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La mitologia della settima corta

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La mitologia della settima corta

 L'aumento della produzione e del plusvalore può avvenire anche con la riduzione dell'orario di lavoro o della settimana lavorativa o con processi di innovazione tecnologica, il miglioramento delle condizioni di vita non determina automaticamente la riduzione dello sfruttamento della forza lavoro. 

Questa premessa si rende indispensabile per parlare della ultima moda riguardante la  settimana lavorativa “corta” che avviene nei paesi Ue con varie modalità, a parità di salario e riduzione del monte ore totale oppure lasciando invariato il monte ore spalmandolo su meno giorni lavorati. Poi ci sono anche altre opzioni come la riduzione oraria accompagnata da tagli salariali.

La riduzione della settimana lavorativa è stata sovente presentata, nel recente passato, come miglioramento della condizione di vita o strumento per accrescere l’occupazione anche se nella stragrande maggioranza dei casi è servita per accrescere la produttività.

La Cgil ha inserito la riduzione della settimana lavorativa nella propria piattaforma contrattuale dimenticando di affrontare il nodo saliente relativo all'aumento della produttività e del plusvalore, se fosse un vantaggio per la forza lavoro non troverebbe tanto ascolto nel Governo e nella parte datoriale. Dove sta allora l'inghippo?

Molte aziende hanno da tempo compreso che ridurre la settimana lavorativa contraendo l'orario di lavoro può rappresentare un vantaggio per la produttività dei singoli e dell'azienda per questo si mostrano aperti e disponibili a prendere in considerazione questa ipotesi, se poi riducono l'orario in cambio di minore salario il vantaggio è evidente a chiunque.

In alcuni paesi l'orario giornaliero è passato a 9 ore e mezza di lavoro al giorno e i sindacati locali non hanno voluto sottoscrivere alcuna intesa con il Governo e le parti datoriali. Ove invece, ad esempio nel settore bancario, la riduzione della settimana lavorativa è stata adottata si registrano aumenti delle mansioni esigibili e un evidente vantaggio economico per la parte datoriale oltre ad un sensibile aumento dello stress derivante dalla crescita dei carichi di lavoro.

 E in altri casi la diminuzione delle ore/giorni di lavoro è stata accompagnata da un incentivo pubblico per mantenere gli stessi salari senza gravare sulle imprese che nel frattempo hanno accresciuto i loro ricavi.  Altri regali alle imprese da parte dello Stato senza ricadute positive sul potere di acquisto e senza migliorare le condizioni di vita della forza lavoro

Alcune ricerche hanno appurato che la riduzione delle ore lavorate è stata utile alle imprese per avviare dei processi riorganizzativi o per aumentare i contingenti della forza lavoro incrementando i contratti part time che alla fine determinano salari inferiori 

In ogni caso la riduzione dell’orario porta all'aumento della produttività per ora lavorata e all'aumento dei ricavi aziendali, i vantaggi per la forza lavoro sono assai ridotti rispetto agli utili aziendali. In certi casi la produttività è invece diminuita laddove gli orari lavorativi giornalieri sono accresciuti a dimostrazione del fatto che l'obiettivo padronale è quello di far credere che ci siano vantaggi per i singoli lavoratori dietro a provvedimenti che mirano solo ad obiettivi aziendali.

La settimana di quattro giorni potrebbe rilevarsi un boomerang per la forza lavoro specie se ogni considerazione diventa astratta senza considerare il punto di vista, e i vantaggi, per la parte datoriale specie se arriveranno incentivi statali.

La questione va allora trattata bene e in termini diametralmente opposti alle logiche padronali.

A cura della redazione pisana di Lotta Continua

Da: https://delegati-lavoratori-indipendenti-pisa.blogspot.com

 

 

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