sono costretti dalle nostre lotte a concederci qualcosa con una mano, se lo riprendono subito con l'altra. Ci aumentano un pò la paga e si sono già ripresi tutto con l'interesse, aumentando i prezzi. Questo non vuol dire però rinunciare agli aumenti salariali, perché i prezzi aumentano continuamente; e se non aumentano le paghe, finiremo per lavorare gratis! Quando gli operai hanno cominciato questa ondata di lotte autonome che ha squassato il sistema dei padroni, negli ultimi anni, la cosa che chiedevano di più erano i soldi, perché i soldi sono quello che serve per continuare a vivere in questa società di merda. Poi i padroni hanno cominciato a stringere i cordoni della borsa: le lotte continuavano ma i padroni non mollavano più niente: cioè, diritti sindacali, comitati, e truffe del genere, continuavano a concederli; ma soldi sempre meno. Gli operai si sono accorti che per avere un aumento, un aumento che serva veramente a tener dietro al costo della vita, ci vuole la forza: una forza che gli operai di una sola fabbrica, anche grossa, anche la FIAT, non possono avere; che possono avere solo gli operai di tutte le fabbriche quando lottano insieme, cioè tutta la classe operaia unita nella lotta dura. I sindacati sono i servi dei padroni. Quando i padroni fanno banchetto perché l'"economia è florida", cioè lo sfruttamento viaggia a gonfie vele, i sindacati si occupano di far arrivare agli operai qualche briciola di questo banchetto. Ma quando l'economia va male, quando i padroni sono in "crisi", la prima cosa a cui pensano i sindacati è che a tirar la cinghia cominciano gli operai. È esattamente quello che i sindacati hanno fatto nel '66/'67. Anche allora c'era la "congiuntura" e i padroni piangevano miseria. I sindacati non hanno pensato di meglio che rinunciare a chiedere aumenti salariali, e infatti i contratti del '66/'67 sono stati un vero bidone, in cui non si è ottenuto nulla e si è perso molto. Quest'anno i sindacati si sono inventati una nuova truffa per non farci chiedere aumenti di salario. "Facciamo guadagnare un pò di soldi ai padroni - dicono in sostanza - e poi li costringiamo a utilizzarli per industrializzare il meridione". Con questi argomenti, un anno e mezzo fa, avevano già giustificato la deroga all'orario di lavoro connessa alla FIAT, in cambio della promessa di costruire delle fabbriche al sud. Come se i soldi che i padroni rapinano con lo sfruttamento della classe operaia finissero nelle tasche dei proletari del meridione. In realtà questi soldi i padroni li usano per una cosa sola: organizzare meglio lo sfruttamento della classe operaia al nord e deportare nelle loro fabbriche e nelle loro città schifose nuovi proletari dal sud: cioè maggiore sfruttamento per i proletari al nord come al sud. Non abbiamo alcuna intenzione di lasciare carta bianca ai padroni. A noi di rovinare i padroni non ci fa tristezza: la loro morte è la nostra vita. Gli aumenti salariali li vogliamo e che siano grossi. Non sono le cinque o le diecimila lire che ci ripagano di quello che i padroni ci hanno rubato in questi anni. Ci vogliono trenta, quarantamila lire per tirare di nuovo il fiato. Allora è chiaro che se continuiamo a lottare solo fabbrica per fabbrica, la forza per strappare un vero aumento salariale non ce l'avremo mai. Ma se la classe operaia lotterà tutta assieme, allora la forza per strappare un aumento salariale ce l'avremo e come!

 


Vogliamo la categoria unica


Nella primavera del '69 gli operai della FIAT diedero inizio ad una serie di lotte autonome che dura ancora adesso. L'obiettivo principale per cui erano scesi in lotta è quello della seconda categoria per tutti. Da allora in poi, non solo alla FIAT ma in tutte le fabbriche, ad ogni nuova lotta gli operai non hanno mai rinunciato a questo obiettivo, che è fondamentale, perché rappresenta il principio che di fronte al padrone gli operai sono tutti uguali, che hanno tutti gli stessi bisogni, che non vogliono farsi dividere dal padrone con le differenze di paga, che non sono disposti a leccare per guadagnare di più o per far carriera. Gli operai non vogliono essere pagati per il lavoro che fanno, tanto più che il lavoro sotto padrone è dovunque ugualmente schifoso e faticoso; vogliono essere pagati in base ai bisogni che hanno e alla forza che hanno di strappare più soldi al padrone. Molti degli obiettivi che gli operai si sono scelti autonomamente, come gli aumenti salariali uguali per tutti, sono stati in seguito imposti ai sindacati, che, seppure contro voglia, e solo per "ingabbiare" la lotta operaia, li hanno dovuti includere nella loro piattaforma. La seconda categoria per tutti, cioè, l'eguaglianza salariale tra tutti gli operai, no. I sindacati non l'hanno accettata e non l'accetteranno mai. Da allora in poi, i sindacati si sono arrabattati in ogni modo per cercare di cancellare questo obiettivo dalla testa degli operai, per distorcerlo e trasformarlo nell'obiettivo tanto caro al padrone, di introdurre, anche tra gli operai, una "carriera" con i suoi scatti e le sue promozioni, così come c'è tra gli impiegati. Se padroni e sindacati avessero le mani libere, oggi nelle fabbriche non ci sarebbe più un operaio che prende uguale all'altro, come è successo per tanti anni all' Intersind, dove c'erano 26.000 livelli salariali diversi, grazie al sistema delle "paghe di posto" che per molti anni i sindacati hanno esaltato come una grande conquista della classe operaia. Alla FIAT, fin che han potuto, i sindacati hanno fatto finta che questo obiettivo della seconda per tutti nemmeno esistesse. Quando questo non è stato più possibile, hanno concluso con Agnelli un accordo per distribuire 16.000 seconde categorie tra tutti gli operai FIAT, che sono 140.000, in modo che gli operai si scannassero tra di loro per ottenerla. Per fregare meglio gli operai, hanno formato dei "comitati" con il compito di distribuire queste categorie, in modo che un certo numero di operai si specializzassero a fare la "selezione" tra i loro compagni, per scegliere quelli che il padrone vuol fare andare avanti. L'accordo appena concluso all'Ansaldo, è peggio ancora: cerca di stabilire una vera e propria "carriera" operaia, con sei livelli di paga, in modo che un operaio si debba arruffianare tutta la vita col padrone - o con i sindacati, che è la stessa cosa - per passare da un livello all'altro e percorrere tutta la scala delle retribuzioni. È la stessa cosa che chiedono i sindacati all'Alfa Romeo. Possiamo prevedere che nei prossimi contratti, la parte più importante della piattaforma sindacale sarà dedicata a chiedere questa "carriera". Ma se guardiamo le cose come stanno, vediamo che gli operai questa carriera non la vogliono e non sono disposti a perdere neppure un minuto di sciopero per averla. Alla FIAT, una squadra dopo l'altra continuano a fermarsi per avere la seconda per tutti. All'Alfa Romeo gli operai non lottano certo per la "carriera", ma per colpire il padrone e organizzarsi in vista delle prossime lotte generali. Lo stesso all'Ansaldo e in tutte le altre fabbriche. L'obiettivo della categoria unica, della parità salariale per tutti gli operai è fondamentale non solo per stroncare i tentativi che padroni e sindacati, in combutta tra loro, stanno facendo. E' un obiettivo fondamentale anche perché fa saltare tutti gli imbrogli che ci stanno dietro al problema dei "contratti". E cioè che per i sindacati i metalmeccanici devono avere un contratto, gli edili un altro, i chimici un altro ancora, e così via. Un contratto vuol dire una paga e così succede che ogni operaio riceve una paga diversa dall'altro, come se non mangiassimo tutti la stessa roba, non avessimo tutti moglie e figli da mantenere, affitto da pagare, come se i prezzi non fossero aumentati per tutti allo stesso modo. Allora questo è un obiettivo fondamentale delle prossime lotte: categoria unica, contratto unico, tutti gli operai uniti a lottare per le stesse cose.

 


Vogliamo la casa per tutti


I padroni le case ce le hanno prese. A migliaia ci hanno fatto abbandonare la nostra casa per venire a lavorare nelle loro fabbriche. Hanno distrutto le case, le città, i paesi dove abitiamo con la speculazione con il traffico, con il fumo e lo sporco delle fabbriche. A noi ci mandano ad abitare accatastati nelle soffitte delle pensioni, in casermoni di cemento senza verde e senza comodità. E l'obiettivo della casa per tutti vuol dire molte cose: innanzitutto avere una casa sana, pulita, abitabile, senza vivere come le sardine. Poi non perdere metà del salario o fare due lavori per pagarla. Avere il verde, i negozi, le scuole e gli asili e i divertimenti vicini. Avere i trasporti comodi che ci portano al lavoro. Avere una vita da vivere che non sia fatta soltanto di lavoro. Lottare per la casa vuol dire rivoluzionare completamente il nostro modo di vivere. Per questo, delle lotte per la casa che si sono fatte finora, possiamo dire che sono proprio soltanto all'inizio. Sulla casa ci speculano tutti i nostri nemici: i padroni che ci rapinano il salario con l'affitto. Il governo che ci fa pagare l'affitto due volte con le trattenute. Gli speculatori edili che rendono le città inabitabili e sfruttano per sedici ore gli operai sui cantieri nei periodi di boom, per poi buttarli sul lastrico quando c'è la crisi. I partiti e gli onorevoli che con la promessa delle case gescal si comprano i voti. I burocrati, che sono quelli che queste case riescono a farsele assegnare. I sindacati che ci hanno fatto fare delle giornate di sciopero per una riforma della casa che lascia le cose come stanno. Le case non ce le dobbiamo aspettare dai nostri sfruttatori, come non dobbiamo aspettarci da loro la salute o il benessere. Queste cose gli operai e i proletari le hanno ormai capite, e dove hanno avuto la forza e l'organizzazione per farlo, le case se le sono prese. Ci sono interi quartieri dove se lo sono ridotto da soli, o dove non pagano più il riscaldamento e le spese, e la polizia non ha la forza per sfrattarli, perché sono tutti uniti. L'occupazione di case vuote, soprattutto di case gescal, nelle città del nord come nel meridione sono lotte che si fanno sempre più spesso. Ma sono ancora una piccola cosa, perché queste lotte partono isolate e non si è avuta ancora la capacità di unire sullo stesso obiettivo tutti i proletari che la casa sono veramente disposti a prendersela. Quando la lotta per la casa verrà organizzata direttamente dalla classe operaia, gli operai che oggi si ritrovano uniti a lottare contro il padrone dentro le fabbriche, la casa potrà diventare l'obiettivo di una lotta veramente generale. Un obiettivo alla portata di tutti gli operai e di tutti i proletari, come nell'autunno caldo era alla portata di tutti gli operai la possibilità di cacciare un crumiro o di far scappare un capo o un impiegato dagli uffici. "Occupare le case non risolve il problema, perchè vuol dire toglierle a qualche altro proletario che ne ha bisogno", dicono i sindacati e i servi dei padroni per convincere gli operai ad avere fiducia nelle riforme dei padroni invece che nelle proprie forze. Questo intanto è falso, perché nelle case gescal la precedenza ce l'hanno sempre i ruffiani. Ma soprattutto perché quando i proletari sentiranno di avere veramente la forza per prendersi le case, non si fermeranno certamente alle case gescal. In ogni città ci sono migliaia di appartamenti privati sfitti, e poi ci sono alberghi, uffici, ville e appartamenti dei padroni con tante stanze inutilizzate e doppi o tripli servizi. E 'ora che i padroni si stringano un po’, perché i proletari non possono più aspettare!

 


Vogliamo una riduzione dei prezzi di tutti i generi di prima necessità: cibi, affitti, vestiari


Il costo della vita aumenta continuamente, la crisi non fa che rendere più veloce questo aumento. Il salario degli operai non riesce nemmeno a tenere dietro a questi aumenti: altro che "benessere"! Ma per i disoccupati per gli operai licenziati, per i proletari che si arrangiano con mille mestieri, per non parlare dei pensionati, questo aumento dei prezzi vuol dire la fame. Questa cosa, soprattutto nel meridione, è come una lenta condanna a morte. Gli operai dicono: "chiedere aumenti di salario non basta, non si fa un passo avanti. Quello per cui dobbiamo veramente lottare è un ribasso generale dei prezzi". E' vero! Per imporre un obiettivo del genere non bastano certo le forze degli operai di una fabbrica, e nemmeno quelle di tutti i metalmeccanici messi insieme (che pure sono più di un milione). Per questo i sindacati ci fanno sempre lottare divisi, fabbrica per fabbrica, e hanno diviso tutta la classe operaia in tanti settori (metalmeccanici, chimici, tessili, edili), perché non ci si ritrovi mai tutti insieme a lottare per le stesse cose. Ma questo è proprio il modo migliore per fare gli interessi dei padroni e non quelli nostri. Quello per cui noi lavoriamo, invece, quello che vogliono gli operai di tutte fabbriche che sono in lotta, quello che bisogna riuscire a fare tra i disoccupati e i proletari del meridione, che sono costretti a ribellarsi per sopravvivere, è collegare tutte queste lotte, prepararsi ad una lotta generale, mettere tutti i proletari in condizione di contare fino in fondo sulle proprie forze. Allora un obiettivo come il ribasso dei prezzi non è più un sogno ma una cosa reale, anzi è l'obiettivo più giusto, più concreto, più realistico, perché è veramente quello che vogliono le masse sfruttate ovunque. In altri tempi, soprattutto nei periodi di crisi, come negli anni del dopo guerra, le masse hanno lottato per questo obiettivo e in molti casi hanno anche ottenuto delle vittorie. Perché era un periodo che quando la classe operaia lottava, si trascinava dietro proprio tutta la città. E non per starsene a casa a fare gli scioperi-vacanza che ci hanno insegnato a fare i sindacati per le "riforme", ma per scendere in piazza, per fare tremare le "autorità", per dire chiaro e tondo che le cose o ce le davano o che ce le saremmo prese. Ci sono voluti più di vent'anni di tradimenti dei sindacati e dei dirigenti del partito comunista per abituare la classe operaia a lottare divisa, ora in una fabbrica, ora in un'altra; oggi i metalmeccanici e domani i chimici e sempre per degli obiettivi che non ci ripagano neppure del costo dello sciopero. Ora questa storia sta finendo e deve finire. La conquista più grossa che gli operai e tutti i proletari devono sapere ricavare dagli ultimi tre anni di lotta, è l'aver capito che la lotta bisogna farla tutti insieme, che la nostra forza è l'unità e la volontà di organizzarsi per arrivare a una lotta generale, perchè questo è l'unico modo per raggiungere le cose per cui abbiamo lottato in tutti questi anni. Alcuni compagni dicono: "Questo obiettivo, il ribasso generale dei prezzi, è una cosa troppo grossa. I padroni non possono darcelo e quindi non ce lo vorranno mai dare". Questa non è un'obiezione ma una sciocchezza. Perché questo obiettivo i proletari lo vogliono e saranno pronti a lottare per esso quando sentiranno di avere la forza per farlo. E il motivo per cui noi lottiamo contro i padroni è che le cose che i proletari vogliono, i padroni non possono e non vogliono darlo. O se saranno costretti a concederle, cercheranno subito di rimangiarselo, come hanno fatto e continueranno a fare con tutti gli altri obiettivi. E' per questo che nessuna delle conquiste dei proletari sarà mai sicura finché ci saranno dei padroni. Ma è per questo, anche, che ognuna di queste conquiste può essere un passo avanti verso la distruzione del potere dei padroni e del loro sfruttamento, se continueranno a lottare per difenderle e per andare avanti. Altri compagni fanno l'obiezione opposta: "Questo è un obiettivo riformistico. Le cose i proletari se le devono prendere, non chiederle". Anche questo è un discorso sbagliato. Le cose che i proletari vogliono - e il ribasso generale dei prezzi lo vogliono proprio - non sono nè "riformiste", né "rivoluzionarie". Riformista o rivoluzionario è il modo in cui questo obiettivi vengono portati avanti e il modo in cui viene organizzata la lotta per ottenerli. Noi non andremo in parlamento a chiedere il ribasso generale dei prezzi, ma lavoreremo per organizzare la lotta nelle fabbriche, nei quartieri e nelle piazze. E nemmeno ci preoccupiamo di spiegare ai padroni come salvare capra e cavoli: come concedere il ribasso dei prezzi senza andare in malora e rinunciare a sfruttare i proletari, come fanno invece i sindacati quando chiedono le loro "riforme". Infine ci sono dei compagni che dicono: "Ci sono già stati dei casi in cui le masse hanno lottato per un ribasso dei prezzi e hanno pure ottenuto una vittoria. Sulla carta. Ma poi non c'è stato un solo negoziante disposto ad applicare i nuovi prezzi e tutto è continuato come prima. Anche adesso c'è una legge che impone di vendere il pane a 100 lire al chilo. Ma chi la applica?" Questo è un discorso più serio, perché finalmente centra il problema. Allora bisogna mettere in chiaro che non c'è obiettivo di lotta che abbia senso, o abbia valore, senza organizzazione. Un obiettivo generale come il ribasso dei prezzi è importante perché unisce tutti i proletari, perché fa capire l'importanza di arrivare a una lotta generale, perché spiega molto bene come vanno utilizzate quelle forze che i sindacati cercano continuamente di sprecare con delle lotte sbagliate per degli obiettivi sbagliati. Ma un obiettivo di questo genere non ha nessun senso se non ci si comincia a organizzare fin da ora per raggiungerlo. Questo vuol dire lavorare per unire le lotte. Per collegare tra loro le diverse fabbriche, le fabbriche con i quartieri, gli operai con gli studenti, gli occupati con i disoccupati, il nord con il meridione. Ma vuol dire soprattutto lavorare perché nei quartieri e nei paesi, in tutta la città, gli operai e i proletari disposti a lottare sappiano riconoscere i propri amici e i loro nemici, abbiano non solo la forza, ma anche la capacità e l'organizzazione per prendersi le cose per cui stanno lottando. E questo nel caso dei prezzi, come nel caso di tutti gli altri obiettivi per cui lottano i proletari, è un discorso molto preciso: Ci sono migliaia di bottegai e piccoli commercianti che sono sfruttati come noi, che sono pronti a lottare e hanno bisogno di lottare, per le stesse cose per cui lottano i proletari: per la casa, contro l'affitto, per la sicurezza di vivere, contro le tasse, contro i soprusi delle autorità, contro i pescecani e gli speculatori. A tutti costoro bisogna saper dare dei discorsi chiari: che la lotta la possiamo e la dobbiamo fare insieme, per gli stessi obiettivi. Ce ne sono altre migliaia che stanno fin troppo bene e che sono legati al carro dello sfruttamento, perché vivono di sfruttamento. Contro costoro dobbiamo lottare fin da ora, cominciando a smascherarli, perché sono padroni e staranno sempre con i padroni. "Prendiamoci la città" vuol dire soprattutto questo: che nei quartieri e nei paesi dove abitiamo, non dobbiamo essere degli estranei, dobbiamo conoscere tutti, separare gli amici dai nemici e sapere di ciascheduno come trattarlo. E allora il ribasso generale dei prezzi avremo veramente la forza di imporlo. Ci sono sempre rivolte di intere città, come Avola, Battipaglia, Caserta, per non parlare di Reggio; ma anche nel nord come Porto Marghera o Torino, quando c'è stato corso Traiano, dove i proletari hanno dimostrato di avere una forza immensa. Ma poi dopo non è rimasto niente; anzi, i nemici del popolo, come padroni politicanti, speculatori e persino fascisti se ne sono approfittati. Perché? Perché mancavano obiettivi chiari, ma soprattutto mancava l'organizzazione, la capacità di usare tutta la forza che si aveva, per prenderci i nostri diritti e per colpire i nostri nemici. La prossima volta non deve più succedere.

 


Vogliamo scuola, trasporti, assistenza gratuiti


Sui pullman e sui treni i proletari hanno cominciato a lottare già da qualche anno: non vogliono soltanto viaggiare gratis, o non farsi derubare con l'aumento del biglietto, vogliono viaggiare più comodi, e soprattutto non perdere metà della loro giornata su mezzi lenti e sgangherati, quando ci sono i padroni che per viaggiare hanno ogni comodità. Ma non è un caso che la lotta contro il carovita e la rapina del salario sia cominciata proprio dai trasporti. Perché qui per gli operai di una fabbrica, per gli studenti di una scuola, per i proletari di un paese o di un quartiere è più facile usare l'organizzazione e l'unità che hanno in fabbrica e nella scuola anche per fare la lotta fuori. La lotta è una questione di organizzazione. Mentre in fabbrica e nelle scuole si è tutti insieme, e tre anni di lotta ci hanno insegnato ormai a conoscerci e a fidarci l'uno dell'altro, nei quartieri siamo ancora molto divisi, ci si conosce poco, e tra noi ci sono ancora troppe persone di cui non ci si può fidare ma che non sono state ancora smascherate. Ma a mano a mano che la lotta e l'organizzazione crescono nelle fabbriche, nei cantieri, nelle scuole e anche nelle piazze, i proletari prendono fiducia nelle proprie forze e imparano a riconoscere i propri nemici anche fuori, in tutti i campi della loro vita. La lotta sui trasporti è proprio il segno che questa organizzazione sta crescendo e si estende. Ma è chiaro che non ci fermiamo ai trasporti: la nostra vita è piena di cose che non abbiamo, che dobbiamo pagare a caro prezzo, ma che possiamo prenderci con facilità se siamo tutti uniti e lottiamo tutti insieme: le tasse e i libri di scuola, gli asili, l'assistenza medica e tutto il resto...

 


Vogliamo che polizia e fascisti stiano ben lontani dalle fabbriche, dalle scuole, dai nostri quartieri


Vogliamo i nostri diritti: nessuna delle cose che vogliamo è fuorilegge. Perché non c'è nessuna costituzione del mondo che nega agli uomini il diritto alla vita. Ma appena ci muoviamo per prenderci i nostri diritti, i padroni scatenano contro di noi tutte le loro armi, dalle multe in fabbrica, al ricatto del licenziamento, dalla polizia ai tribunali, dalle galere alle squadre fasciste, fino ad arrivare a sterminare un intero popolo, come stanno cercando di fare in Vietnam. Perché per i padroni fuorilegge non sono le cose che vogliamo (loro le hanno tutte e molte altre ancora). Fuorilegge siamo noi proletari. Infatti hanno organizzato la nostra vita come una galera. Le cose che vogliamo ce le dobbiamo prendere, e se non abbiamo la forza per difenderci tra noi proletari, c'è sempre qualcuno pronto a farcela pagare cara. Questa verità i proletari la pagano a loro spese fin dalla culla e la continuano ad imparare per tutto il corso della vita, perché sappiamo fin troppo bene che basta fare un passo falso, a scuola come in fabbrica, in famiglia come in caserma, che i padroni non te la perdonano. I padroni si perdonano solo tra di loro. Lo fanno tutti i giorni, molte volte al giorno: questa è la loro solidarietà di classe. In ogni fase della lotta di classe i padroni hanno dei mezzi diversi per farci ricordare che dobbiamo stare "al nostro posto", il posto che ci hanno assegnato loro. Qualche anno fa la polizia si vedeva poco in giro e con qualche poliziotto ci si poteva fare anche amicizia. Di lotte se ne facevano ancora poche. Adesso c'è la crisi: le lotte sono sempre più dure e continue. La polizia è dappertutto davanti alle fabbriche, nelle scuole, nei nostri quartieri, alle nostre manifestazioni. E questi poliziotti non vengono per "fare amicizia". Vengono vestiti da marziani e pronti a sparare. E non c'è solo la polizia. I fascisti hanno ripreso a scorrazzare per tutta l'Italia. E anche loro sparano. Le galere si riempiono di proletari. Domani, se la lotta di massa continua come è continuata negli ultimi anni, sarà anche peggio: i padroni passeranno all'occupazione militare delle città e dei paesi: già cominciano a farlo. E i fascisti ci aspetteranno sotto casa, come stanno già cominciando a fare. Cinquant'anni fa, in Italia, era la stessa cosa. C'era la crisi anche più grave di come è adesso; la classe operaia e le masse sfruttate lottavano anche più di adesso. Poi i fascisti e la polizia, i padroni e lo Stato, hanno preso i loro "provvedimenti": è venuto il fascismo, cioè la controrivoluzione dei padroni. Gli operai e gli sfruttati non si erano organizzati per tempo per fermargli la mano. Non dobbiamo commettere lo stesso errore. Non dobbiamo aspettarci dai padroni e dal loro stato che siano loro a proteggerci dalla violenza che ci scatenano contro. Non dobbiamo aspettarci che la polizia, i giudici, i nostri governanti si dichiarino apertamente fascisti, per capirlo che lo sono veramente. Nel 1922, quando i veri fascisti, quelli che nei tre anni precedenti avevano finanziato, protetto e aperto la strada ai fascisti in camicia nera pur continuando ad indossare la camicia bianca la divisa e la toga, si sono tolti la maschera, era ormai troppo tardi. Difenderci è un nostro diritto e dobbiamo imparare ad esercitarlo fin da ora. Niente di quello che vogliamo ci verrà regalato, nemmeno il diritto di non finire in galera, o di crepare sotto i colpi di qualche fascista o di qualche poliziotto. Anche questo diritto ce lo dobbiamo saper prendere con le nostre forze. Per questo la polizia e i fascisti devono restare lontano da noi. E dobbiamo avere la forza di imporlo. Liquidare il fascismo vuol dire liquidare i fascisti e prepararci a liquidare tutti i padroni.

da "Lotta Continua" anno IV Numero 2 del 2 febbraio 1972 - Quindicinale

 

 

"L'albero della storia è sempre verde"
Né a Genova, né da nessun'altra parte
 

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